Era un sabato anche il 22 febbraio del 2014, quando insieme con il Sindaco di Bologna Virginio Merola, di fronte a centinaia di persone, presentammo per la prima volta il Regolamento per la collaborazione fra cittadini e amministrazioni per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani.
Quel giorno né il Sindaco, né noi, né nessun altro poteva immaginare che, quasi sei anni dopo, ci saremmo ritrovati di nuovo a Bologna per festeggiare l’adozione in 210 città del nostro Regolamento, la sottoscrizione di migliaia di patti di collaborazione e, in generale, il coinvolgimento nella cura dei beni comuni di centinaia di migliaia di persone, in tutta Italia, da nord a sud, nelle città come nei borghi.
Non potevamo immaginarlo perché non sapevamo, quel sabato di febbraio del 2014, che c’era in tutto il Paese un “movimento” nascosto di cittadini attivi che aspettavano soltanto di trovare lo strumento giusto per emergere alla luce. E il Regolamento rappresentò per molti di quei cittadini esattamente lo strumento di cui avevano bisogno per poter continuare a fare, all’interno di un quadro giuridico di regole certe e chiare, quello che già facevano nell’illegalità, cioè prendersi cura dei beni comuni dei luoghi in cui vivevano.
Il lancio del Patto fra le città per i beni comuni
Ma quando ci siamo ritrovati a Bologna il 6 e 7 dicembre scorsi non è stato soltanto per festeggiare l’imprevisto successo di quello che avevamo definito un wiki Regolamento, un regolamento che poteva (come di fatto è avvenuto) essere modificato, semplificato e migliorato nel corso del tempo. Ci siamo riuniti infatti anche per lanciare, insieme con il Comune di Bologna e la Fondazione per l’innovazione urbana e con il supporto di Anci e Asvis, una Rete fra le città che, adottando il nostro Regolamento, hanno deciso di dar vita al modello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni, fondato sui patti di collaborazione fra cittadini e amministrazioni.
I patti come luogo di innovazione
Sono infatti i patti il vero “motore” dell’amministrazione condivisa, il modello organizzativo teorizzato da chi scrive nel 1997 con un saggio che all’epoca delineava unicamente un’ipotesi teorica, ma che oggi invece definisce molto concretamente un nuovo modo di essere dell’amministrazione pubblica, soprattutto a livello locale, fondato sul principio costituzionale di sussidiarietà (art. 118, ultimo comma). I patti, lo abbiamo capito in questi ultimi anni girando l’Italia, sono molto di più che una nuova fonte del diritto, che fissa le regole del rapporto di collaborazione fra cittadini attivi e amministrazioni.
I patti sono tante cose insieme. Sono innanzitutto un luogo di incontro, sia fra cittadini, singoli ma anche associati nelle forme più varie, dai comitati informali alle organizzazioni del Terzo Settore, sia fra cittadini e istituzioni. Ed essendo un luogo di incontro sono anche un luogo di innovazione sociale, politica e culturale. Abbiamo detto spesso che l’innovazione consiste nella “combinazione inedita di fattori noti”. I patti sono un esempio perfetto di questo modo di intendere l’innovazione, perché se anche i beni comuni di cui i cittadini si prendono cura sono più o meno gli stessi ovunque (verde pubblico, scuole, spazi urbani, beni culturali, etc.) ciò che cambiano sono le relazioni che, nei vari patti, si creano fra cittadini e fra cittadini e amministrazioni. Basta una rapida occhiata alla nostra sezione Patti per rendersi conto che le soluzioni date dai cittadini attivi ai problemi della comunità sono spesso molto innovative e comunque mai banali.
I patti come incubatori di relazioni
Se è vero che le città sono “i luoghi dove convivono gli estranei”, allora i patti sono anche un’altra cosa ancora, sono cioè i “luoghi” dove gli estranei che vivono nello stesso quartiere cittadino si incontrano per prendersi cura di una piazzetta, di un’area verde del quartiere, delle aule di una scuola e di altri beni comuni simili a questi. Prendendosi cura di quei beni comuni, quegli estranei stabiliscono necessariamente fra di loro dei rapporti di collaborazione fondati sulla fiducia reciproca.
