Le premesse che hanno favorito la nascita del "Patto tra le città per l'immaginazione civica e la cura condivisa dei beni comuni"

Negli ultimi mesi stiamo assistendo a un fenomeno interessante: le alleanze territoriali. Cioè si stanno sviluppando sempre di più sinergie tra comuni di uno stesso territorio, in una logica “distrettuale” coinvolgendo soprattutto i Comuni che hanno già adottato o che sono interessati ad adottare il regolamento dei beni comuni.
A gennaio del 2019 per la prima volta sulle pagine di Labsus.org ci trovammo a commentare un regolamento adottato da un’Unione di Comuni, quella della Romagna Faentina. 
La particolarità di questa esperienza sta nel fatto che la sinergia per la cura dei beni comuni nasce all’interno di un ente territoriale sovra-comunale, disciplinato dall’art. 32 decreto legislativo n. 267/2000, qual è l’Unione di comuni, il cui scopo istituzionale è «l’esercizio congiunto di una pluralità di funzioni».
Secondo Andrea Piazza, Servizio Affari Istituzionali dell’Unione della Romagna Faentina, (intervistato nell’articolo L’Unione della Romagna Faentina adotta il Regolamento dei beni comuni a cura di Massimiliano Dalla Mura), i vantaggi di questo percorso possono essere riassunti in tre punti:

1) aumento della conoscenza e della legittimità dell’Unione dei Comuni come interlocutore diretto dei cittadini dei sei Comuni aderenti. Al momento pochi cittadini conoscono l’Unione e forse ancora meno potrebbero averne una visione positiva;
2) semplificazione delle procedure per le collaborazioni fra cittadino e pubblica amministrazione, portando a patti di natura flessibile ma certi nei loro contenuti;
3) aumento del capitale sociale del territorio, favorendo la nascita di collaborazioni anche tra i cittadini stessi, in particolare qualora si realizzino azioni ricadenti nella categoria delle azioni solidaristiche.

Un accrescimento del diritto di cura

In altri termini, qualora due o più Comuni scelgano – nell’esercizio della propria autonomia – di spogliarsi di alcuni dei propri compiti per delegarli al nuovo ente che li rappresenta, l’atto regolamentare è adottato da un unico organo collegiale (il Consiglio dell’Unione) e trova applicazione in tutto il territorio interessato. In quest’ottica, quella dell’Unione della Romagna Faentina rappresenta un’esperienza apripista, che desta vivo interesse per i possibili effetti che potrebbero prodursi nella diffusione del regolamento di Labsus tra le numerosissime Unioni di comuni presenti in Italia.
Dopo qualche settimana, il 21 febbraio, fu la volta del “lago di Bracciano bene comune”, un Regolamento che tocca Anguillara Sabazia – Bracciano – Trevignano Romano, tre comuni in rete per “liberare energie” in un pezzo splendido del territorio laziale.
Una nuova linea di sviluppo, un salto di qualità che viene descritto da Pasquale Bonasora in questi termini: “Innanzitutto, tali regolamenti, sebbene risultino deliberati (autonomamente) da ciascun Comune, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, producono effetti giuridici anche negli altri territori comunali. Ne consegue, in particolare, la condivisione (quantomeno parziale) della funzione di collaborazione istituzionale con i cittadini attivi da parte delle Amministrazioni comunali coinvolte”. Infine, con questo schema regolamentare, “ciascun cittadino è agevolato nella promozione e realizzazione d’interventi incidenti non solo nell’ambito del proprio territorio comunale, ma anche in quello degli altri Comuni partner, conseguendone un accrescimento dei diritti di cittadinanza attiva per la cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni; allo stesso tempo, ciascun Comune è agevolato nella promozione e nello sviluppo di progettualità e interventi rivolti non soltanto ai propri cittadini, ma anche ai cittadini degli altri Comuni”.

Reti orizzontali e reti trasversali

Da notare, inoltre, che i regolamenti, così concepiti, “sembrano particolarmente idonei ad incoraggiare e legittimare la costituzione di vere e proprie “reti orizzontali” da parte dei cittadini e accordi tra i soggetti pubblici (in primis le Amministrazioni), “trasversali” ai tre territori comunali, favorendo così lo sviluppo di pratiche collaborative non soltanto “intra-comunali”, ma anche “inter-comunali” ovvero “trans-comunali”.
Non è quindi un caso che proprio la Regione Lazio approvi la prima Legge quadro regionale sull’amministrazione condivisa dei beni comuni.
Con questo strumento, attraverso i patti di collaborazione tra le istituzioni – principalmente la Regione stessa e i comuni – e i cittadini attivi si potranno definire interventi puntuali su beni comuni. Attraverso una piattaforma saranno diffusi i dati sui beni comuni e le esperienze presenti sul territorio per i quali i Comuni potranno redigere specifici regolamenti sulla base di criteri e principi comuni per tutti. E’ inoltre previsto un regolamento della Regione stessa per l’amministrazione dei propri beni comuni”. Il pregio di questa normativa sta anche nel fatto che “saranno promossi progetti di formazione per diffusione della cultura della collaborazione civica, ma soprattutto sono previste chiare forme di sostegno e vantaggi economici per la realizzazione di patti di collaborazione (agevolazioni dei canoni, minori oneri per l’uso di beni, coperture assicurative, esenzioni di tributi), che si affiancheranno ad un fondo dedicato per la valorizzazione delle iniziative di cittadinanza attiva”.

Perché fare un Patto tra le città?

Sarà per questo che è emersa sempre più l’esigenza di costruire una Rete, un vero e proprio Patto tra le città lanciato a Bologna nell’Evento del 6-7 dicembre scorsoTeresa Faticoni, dell’ufficio Amministrazione condivisa di Latina, non ha dubbi: “La Rete tra le città è molto utile per lo scambio di esperienze positive, di buone pratiche messe in campo,” ma secondo lei può fare molto soprattutto “laddove le associazioni o i singoli cittadini riescono a spogliarsi del mero interesse particolare”. Per Lucio Pascale dell’Associazione Amici di Pericle, di Piedimonte Matese, non solo è assolutamente utile la costituzione di una Rete tra i Comuni che hanno adottato il Regolamento, capace di favorire uno scambio di buone pratiche; di più: “La cultura dell’amministrazione condivisa dei beni comuni può crescere solo attraverso il confronto e le esperienze di tutti. Una Rete tra i Comuni che hanno adottato il Regolamento faciliterebbe questo processo”. Dello stesso avviso l’Assessore del Comune casertano, Devid Salvatore Raucci, per il quale “è necessario creare un confronto costante capace di farci capire dove e come migliorare affinché questo strumento sia alla portata di tutti”. Per Eugenio Petz, funzionario del comune di Milano, Responsabile dei Patti di collaborazione, la Rete tra le città è importante soprattutto perché “è necessario far emergere con forza le condizioni che possono agevolare il processo di diffusione del Regolamento, oppure che lo stanno ostacolando, per cercare di governarle e possibilmente rimuoverle”. E alla fine si ritorna lì: per Cristina Leggio, assessore a Latina (con deleghe per Città Internazionale, Politiche Giovanili, Partecipazione e Smart City), “è responsabilità degli amministratori e delle istituzioni saper creare le condizioni e i percorsi perché queste energie non vadano disperse e il rapporto tra loro e le comunità si sostanzi in una reale capacità di ascolto e si traduca in linguaggi, percorsi e responsabilità condivisi”.

Foto di copertina: Gerd Altmann su Pixabay