Al termine della tesi magistrale sulle imprese sociali nei processi di rigenerazione urbana, svolta sul caso studio londinese della Hackney Co-operative development, Michele Bianchi prosegue la sua indagine con una tesi di dottorato sulle cooperative di comunità nell’ambito degli studi della sociologia della governance, con particolare attenzione alla partecipazione sociale e alla cittadinanza attiva. Riguardo a quest’ultimo prodotto della ricerca, che qui pubblichiamo, dal titolo A Critical Analysis of Italian Community Co-operatives: a Qualitative Research through Social Capital Theories for Investigating Territorial Connections and Community Development Processes, lasciamo all’autore il compito di presentare il proprio lavoro.
Le cooperative di comunità: tra innovazione e limiti
Le cooperative di comunità rappresentano nel panorama italiano un fenomeno particolarmente innovativo, soprattutto per ciò che concerne la loro capacità di aggregare le persone. Tuttavia, nel trattare di questi peculiari organismi, è opportuno mantenere un’attitudine critica, cercando, in particolar modo, di decostruire alcune visioni e approcci che nel tempo si sono affermati intorno ad essi, sia sul terreno scientifico sia sul piano pratico.
Per questo motivo, la presente ricerca è stata guidata da alcune domande che, in primo luogo, hanno rivolto l’attenzione alla realtà delle relazioni che tali cooperative avevano costituito con il territorio, per poi passare ad indagare su come esse avessero creato progetti e significati comuni. I risultati hanno mostrato sia la grande capacità innovativa sia i limiti del modello, anche in relazione al tema dei beni comuni.
Il tema delle cooperative di comunità
Come già discusso brevemente da altri autori su questa Rivista, le cooperative di comunità sviluppano e gestiscono sia servizi di pubblica utilità che di pura natura profit con l’obiettivo di soddisfare i bisogni locali, sia sociali che economici. Con il loro operato, cercano di rispondere al vuoto lasciato dagli enti pubblici che non riescono ad operare a causa della riduzione di fondi e competenze. Nel corso degli ultimi anni, però, le cooperative di comunità hanno riacquistato il senso proprio della mutualità tra le persone al fine di sopperire a nuove vicissitudini. I processi di generazione di queste cooperative hanno la caratteristica comune di coinvolgere una pluralità di attori locali, che permette a queste di stabilire una rete sociale per comprendere i bisogni locali, attivare risorse e co-responsabilizzare gli altri attori. Il processo di coinvolgimento si riferisce a tutti i membri di una comunità, intesa quest’ultima come individui residenti all’interno di uno stesso territorio.
Discutere le cooperative di comunità come reti locali
È necessario evidenziare che gli studi svolti finora su questo tema hanno condotto analisi di tipo economico o esplicativo sulla nuova forma organizzativa. L’innovazione che si vuole apportare a questo filone di ricerca riguarda piuttosto le modalità che consentono a tali organizzazioni di strutturare rapporti con il territorio. È sulla capacità di creare e gestire reti che s’innesta il tema del capitale sociale. Diversi sono gli approcci che si sono sviluppati sul filo di questa analisi, i quali vanno da una visione di network e di partecipazione della società civile fino a una prospettiva legata più alle relazioni sociali e di comunità. È possibile però riscontrare un elemento comune in tutte queste interpretazioni: il capitale sociale è un capitale produttivo il cui principale risultato è quello di promuovere comportamenti cooperativi e reciprocamente vantaggiosi al fine di superare problemi collettivi.
Perché è rilevante il capitale sociale per le cooperative di comunità?
Queste nuove forme hanno preso in carico la gestione di servizi e beni di comunità al fine di generare dirette esternalità positive. La forma cooperativa è peculiare in questo senso per le sue caratteristiche: governance democratica, potenzialmente operante come non-profit, e chiari obiettivi rivolti alla comunità. Questa forma è funzionale perché può permettere una gestione privata di beni di comunità attraverso un sistema che non sfrutti questi in maniera opportunistica. Alla base del funzionamento di tale modello vi è la fiducia reciproca tra individui e tra organizzazioni, che cooperano insieme al fine di gestire le risorse che posso dare benefici futuri alla comunità. Si veda in tal senso anche il legame che accomuna il tema dei beni comuni a quello delle cooperative di comunità che, nel Regolamento per l’Amministrazione condivisa, sono indicate come possibili forme di gestione dei beni comuni.
