La scuola, con oltre 40.000 edifici, costituisce una quota importante del patrimonio edilizio pubblico nazionale ed è l’Istituzione della Repubblica più ampia, diffusa e capillare del territorio italiano. Un patrimonio che oggi vive una fase di grande sofferenza data dalle critiche condizioni edilizie di molti edifici, in particolare quelli costruiti in epoca moderna e figli di soluzioni tecnologiche non ancora avanzate sotto il profilo delle prestazioni strutturali.
Sarebbe miope, però, guardare a questo aspetto esclusivamente pensando all’urgente e necessaria manutenzione edilizia senza allargare lo sguardo a una visione strategica dell’intero patrimonio e senza riconsiderare alcuni paradigmi del rapporto tra Scuola, Città e Cittadinanza.
Un rapporto che oggi vede molti cittadini, in particolare genitori, farsi parte attiva nel supportare le realtà scolastiche. Non c’è dubbio che nella maggior parte dei casi le famiglie mobilitano le proprie energie quando c’è un ritardo da parte delle amministrazioni nel manutenere in modo adeguato gli edifici scolastici, ma il punto sul quale riflettere non riguarda solo la carenza di risorse umane ed economiche degli enti pubblici, ma investe profondamente la ridefinizione di ruoli e politiche delle istituzioni a fronte di un contesto sociale sempre più ricco e attivo, ma estremamente articolato e parcellizzato.
Salviamo la nave!
“Siamo un gruppo di genitori della scuola dell’infanzia di corso Moncalieri e siamo qui per farle una proposta (…) ”. Era la primavera del 2017 quando un gruppo di famiglie si sono attivate per prendersi cura di un bene comune per loro prezioso, e non era la prima volta che dei genitori invece di protestare si ponevano in modo costruttivo davanti a una programmazione dei lavori pubblici affaticata da un bilancio costantemente ballerino.
I genitori che sedevano di fronte a me nella sala riunioni dell’assessorato possedevano tutti gli strumenti culturali e professionali per farsi carico dei lavori di ripristino del gioco e rendere di nuovo agibile la “nave”. Nonostante gli sforzi non siamo riusciti ad accogliere il capitale umano ed economico messo a disposizione dalle famiglie e questo conferma che oggi le “macchine pubbliche” non sono pronte a recepire e gestire in modo sistemico le azioni che arrivano dal basso.
È sempre sostenibile il diritto dei cittadini di prendersi cura dei beni comuni?
Se fossimo riusciti ad accogliere la proposta dei genitori avremmo risolto un problema senza creare alcuno squilibrio a livello territoriale, anzi avremmo guadagnato risorse per intervenire in altre scuole. Più complesso è invece gestire situazioni in cui accogliere la volontà di cittadini di prendersi cura di un bene comune impatta in modo significativo su tutto il sistema.
Il diritto di cittadini e cittadine di prendersi cura di luoghi e servizi pubblici è un tema, non solo attuale, ma interessante e affascinante che pone le amministrazioni locali di fronte a tre questioni cruciali.
La prima – forse la più evidente e più discussa – riguarda l’aspetto burocratico e normativo che attiene all’organizzazione e gestione della cosa pubblica, oggi incardinata su procedimenti che faticano ad accogliere in modo sistemico le azioni puntuali che provengono dal basso.
La seconda riguarda l’uguaglianza di opportunità. Se parliamo di scuola constatiamo che, oltre al corpo docente, ciò che rende una scuola attrattiva è la capacità dei genitori di farsi parte attiva promuovendo sinergie con il territorio e arrivando, in alcuni casi, anche a definire vere e proprie policy dell’istituto. Tutto ciò pur partendo da un obiettivo lodevole, contribuisce, inevitabilmente, ad acuire la disuguaglianza di opportunità all’interno del sistema scolastico cittadino.
In ultimo, anche in ragione di quanto detto sopra, occorre considerare il livello territoriale e l’approccio con cui un ente pubblico deve tenere insieme un progetto di città con le singole azioni bottom up da parte di cittadini, spesso interessati a un aspetto o bisogno specifico, legato alla loro dimensione personale (la scuola dei figli, il giardino del quartiere), per un periodo definito nel tempo.
Non c’è dubbio che quando dei cittadini si fanno parte attiva per rilanciare dei servizi o recuperare spazi pubblici, questa azione virtuosa è letta – legittimamente – come una mancanza dell’azione pubblica. E la stessa percezione vale quando il pubblico cede pezzi al terzo settore. Ma il punto non è questo. O non solo.
Ridefinire il ruolo e i compiti dell’ente pubblico
La scarsità di risorse economiche è indubbiamente un tema centrale ma credo altrettanto fuorviante, per interpretare le nuove sfide alle quali è chiamata l’amministrazione pubblica.
Alla luce di un terzo settore che gestisce servizi pubblici e cittadini che si riuniscono in gruppi, che in molti casi diventano portatori di forti interessi del territorio, quale deve essere il ruolo di un’amministrazione quando non è più la sola a fornire servizi, a prendersi cura del patrimonio e in alcuni casi a definire le politiche pubbliche?
Questa è la domanda centrale, e cruciale, che occorre porsi superando paradigmi obsoleti e un dibattito estremamente sterile e polarizzato che non aiuta a comprendere la complessità del contesto.
