Una tesi nata grazie al lavoro in un servizio per le dipendenze e da una esperienza di volontariato in zone ad alta densità mafiosa

L’autrice, dopo aver approfondito gli aspetti sociologici, culturali e politici del fenomeno mafioso e quelli normativi e civili delle azioni di contrasto, propone una tesi sperimentale e di ricerca su “Il Servizio sociale professionale alla guida di una équipe multidisciplinare: un esperimento di groupwork e di communitywork per la prevenzione del fenomeno mafioso”. Le discipline caratterizzanti il Servizio Sociale, infatti, aprono la riflessione sulla possibilità di rispondere con azioni concrete alla complessità dei problemi conseguenti a questo fenomeno. Lasciamo però all’autrice il compito di presentare il suo lavoro.

La parola all’autrice

Questa tesi di laurea in Servizio Sociale, sostenuta nel 2012, tratta di un tema che, purtroppo, seguita a non perdere di attualità: il fenomeno mafioso. Mi pare opportuna la narrazione delle circostanze in cui è maturata, vale a dire da percorsi ed ambiti differenti, vissuti contemporaneamente e venuti a congiungersi in un naturale collegamento, proprio grazie all’occasione della sua redazione. Le mie esperienze di vita, i percorsi formativi, le sperimentazioni mirate e le riflessioni aperte che si sono sviluppate mostrano la reciproca potenzialità di rinforzarsi fino ad esprimere pienamente il valore promozionale della professione dell’assistente sociale.
Il risultato scaturito da questa prova finale si è rivelato, pertanto, punto di partenza per comprendere come sia possibile e, soprattutto, appropriato disporre del Servizio Sociale per agire la trasformazione dentro sistemi tanto complessi e compromessi come quelli criminali. Il corso di studi multidisciplinare  comporta conoscenze e teorie, scienze logicamente correlate al Servizio Sociale, principi ispirati alla ricerca della giustizia sociale e al valore dei diritti umani, metodi e strumenti specifici per l’esercizio di una professione orientata al cambiamento sociale nella prospettiva di promuovere il benessere, così come si evince dalla definizione internazionale di servizio sociale.

Il Servizio Sociale come strumento di trasformazione

Nell’esercizio della professione, la teoria è in funzione di una pratica utile a  creare programmi innovativi che incidano sulla collettività realizzando il principio di sussidiarietà attraverso l’empowerment di comunità. Nella visione comune, si identifica il lavoro sociale unicamente come trattamento di deprivazione ed emarginazione. Frequentemente, vediamo i professionisti del sociale impegnati negli ambiti più compromessi, circoscritti a singoli nuclei famigliari con la loro rete di riferimento più prossima, quali tossicodipendenza, delinquenza, povertà, immigrazione.
Ad ogni modo, nel Servizio Sociale, grazie alla teoria per la pratica, è inevitabile riferirsi in simultanea tanto alla dimensione dell’individuo (micro) quanto a quella della società (macro). Attraverso l’elaborato, ho voluto addentrarmi nel terreno, mai esplorato dal Servizio Sociale, della criminalità organizzata: questione evidentemente drammatica nella sua intensità e complessità. Ho ritenuto opportuna l’adozione degli strumenti del lavoro sociale di gruppo e di comunità, meno conosciuti in Italia rispetto al metodo di aiuto rivolto ad uno specifico caso e funzionale principalmente alla risoluzione del disagio concepito nelle forme prima descritte.

Sperimentare in aree di disagio

La stesura è avvenuta successivamente allo sviluppo di un progetto sperimentale che considera il disagio nell’area delle mafie. Lo studio delle mafie e delle azioni per contrastarle affonda le sue radici nei secoli scorsi. La dimensione macro studia il fenomeno come sistema, la dimensione micro i problemi che vivono gli individui coinvolti, a vario titolo. Le istituzioni e la società civile sono da sempre protagoniste di iniziative di opposizione.
Con gli elementi derivati dal corso di studi, dalla formazione mirata condotta in autonomia circa il fenomeno mafioso con le azioni per il suo superamento e dall’esperienza di volontariato che riconoscevo naturalmente coerenti tra loro, sperimentavo un breve progetto di prevenzione. L’intento, oltre a provare e dimostrare utilità ed efficacia di applicazione degli strumenti del Servizio Sociale sul campo considerato, concerneva la questione di una sensibilizzazione generale circa l’argomento dal maggior numero di punti di vista individuabili.

Organizzarsi e agire concretamente

I capitoli centrali espongono il piano di lavoro. Ho voluto mettere in risalto il lavoro di gruppo per la comunità svolto da una équipe multidisciplinare al femminile, prestando attenzione agli aspetti della prevenzione e della valutazione. Fondamentali, questi ultimi, per realizzare un efficace procedimento metodologico e determinare la riuscita o meno di un piano di lavoro; cruciali, indubbiamente impegnativi, richiedono tempo dedicato e formazione. Forse proprio a causa dell’attenzione che comportano, il più delle volte restano trascurati.
Il mio elaborato è rappresentativo dello stadio finale di un percorso motivato dall’interesse originato, durante l’esercizio di una professione sanitaria nel settore della cura delle tossicodipendenze, circa il tentativo di rispondere alla domanda: “Cosa c’è dietro la droga?”. Scoprivo che vi si nascondono sia le dinamiche tormentate dell’individuo che di un contesto sociale malnutrito. Chi concepisce le droghe per diffonderle intuisce con molto anticipo i bisogni imposti di funzionamento degli individui nella società e sa indurne di ingannevoli.