Se così non fosse non potrebbero nemmeno lavorare insieme.
In questo senso, allora, si può dire che i patti sono “incubatori di relazioni, di amicizie” i cui effetti positivi proseguono poi anche nella vita di tutti i giorni, una volta terminato il lavoro di cura condivisa dei beni comuni.
Il “valore aggiunto civico”
E’ nei patti che si crea quello che noi chiamiamo il vero “valore aggiunto civico” della cura condivisa dei beni comuni, cioè la ricostruzione dei legami di comunità, la produzione di capitale sociale, la creazione del senso di appartenenza, la coesione sociale, l’integrazione. I patti di collaborazione, soprattutto per le persone più avanti con gli anni, sono spesso una delle poche alternative alla solitudine. Questi sono i preziosi effetti immateriali derivanti dai patti, cui si aggiungono ovviamente gli altrettanto importanti effetti materiali sulla qualità della vita delle persone derivanti dalle attività di cura dei beni comuni.
Formazioni sociali di tipo nuovo
Infine, i patti possono essere definiti anche come formazioni sociali di tipo nuovo. L’art. 2 della Costituzione dispone che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”. Non c’è dubbio, alla luce di quanto si è detto finora, che nei patti si “svolga la personalità” di coloro che vi partecipano e che dunque essi possano essere considerati come formazioni sociali, alla stessa stregua di un comitato, un’associazione o simili.
Ma i patti presentano almeno un paio di caratteristiche peculiari, che li distinguono da altri corpi intermedi. In primo luogo perché sono formati non soltanto da cittadini, come di regola accade con i corpi intermedi, ma da cittadini e istituzioni insieme. E in secondo luogo perché sono a “geometria variabile”, nel senso che l’esperienza di questi ultimi anni ci insegna che i patti sono comunità aperte, dinamiche, mutevoli nella loro composizione. I soggetti che sottoscrivono i patti possono mutare nel tempo, se ne possono aggiungere di nuovi e altri possono uscire. Ciò che non cambia e che dà stabilità a ciascun patto è il bene comune di cui quel particolare patto si prende cura. Il bene comune sta al patto come il granello di sabbia sta alla perla. Il granello rimane sempre lo stesso, ma intorno ad esso si possono stratificare molti strati, fino a formare la perla.
C’è un gran bisogno di formazione
Il problema dei Regolamenti e dei patti, dal punto di vista prettamente tecnico, sta nel fatto che essi sono fonti del diritto nuove, fondate su un paradigma nuovo che trae legittimazione da un principio costituzionale nuovo, quello di sussidiarietà, inserito in Costituzione nel 2001. E quindi la loro applicazione si scontra quotidianamente con principi, valori e soprattutto regole giuridiche completamente diverse, anzi opposte, risultato di un’evoluzione del Diritto amministrativo cominciata come minimo 230 anni fa, dopo la Rivoluzione francese del 1789.
Il Regolamento ed i patti hanno pochissimi anni di vita e anche per questo motivo spesso non sono ancora riconosciuti come fonti del diritto, né come strumenti utilizzabili legittimamente dalle amministrazioni per regolare i rapporti con i cittadini attivi.
C’è dunque da fare un grande lavoro di formazione e di “acculturazione” dei funzionari degli enti locali, sia attraverso attività formative adeguate alla novità dei temi in questione, sia attraverso scambi di esperienze e di soluzioni.
Dalla “ruota di carro” alla rete
Proprio la necessità di questo lavoro di formazione è stata una delle ragioni che hanno indotto Labsus, ormai oltre un anno fa, a proporre al Comune di Bologna una partnership (un patto!) per creare e poi gestire insieme una rete delle città che hanno già adottato il Regolamento, ovviamente aperta a tutti i comuni che intendono adottarlo in futuro.
Dal 2014 ad oggi Labsus ha promosso in tutta Italia ed all’estero il Regolamento ed i patti, rispondendo puntualmente e rapidamente alle richieste di chiarimenti che ci arrivano ogni giorno. Ma le nostre forze sono quelle di un’associazione fondata sul volontariato, cioè limitate, inevitabilmente.
