Il processo penale a carico di alcune persone accusate di aver occupato abusivamente un’area agricola in località Mondeggi a Bagno a Ripoli (FI) si è concluso con un’assoluzione piena per impossibilità di verificare che le persone identificate dimorassero effettivamente presso i luoghi ispezionati dalle autorità di polizia. Si tratta della conclusione giudiziaria di una vicenda molto interessante.
Le risultanze del processo
Dal processo è emerso che un’area agricola estesa, di pregio anche paesaggistico, nel comune di Bagno a Ripoli aveva subito ripercussioni negative a seguito di scelte imprenditoriali assunte negli anni Ottanta, tanto da portare la società agricola di Mondeggi e Lappeggi al procedimento di liquidazione. Questo stato di cose aveva prodotto una condizione di disuso prolungato dell’area, nel frattempo passata di mano alla Città metropolitana di Firenze, comportandone il totale abbandono, incluse alcune case coloniche presenti sul terreno. Dal 2014 alcune persone, nel timore che l’area fosse destinata a operazioni di speculazione immobiliare, decidono di occupare parti delle aree e, in particolare, le case Cuculia e Mondeggi.
L’istruttoria processuale testimonia che gli occupanti, con una partecipazione estesa di cittadini attivi e anche con contadini presenti sul territorio, hanno rimesso in uso le case coloniche abbandonate e riattivato le coltivazioni di parte dei terreni, riprendendo alcune colture tipiche dell’area. Così facendo, pertanto, l’area è stata rigenerata e ha ricominciato una sua funzionalità produttiva. Tali accertamenti sono stati confermati in sede dibattimentale.
A fronte di questa situazione il giudice ha stabilito la non colpevolezza dei soggetti identificati in ragione del fatto che non sia stato dimostrato che gli identificati fossero davvero i rei dell’occupazione. In altre parole, il giudice ha sorvolato sulla questione sostanziale che la vicenda poneva, preferendo sottolineare un aspetto formale che ha consentito agli imputati di essere dichiarati incolpevoli.
La sostanza vera della questione
Tuttavia, si sottolinea appena che il caso riveste grande importanza per il diritto e, forse, meriterebbe di essere affrontato ponendo al centro della discussione altri temi. Sembra contrapporsi, nella vicenda riassunta secondo l’istruttoria procedimentale, un confronto fra violazione formale della legge, l’occupazione abusiva di proprietà altrui, e attività svolta che ha rigenerato un’area di grande pregio pubblico senza titolo. In apparenza il confronto tra queste due condizioni dovrebbe risolversi in una netta prevalenza della riaffermazione del diritto formale su quello informale, perché così esigerebbe lo stato di diritto. Anche se il giudice si è tenuto lontano dall’affrontare questa questione, risulta evidente che non se l’è sentita di affermare che, alle condizioni date, la soluzione giusta fosse riaffermare la legalità formale. Eppure, il tema meriterebbe considerazione.
Esiste una responsabilità dei proprietari per abbandono?
Il diritto di proprietà può godere di piena protezione, finanche quando finisce per deteriorare un’area di pregio paesaggistico? Il riutilizzo e la valorizzazione di aree agricole preservandone le potenzialità agricole e di suolo naturalistico meriterebbe un qualche sostegno?
A queste domande si potrebbe dare una risposta ragionevole che porterebbe a concludere che, di fronte a condizioni come quelle descritte di un’area significativa irresponsabilmente abbandonata e lasciata in degrado, sia giusto sostenere chi si è adoperato per il riutilizzo e per la nuova valorizzazione sociale ed economica dell’area, ma ciò contrasterebbe con il diritto, perché per affermare tali conclusioni occorre una legittimazione preventiva basata sulla legge che in questo caso non esiste. Esistono, per la verità, nell’ordinamento alcune norme che a volte fanno valere anche forme di responsabilità per abbandono: ne sono prova, ad esempio, l’art. 838 cod. civ., le norme che legittimano l’intervento dei poteri pubblici su edifici pericolanti e altro ancora. Nessuna di queste situazioni, però, sarebbe idonea a legittimare quanto è successo a Mondeggi. E, dunque, esiste un diritto ingiusto?
Ripartire dall’affermazione del principio di sostenibilità ambientale
Arrivare a questa conclusione non sarebbe di per sé sorprendente, ma certamente sarebbe difficilmente accettabile. In questo senso, allora, sarebbe forse opportuno cominciare da parte degli operatori del diritto a dare un nuovo significato al principio della sostenibilità ambientale, quale principio che, intento a far valere la responsabilità all’uso razionale e prudente delle risorse naturali, si opponesse in modo vincolante contro quelle scelte dei titolari di proprietà che si risolvano in abbandono e disuso dei beni, perché considerati inidonei a garantire ancora le utilità a cui il proprietario è interessato. La sostenibilità ambientale dovrebbe costituire, cioè, un principio che sostanzia una sorta di divieto allo spreco delle risorse naturali. Così sarebbe in grado di legittimare le azioni volte a restituire funzionalità naturale ai beni abbandonati. D’altra parte, letto così il principio di sostenibilità avrebbe la forza di valorizzare un altro principio che il nostro ordinamento conosce: quello della limitazione del consumo di suolo, il cui rispetto – come è noto – si realizza anche attraverso la salvaguardia delle aree agricole. L’affermazione di un principio del genere sarebbe conforme a Costituzione, dove gli articoli 42 e 44 cost. delineano il carattere funzionale della proprietà e, allo stesso tempo, non sarebbe idoneo da solo a comprimere tutte le facoltà ricomprese nel diritto di proprietà. Infatti, il principio di sostenibilità ambientale avrebbe la forza di incidere sui diritti di godimento della proprietà, ma non sui diritti di disponibilità del bene.
Utilizzare il principio di sostenibilità ambientale quale principio vincolante del diritto potrebbe fornire una chiave di lettura per giudicare i tanti casi che si verificano sul territorio italiano simili a quello di Mondeggi. Naturalmente, le circostanze specifiche e la ricostruzione dei fatti dei singoli casi sono determinanti per verificare la concreta praticabilità di una lettura di questo tipo, che andrebbe accertata, dunque, caso per caso.
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