La sezione lombarda di controllo della Corte dei conti affronta, con il parere in commento, il tema dei limiti e della natura dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici di cui all’art. 12 della legge 241 del 1990 – come noto, la legge che disciplina in via generale l’attività amministrativa. Si tratta della disposizione che consente alle pubbliche amministrazioni l’attribuzione in favore di soggetti pubblici o privati di vantaggi economici di qualunque genere a patto che ne siano previamente determinati i criteri e le modalità, la cui effettiva osservanza deve risultare dai singoli provvedimenti attributivi.
Venendo alla fattispecie concreta, la richiesta di parere proviene da un comune di poco più di 3000 abitanti preoccupato di far sopravvivere la storica filarmonica locale, attiva sin dalla fine dell’Ottocento nell’educazione musicale e, in generale, nell’opera di sensibilizzazione e diffusione della cultura musicale presso la popolazione. Si rivolge al giudice contabile per avere lumi circa la possibilità di prevedere finanziamenti straordinari in favore dell’associazione, già beneficiaria di contributi ex art. 12. Si tratterebbe, espone il comune, di derogare il regolamento per la concessione dei contributi alle associazioni, prevedendo erogazioni eccedenti la differenza tra le spese e le entrate risultanti dal bilancio associativo, se del caso giustificate dall’organizzazione di iniziative a vantaggio della crescita e della valorizzazione della comunità locale, oppure qualificando le stesse come corrispettivo per lo svolgimento di specifiche prestazioni e servizi strumentali in favore dell’amministrazione stessa.
Il parere della Corte dei Conti Lombardia
La risposta del collegio contribuisce a chiarire la ratio dell’art. 12 e le sue potenzialità applicative dei paradigmi di sussidiarietà e del diritto amministrativo paritario. In estrema sintesi, la sezione regionale ricorda come la concessione di contributi, sovvenzioni o altri vantaggi economici in favore di soggetti terzi sia soggetta ad un duplice ordine di limiti.
Il primo, di carattere sostanziale, impone che tali ausili finanziari o economici siano diretti al sostegno di attività svolte nell’interesse della comunità: forse senza rendersi del tutto conto delle conseguenze di una simile affermazione, il parere si riferisce a tal proposito ad attività di servizio pubblico. A prescindere da quest’ultima notazione, su cui si tornerà, appare comunque particolarmente interessante la circostanza per cui, in applicazione di tale principio, venga esclusa la possibilità di ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 12 erogazioni che si configurino quali corrispettivi di prestazioni svolte dall’associazione in favore del comune, come la partecipazione a manifestazioni di carattere istituzionale. Il secondo ordine di condizioni ha, invece, natura formale e si risolve nel rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza. Di qui, la necessità di predeterminare i criteri e le modalità di erogazione del contributo, ai sensi dell’art. 12; di darne idonea pubblicità, conformemente alle disposizioni del testo unico sulla trasparenza (d.lgs. n. 33 del 2013); di richiedere, nel rispetto delle norme contabili, adeguata rendicontazione dell’attività svolta.
Il commento
Con il parere in esame, viene ribadita l’attitudine sussidiaria dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici; soprattutto, la Corte dei conti, in conformità ad un pacifico indirizzo giurisprudenziale, esclude con decisione che, ove operi l’art. 12, possano trovare spazio logiche in senso stretto sinallagmatiche. L’affermazione, o meglio la conferma, non è priva di rilievo ai fini dell’inquadramento giuridico generale del fenomeno dell’amministrazione condivisa. In effetti, attesa l’idoneità del paradigma sussidiario ad innervare la disciplina dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici, i regolamenti comunali possono essere considerati una modalità applicativa – ovviamente, non l’unica – del suddetto art. 12. Si tratta di un’ipotesi ricostruttiva – già avanzata nel commentare la vicenda della Sala Troisi di Roma – secondo la quale i regolamenti si configurerebbero, ai sensi dell’art. 12, come atti generali di predeterminazione delle regole sostanziali e procedurali in base ai quali sono conclusi i patti di collaborazione.
Ciò detto, il parere, ancorché sostanzialmente condivisibile nel suo complessivo impianto argomentativo, appare bisognoso di precisazioni. Criticabile l’enfasi, forse in parte dovuta alla fisiologica attrazione esercitata dal caso concreto anche su considerazioni di natura più generale e astratta, posta sulla natura di servizio pubblico dell’attività oggetto di finanziamento. Né l’art. 12 né l’art. 118 Cost., pure citato dal collegio, sembrano limitare il proprio raggio d’azione alle attività di pubblico servizio: meglio sarebbe stato specificarne l’accezione oggettiva o fare ricorso, sull’esempio della stessa Carta, all’espressione meno impegnativa di «attività di interesse generale». Ciò, non soltanto per evitare le conseguenze esorbitanti la sfera del diritto amministrativo che derivano dall’utilizzo della nozione, ma anche per scongiurare potenziali compressioni dell’autonomia locale.
La scelta interpretativa del collegio
Questa lieve – e, in parte, trascurabile – imprecisione, tuttavia, ha il merito di rendere ancor più evidente l’opzione ermeneutica del collegio. Come noto, la nozione oggettiva di servizio pubblico vale a porre una demarcazione interna ai servizi svolti in favore dell’amministrazione: hanno natura (sostanzialmente) pubblicistica solo quelle attività che mirano a soddisfare interessi e bisogni della comunità, non anche le prestazioni, c.d. strumentali, primariamente rivolte all’amministrazione, intesa come apparato burocratico, e dirette alla soddisfazione dell’interesse (tecnicamente) privato di questa. Il ricorrere dell’espressione servizio pubblico, allora, più che qualificare l’attività che rientra nella nozione, serve nell’economia del parere a marcare la differenza con ciò che ne è escluso: i servizi strumentali, “convitato di pietra” dell’ultima parte del parere, là dove il collegio nega la compatibilità, con la disciplina dell’art. 12, dei contributi versati a titolo di corrispettivo.
Così facendo, la sezione regionale ribadisce che alla sussidiarietà sono da ricondurre esclusivamente le attività di interesse generale in senso stretto o sostanzialmente pubblicistiche, quelle cioè svolte nell’interesse della comunità. Una prospettiva omogenea a quella espressa in questa Rivista nel respingere fuorvianti assimilazioni tra baratto amministrativo e amministrazione condivisa, che intende l’attivismo civico come risorsa della società, non strumento dell’amministrazione.
ALLEGATI (1):