La partnership con il Comune di Bologna e con la sua Fondazione per l’innovazione urbana speriamo possa consentire di strutturare in maniera più efficace i rapporti dei comuni fra di loro, passando da relazioni bilaterali, a “ruota di carro”, con Labsus al centro e i comuni in fondo a ciascun raggio della ruota, a relazioni plurime, reticolari, dei comuni fra di loro. Ciò dovrebbe consentire scambi diretti di informazioni, di esperienze di successo, di pratiche innovative, magari anche con scambi di funzionari per brevi periodi da un comune all’altro, una sorta di “Erasmus” dei funzionari!
Una comunità nazionale per la cura dell’Italia come bene comune
Il Patto fra le città per i beni comuni nasce come una rete fra città, certamente. Ma all’interno di queste città ci sono cittadini che hanno sottoscritto dei patti di collaborazione con le loro amministrazioni. E questi patti, come s’è detto sopra, sono a loro volta comunità, formazioni sociali, corpi intermedi. Dunque nel corso del suo sviluppo futuro bisognerà che questo Patto fra le città per i beni comuni si articoli in relazioni non soltanto fra le amministrazioni, i funzionari, gli amministratori, etc. ma anche fra le comunità formate dai “pattisti”, cioè dai cittadini che hanno sottoscritto e che fanno vivere i patti nelle loro città.
Infine c’è da sottolineare l’aspetto politicamente più interessante del Patto fra le città lanciato il 6 e 7 dicembre scorsi a Bologna. Il successo dell’iniziativa, la presenza per due giorni di oltre 200 persone venute da tutta Italia, il clima allegro e amichevole creatosi fra i partecipanti fanno capire che intorno ai Regolamenti ed ai patti si è ormai creata in Italia una comunità di pratica che, così come è successo nel 2014 con lo strumento del Regolamento, non aspettava altro che di essere chiamata a raccolta per lavorare insieme.
E dunque si può affermare che a Bologna è nato molto più di un Patto fra città. Perché se è vero che l’Italia è un bene comune, patrimonio dell’umanità, allora si può dire che il 6 e 7 dicembre scorsi in realtà è nata una comunità nazionale che unisce tutti coloro che vogliono prendersi cura dell’Italia come bene comune. Un grande progetto, una visione di come potrebbe essere il nostro Paese nei prossimi anni.
P.S. Oggi abbiamo inviato la nostra Trecentesima Newsletter! Detto in altri termini, dal gennaio 2008 ad oggi, ogni 15 giorni, puntualmente, senza mai saltare un numero se non per problemi tecnici ai computer, Labsus ha inviato ad alcune migliaia di iscritti una selezione degli articoli pubblicati sul nostro sito nelle due settimane precedenti. In più, con la NL, ogni 15 giorni abbiamo inviato un nuovo editoriale, con commenti, analisi, riflessioni sui temi di cui si occupa Labsus.
Non so se lo faremo…. ma se mai un giorno dovessimo decidere di raccogliere tutti insieme i 300 editoriali pubblicati nel corso degli ultimi 11 anni, credo che ne verrebbe fuori uno spaccato molto interessante di come è cambiato, anche grazie al nostro lavoro, il modo di intendere il principio di sussidiarietà e il concetto di beni comuni, per non parlare naturalmente della rivoluzione rappresentata dal 2014 ad oggi dal Regolamento e dai Patti di collaborazione.
Ma non si tiene aggiornato un sito complesso e ricco come il nostro, né si manda puntualmente ogni 15 giorni per 11 anni una NL, se non si ha la fortuna di avere una redazione straordinaria come la nostra, nella quale nel corso degli anni si sono avvicendati tanti redattori e tante redattrici, con storie personali e competenze diverse ma tutti con lo stesso entusiasmo, le stesse motivazioni e la stessa voglia di lasciare un segno.
A tutti loro e in particolare alla Caporedattrice centrale, che fra gli altri compiti ha anche quello, particolarmente ingrato, di coordinare ogni 15 giorni i pezzi da pubblicare nella NL, va un ringraziamento molto caloroso e molto sentito da tutto il Consiglio Direttivo e dal Presidente in particolare.
Foto di copertina: Helena Lopes su Unsplash