Servizio Sociale tra pratica e teoria: una relazione di necessità

Spesso, dietro la droga, ci sono anche la criminalità organizzata e le mafie. Bisogna, allora, conoscere il fenomeno per inquadrarlo, approcciarlo, analizzarlo, approfondirlo ed  immaginare soluzioni. Da qui il presentimento della totale coerenza ed adeguatezza delle conoscenze offerte dal percorso di studi in Servizio Sociale: materie politiche, scienze giuridiche, umanistiche, psicologiche, sociali, pedagogiche, deontologiche nonché discipline tecniche e strumenti specifici del lavoro sociale. La figura dell’assistente sociale, nel tempo, è stata formata ora in modo unitario per trattare tutte le tipologie di disagio, ora qualificata ad accogliere un problema specifico. Il piano di studi dell’anno accademico in cui mi iscrivevo prevedeva la specializzazione in ambito penale e penitenziario, perfetto per la mia domanda di formazione.
Contemporaneamente al percorso di studi, mi documentavo sul fenomeno e sulle azioni di contrasto, cercando collegamenti con la teoria del Servizio Sociale e riscontrando continue conferme alla congruità tra le discipline e la questione dell’illegalità in generale. Pareva logico, pertanto, che si prospettassero idee da attuare per far emergere quest’ultima, riscontrabile in diverse forme e nella quotidianità di ognuno di noi e contrastarne gli effetti.

L’esperienza del volontariato e la cittadinanza attiva

Un ulteriore arricchimento all’elaborato proveniva dal volontariato a supporto dei testimoni di giustizia, effettuato costantemente con alcune famiglie nel mio territorio e, periodicamente, dedicandovi settimane a pieno ritmo, presso l’emittente televisiva siciliana indipendente a conduzione familiare Telejato. Questa, ancor oggi, documenta l’agire mafioso quanto quello virtuoso della comunità attiva e solidale di un’ampia zona tra le province di Palermo e Trapani. Telejato è un segnale di cambiamento sociale.
Le esperienze italiane, i buoni esempi come quest’ultimo e quelli di lavoro in rete che sarebbe opportuno riprodurre ed incentivare, trovano spazio nel paragrafo che chiude il secondo capitolo. Da proposte di cittadinanza attiva, ispirate ai principi di responsabilità individuale e collettiva, pacifiche e solidali ed orientate al benessere, possiamo riconoscere come sia attuabile un ambiente “nutritivo” per il maggior numero di persone possibili.

Un’ulteriore riflessione sulla nonviolenza

Infine, rimaneva in sospeso una riflessione circa il trattamento del fenomeno criminale con l’orientamento nonviolento: un punto di arrivo da cui ripartire per ulteriori approfondimenti. Successivamente, infatti, nuove spinte alla conoscenza mi hanno condotta a una ricerca che continua a estendersi. Esplorando il tema, ho conosciuto l’Università del Perdono di Torino, laboratorio che attua percorsi di comprensione delle dinamiche violente che hanno recato danno alle vittime.  Qui si impara la pratica del perdono, inteso come dono per se stessi, e, quando possibile, si propone un percorso di riconciliazione tra le parti. In seguito a questo stimolo, sto riflettendo sul vantaggio di “umanizzare” delle forze dell’ordine, investendo sulla loro formazione alla comunicazione ed alla relazione.
Per quanto riguarda le azioni agite dalla collettività, credo che sarebbe utile incentivare soluzioni intelligenti e creative da parte dei cittadini, tanto da interagire con l’operato delle istituzioni, evidentemente carenti di strumenti per aumentare il potere di responsabilità ed abbattere il consenso alle varie forme di illegalità in generale e alle mafie in particolare. Sembrerebbero ingenti le somme di denaro confiscate dalle pubbliche autorità e con uno sguardo al dovere di trasparenza delle istituzioni verso i cittadini, spesso mi sono chiesta come tali risorse siano impiegate e se non si potessero utilizzare concretamente per il benessere delle comunità, come accade nelle intenzioni della confisca dei beni immobiliari accumulati illegalmente. Beni confiscati facilmente fruibili, reti esterne di solidarietà, ma anche patti di collaborazione per la gestione di apparati che non necessitano di risorse per essere mantenuti potrebbero rappresentare risposte virtuose per trasformare il sistema criminale.
Riflessioni in proposito e ulteriori suggestioni emergono anche da alcuni documentari indipendenti sul sistema di creazione del denaro, sulla distribuzione delle risorse e sulle possibilità di un intervento concreto riguardo a queste problematiche che affliggono le nostre società.

Legalità, responsabilità ed educazione al rispetto

Sulla base di queste esperienze e riflessioni, credo debba diffondersi una nuova visione comune che, dalla cultura della legalità, si orienti verso quella della responsabilità. Osservando l’illegalità esprimersi in varie forme e contesti, come già accennato, “legalità” non pare più garanzia di verità, giustizia sociale e rispetto dei diritti umani. Che sia forse il caso di perseguire una cultura che tenga conto dell’educazione al rispetto di sé e degli altri, che insegni la ricerca della verità e la protezione della libertà e della bellezza?
Siamo tutti coinvolti in un sistema intriso di illegalità a vario titolo e intensità e ciò riguarda la comunità nel suo insieme: è inevitabile esserne implicati e il rischio più alto è quello dell’analfabetismo politico, come avverte Bertolt Brecht (“L’analfabeta politico”, B. Brecht, Poesie, Einaudi, Torino 1992).

Foto di copertina: Adi Goldstein su Unsplash