Studiare le cooperative di comunità
Al fine di comprendere come questo modello e le derivanti relazioni con la comunità si sviluppano, nel lavoro di ricerca, sono state prese in considerazione cinque cooperative ritenute rilevanti per diversi motivi, sia in termini di collocazione geografica sia di interesse personale rispetto al progetto. Questi soggetti sono: Cooperativa AnversiAmo (Anversa degli Abruzzi, AQ), Cooperativa Brigì (Mendatica, SV), Cooperativa La Paranza (Rione Sanità, Napoli), Cooperativa Post-modernissimo (Perugia), Cooperativa Ri-maflow (Trezzano sul Naviglio, MI). Per ogni caso sono stati coinvolti non solo i cooperatori, ma anche partner locali e cittadini al fine di capire come le interazioni con il contesto locale abbiano influenzato i processi che hanno portato alla creazione di queste cooperative e alla loro mission per lo sviluppo socio-economico delle stesse comunità. La ricerca, successivamente, è stata integrata anche con un questionario online che ha coinvolto altre ventinove cooperative, sparse in varie regioni, ognuna delle quali s’identificava nel modello della cooperativa di comunità.
La parzialità della comunità
Dall’analisi condotta, emerge che, malgrado i progetti sostenuti dalle stesse cooperative siano meritevoli nel loro ruolo di sviluppo, la narrativa della comunità, come gruppo sociale unico e compatto, sia forviante. Ciò che si evince è il fatto che ad unirsi sono specifici gruppi, basati su visioni e valori comuni, i quali si attivano per la comunità, ma creando reti con altre realtà simili con cui condividono i principi di base. Questa comunanza favorisce il mutuo aiuto e lo scambio di risorse, nonché il generarsi di alleanze locali che rafforzano le reti stesse e i valori su cui poggiano, portando anche al confronto con soggetti e realtà esterni alla rete, che, tuttavia, in alcuni casi, possono anche mostrarsi ostili ai progetti cooperativi.
Quest’ultimo aspetto è un elemento rilevante che emerge dalla ricerca a cui il dibattito accademico non ha dato finora rilevanza. Ciò che spesso emerge dalle ricerche sui temi della cooperazione, infatti, è una visione positiva delle reti di collaborazione, non si considera però che queste reti si costituiscono tra soggetti che condividono un retroterra culturale e relazioni sociali consolidate, in molti casi esistenti prima ancora del progetto cooperativo. Le iniziative cooperative propongono al territorio una visione particolaristica su come affrontare i problemi utilizzando risorse locali, cioè, attraverso l’attivismo civico, la solidarietà e una considerevole componente di volontariato; in ogni caso, si tratta di risorse che si aggregano attorno a progettualità innescate da piccoli gruppi con forti leadership chiaramente identificabili all’interno della comunità.
Come ricorda Zygmunt Bauman, il concetto di comunità è oggi artificiale, costruito da determinati soggetti che in essa si ritrovano; tuttavia non è detto necessariamente che questi costrutti comprendano tutta la popolazione presente in un dato territorio geografico, forsanche solo comunale. Come sottolineano altri Autori, lo stesso territorio ospita persone con diverse identità culturali, sociali, economiche, politiche e religiose. All’interno di questa complessità si inseriscono le cooperative di comunità che, pur proponendosi di operare per il bene comune, non possono peccare di parzialità nel coinvolgimento della popolazione locale. Com’è evidente che il capitale sociale attiva risorse e favorisce collaborazione e reciprocità, secondo la visione di Robert Putnam, è anche vero che questo s’indirizza verso aggregazioni di soggetti sulla base di comunanze identitarie e di visione del mondo e della società, come dice Pierre Bourdieu.
La criticità dei beni comuni
A ciò si aggiunga un altro limite emergente dai dati raccolti sul campo, ovvero, la criticità insita nell’uso del concetto di “beni comuni” per la strutturazione dei progetti imprenditoriali. Sebbene gli intenti dei cooperatori siano volti al bene delle loro comunità, la sovrapposizione del modello imprenditoriale e della diffusione della cultura dei beni comuni causa anche conflitti con parte della popolazione che non concepisce come un’azienda privata, seppur struttura al fine del bene comune, possa essere unico gestore del bene, finalizzandolo al proprio interesse.
Bisogna comprendere, soprattutto al fine dell’analisi scientifica, che non è la comunità che si attiva e si fa cooperativa, ma un ridotto numero dei suoi componenti, con esperienze nel terzo settore, con legami sociali consolidati e con una visione comune sullo sviluppo di comunità, che aggrega parti più o meno ampie della comunità – ma sempre affini al progetto – non riuscendo comunque a raggiungere tutti i componenti di questa. A ciò si aggiunge la necessità di trattare il tema dei beni comuni con maggior cautela, perché, malgrado questo approccio sia utile in fase iniziale di promozione del progetto, si può rivelare successivamente critico, qualora vengano avanzati dubbi sulla gestione dei beni comuni o sulla delega a un’azienda privata di questi.
In conclusione, le cooperative dovranno essere sempre più capaci di andare oltre gli ostacoli delle divisioni interne alla comunità, ma, parallelamente, il dibattito pubblico non deve limitarsi a delegare a queste forme d’impresa collettiva il totale ruolo di agenzie per lo sviluppo del territorio, dati i limiti strutturali del fare impresa in Italia.