Le amministrazioni locali sono state per molto tempo le sole a erogare in modo quasi esclusivo servizi per il territorio; oggi si trovano ad essere uno dei soggetti che risponde ai bisogni dei cittadini. Come spiegano Brunod, Moschetti e Pizzardi in “La coprogettazione sociale” questa transizione sarebbe comunque avvenuta indipendentemente dalle risorse economiche a disposizione, perché il contesto sociale e lavorativo è radicalmente cambiato rispetto agli anni in cui il welfare si è strutturato e ampliato (anni ’70). Oggi siamo di fronte a un quadro costituito da bisogni e richieste sempre più specifici e in un ambiente così frammentato e “liquido” diventa illusorio pensare che un unico soggetto – quello pubblico – possa, da solo, soddisfare tutte le domande.
Non è un caso che Gianluca Cantisani in “La scuola come comunità, un sogno realizzato” parla di “tempo scaduto” per la delega della scuola, augurandosi che un’amministrazione condivisa possa portare scuola e genitori a incontrarsi per definire il proprio progetto di sviluppo.
La mia esperienza
Un esempio per comprendere le difficoltà in cui opera oggi un ente locale, e nello specifico un assessorato che elabora offerte educative integrative per le scuole, è il passaggio all’autonomia scolastica. Le istituzioni sono diventate più dinamiche e aperte e hanno attuato programmi e politiche in una logica di competizione educativa che ha innescato una polarizzazione della domanda verso alcuni istituti, producendo fenomeni di ghettizzazione e segregazione scolastica, molto ben illustrati da Pacchi e Ranci in “White Flight a Milano”. Fenomeni che oggi assumono dimensioni sempre più rilevanti con forti ricadute sul tessuto urbano e sociale delle città, che l’amministrazione pubblica deve governare. Per cui se da un lato non si deve reprimere lo slancio e il capitale umano che si genera in alcune situazioni, dall’altro l’amministrazione pubblica ha il dovere di commisurare le richieste in un progetto che guardi al territorio in un’ottica di uguaglianza di opportunità.
Per provare a gestire la frammentarietà del contesto attuale Milano ha lanciato Scuole Aperte 2.0. A Torino, invece, attraverso la ricerca “Scuola-Cultura-Territorio”, elaborata e condotta dalla città di Torino nel 2017 insieme all’Osservatorio per la Cultura del Piemonte, abbiamo mappato le attività extra-curricolari (in orario curricolare e non) nelle scuole. Questa azione ha permesso di conoscere con maggior dettaglio cosa viene offerto dalle singole istituzioni e chi sono i soggetti terzi coinvolti, dando la possibilità all’assessorato di rielaborare un’offerta educativa più mirata e corretta rispetto a esigenze specifiche.
Questa operazione di raccolta di informazioni non è stata priva di ostacoli: da un lato la scuola che non è stata accompagnata e supportata sotto il profilo amministrativo nel processo di autonomia, in alcuni casi, non è in grado di raccogliere e sistematizzare i dati per trasferirli a terzi (e spesso non ha contezza di ciò che avviene dentro la propria struttura); dall’altro si è manifestata la ritrosia di molte autonomie scolastiche o attori culturali del territorio a rendere disponibili i dati. Il problema della condivisione delle informazioni è un tema cruciale per elaborare politiche, ma è un problema che troverà soluzione solo quando si formerà, in modo chiaro, un luogo in cui poter far convergere le istanze di tutti.
La ricerca sopra menzionata era per me un’occasione preziosa per costruire un processo di Governance, così come è avvenuto per il progetto di “Scuola Centro Civico” avviato nel 2017 e ora in fase conclusiva, in cui l’ente pubblico non è soggetto passivo che accoglie le spinte che arrivano dal basso perché “perde dei pezzi”, ma l’ente pubblico è un soggetto attivo che propone un progetto che viene condiviso per ricomprendere le energie e le risorse attive nel territorio, soddisfando le esigenze in un’ottica sistemica.
Prendere le redini di questo cambiamento implica, innanzitutto, continuità politica, e un passaggio culturale in cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero ritrovare autorevolezza e profondità di pensiero, per elaborare politiche di lungo respiro che aprano a una trasformazione strutturale della macchina tecnica.
Credo sia questa la sfida più importante e affascinante che si deve affrontare: ridefinire ruoli, processi e compiti e costruire un senso di comunità a dispetto di una cultura individualista e incline a rivendicare un proprio diritto senza guardare all’insieme del sistema.
Occorre guardare a questa transizione non come a una perdita ma come a un’occasione di rilancio. La responsabilità di rendere leggibile il contesto, di aprire un dibattito serio, positivo e costruttivo per risignificare il valore della parola “pubblico” e comprenderne i nuovi paradigmi culturali, è tutta della politica.
Foto di copertina: Cristina Renzoni, Scuola media Drovetti dell’IC Racconigi oggetto del progetto Scuola Centro Civico – Torino Educational Lab
Architetto e Dottore di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, Federica Patti si laurea a Torino dopo periodi di studio a Oxford e Mosca. Già Assessora all’Istruzione e all’Edilizia scolastica della città di Torino, insegna nella scuola secondaria di I grado. È stata Assistant Director al Centro di Architettura Contemporanea di Mosca (2004-2005) e collabora con il Giornale dell’Architettura dal 2003. Si occupa e scrive di temi relativi a educazione, scuola e architettura.