Comprendere le comunità ed esplorare le opportunità del territorio, gli strumenti per cogliere e trasmettere il giusto valore dei Beni comuni

«Sappiamo quanto costano le cose ma non quanto valgono», con questa frase dello storico britannico Tony Judt (Guasto è il mondo, 2010) apriamo questa breve riflessione sul rapporto tra Fundraising e Rigenerazione. Saper cogliere, e trasmettere, il giusto Valore dei beni ci permette di agire collegialmente, come persone, imprese e comunità, per la loro tutela e valorizzazione.
Per raggiungere questi importanti obiettivi gli strumenti del Fundraising possono venirci in aiuto e assumere una rilevanza strategica per quei territori che desiderano rigenerare un luogo (e i relativi beni) per rispondere a bisogni di natura collettiva. I primi due passi in questo senso riguardano la comprensione della comunità e l’esplorazione delle opportunità.

Comprendere la comunità

Come primo passaggio occorre identificare la collettività di riferimento, ovvero i pubblici che dalla presenza e dall’utilizzo del bene in questione possono trarre benefici sociali, relazionali, culturali, economici e molto altro. L’analisi ci porta ad abbracciare due dimensioni, una orizzontale (geografica) e una verticale (temporale), e grazie alla loro intersezione possiamo poi definire un quadro di riferimento e coinvolgimento che sia sostenibile. Per quanto riguarda la dimensione geografica, la territorialità di un bene spesso non si esaurisce nel mero contesto locale e nei suoi abitanti, pensiamo per un momento ai pellegrini, ai visitatori o agli stessi pendolari che direttamente o indirettamente fruiscono del bene. Rispetto alla dimensione temporale invece è giustissimo focalizzarsi sulla comunità presente, la generazione dell’oggi, e sulle generazioni future, per le quali il bene dovrà venir preservato al meglio delle proprie possibilità, non per questo vanno però trascurate le generazioni passate, verso le quali è nostro dovere poter garantire la storicità del luogo, tramandandone storia e significati. 

Esplorare le opportunità

Il secondo passo riguarda invece l’esplorazione di opportunità atte alla rigenerazione e valorizzazione del bene. Esplorazione che parte dall’individuazione di una missione specifica e prosegue con un’analisi mirata delle singole fonti di sostenibilità. Infatti, come insegnato dai migliori esperti, ogni azione di fundraising ha bisogno di una missione e di azioni concrete su cui coinvolgere i donatori. Declinare questo su progetti collettivi significa in primis individuare una dimensione di valore che il progetto desidera generare ed esplorare, tra la platea di soggetti interessati, chi possa a vario titolo investire nella sua rigenerazione. Il primo luogo al quale fare riferimento è sicuramente la Riforma del Terzo Settore che, sebbene ancora in corso di attuazione, offre alcuni strumenti che possono essere utilizzati per incentivare persone fisiche ed aziende a investire o prestare risorse per lo start-up e la gestione, da parte di imprese sociali, delle attività collocate all’interno di un bene. Nello specifico si fa riferimento a strumenti finanziari partecipativi che permettono a chi investe risorse nel capitale dell’impresa di detrarsi o dedursi importanti somme di denaro. Troviamo poi le fondazioni di erogazione e di comunità, che con frequenza sempre maggiore permettono a progetti di rigenerazione dalla forte valenza sociale di ottenere un supporto nello sviluppo tanto operativo (costruzione o ristrutturazione edile) quanto culturale (azioni di capacity building e formazione). In questo senso è però opportuno commisurare le prospettive di rigenerazione, che saranno condivise e comuni, dato la natura dei beni, con le reali potenzialità gestionali dei soggetti proponenti. In ultimo, e non certo per importanza, è la messa a valore del patrimonio relazionale, conoscitivo e strumentale della comunità stessa, attore che può trasformarsi da beneficiario a creatore attivo del bene. Rispetto a quest’ultimo punto vogliamo cercare di dare una maggior concretezza con una bella storia di successo.

Una storia di successo

La storia del Piccolo Chiostro di San Mauro di Pavia ci racconta della capacità di un sacerdote, un’amministrazione pubblica e di un gruppo di cittadini e imprenditori, di mettere a sistema il valore di un’azione collettiva e coinvolgere le comunità attraverso azioni specifiche di fundraising. Questo è forse il frutto più maturo di una partecipazione cosciente ad un progetto che può in quel momento cambiare un pezzettino di questo mondo.
Il nostro incontro con il Piccolo Chiostro inizia quando all’interno del Master in Religious Fundraising conosciamo un giovane sacerdote di Pavia, Don Franco Tassone, che con grande coraggio e determinazione, sta avviando l’acquisto dal Demanio di un Chiostro di un convento Benedettino adiacente alla sua Chiesa. Il Chiostro, utilizzato fino agli anni ‘70 come caserma, rientra all’interno di una superficie ben più ampia attualmente in stato di abbandono ma che caratterizza un’area strategica per la città di Pavia. L’ambizione di questa operazione è quella di ridare vita a quel luogo, nel rispetto del carisma originale e metterlo a disposizione della città facendolo diventare luogo di carità e sviluppo cittadino.
Don Franco è riuscito in questo a mettere a valore il patrimonio comunitario e a integrarlo con fonti di sostenibilità esterne. In primo luogo tramite l’individuazione di garanti, associazioni e imprenditori, grazie ai quali sono state raccolte le risorse iniziali per l’acquisto e lo start-up progettuale. Persone fisiche e organizzazioni che hanno creduto nell’idea e nella possibilità di riportare a disposizione di tutti luoghi e situazioni di rilevanza storica e religiosa. In secondo luogo, attraverso un’attività di progettazione sociale destinata alle principali fondazioni lombarde è stato possibile avviare il processo di ristrutturazione degli spazi e della corte del Chiostro.
Oggi, grazie alle attività del Piccolo Chiostro, sono stati avviati un centro di ascolto, un armadio per la distribuzione di indumenti e materiali di prima necessità, una mensa, un centro di accoglienza per pellegrini e un luogo di formazione ed apprendimento per i giovani che desiderano imparare il mestiere del restauro artistico. In ultimo, a partire dal 2019 è stato avviato un percorso di valutazione dell’impatto sociale, integrato agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, per dimostrare il valore dell’opera e delle iniziative intraprese al suo interno.

In conclusione

Spesso il timore di intraprendere iniziative di rigenerazione unito a una percezione non chiara dei valori sociali, relazionali e storici di un bene, porta molte comunità a trascurare le proprie risorse più importanti, non cogliendo le opportunità disponibili e non garantendo alle collettività passate, presenti e future, un’adeguata tutela del bene. Per farlo occorre però unire dimensioni e conoscenze apparentemente distanti, dalla sostenibilità alla rendicontazione e impatto sociale, dagli elementi fiscali e legali a quelli della comunicazione e del digital fundraising, dalla progettazione internazionale alle capacità di leadership e management. Esperienze di successo come quella di Don Franco ci mostrano che questa unione è possibile.

Andrea Romboli è un professionista e consulente di Fundraising e Religious Fundraising.

Foto di copertina: Mattia Verga su Pixabay