Imprese di comunità e beni comuni. Un fenomeno in evoluzione è il titolo dell’ultimo Rapporto Euricse, presentato lo scorso 20 maggio, in modalità streaming sui canali social, alla presenza dei due curatori Cristina Burini e Jacopo Sforzi. «Le imprese di comunità», apre Francesco Erbani, giornalista e moderatore dell’evento, «sono forme di cooperazione inedita, raccontano le storie di un’Italia che non si rassegna, che si dà da fare e non aspetta che le risposte ai bisogni arrivino dall’alto».
I processi generativi delle imprese di comunità…
Euricse, l’Istituto Europeo di Ricerca sull’Impresa Cooperativa e Sociale, da più di dieci anni si occupa di promuovere la riflessione sulle specificità delle imprese di comunità, con un’analisi particolare del contributo allo sviluppo economico e sociale dei territori. «Da molti anni, come Euricse, ci occupiamo di imprese di comunità», spiega Sforzi, researcher dell’Istituto, «e il Rapporto ha la finalità di proseguire le attività e di approfondire la rilevanza e i meccanismi che fanno camminare queste imprese». Le imprese sociali, come si legge nel Rapporto, «producono (…) servizi in maniera stabile e continuativa, (…) hanno un carattere “cooperativo” perché gestite dai soci sulla base di principi inclusivi e democratici (…) e si caratterizzano per il loro forte radicamento all’interno della propria comunità con l’obiettivo (…) di migliorarne le condizioni di vita». L’introduzione del Rapporto, infatti, specifica che la ricerca si concentra nell’approfondire: «i processi generativi delle imprese di comunità, la loro capacità di favorire il protagonismo degli abitanti nella co-produzione e nella co-gestione di beni (…), la capacità di queste esperienze di essere replicabili e i loro processi di istituzionalizzazione».
…ora prendono piede anche al Sud
Il Report analizza e rielabora i dati raccolti sul territorio italiano tra il 2019 e il gennaio 2020 e si compone di tre parti. Dopo un capitolo introduttivo, in cui si sottolinea come il tema dello studio sia «una riflessione sulle imprese di comunità quali nuovi modelli imprenditoriali capaci di produrre e gestire beni e servizi di interesse generale per contribuire al cambiamento sociale ed economico»; in un secondo si presentano i risultati dell’indagine quantitativa, necessaria per offrire un quadro credibile della distribuzione geografica del fenomeno, delle caratteristiche generali e delle motivazioni dei team promotori, e dei principali settori di attività delle imprese di comunità. Dall’indagine attraverso i questionari è emerso che le imprese di comunità nate prima del dicembre 2019 sono circa 109, distribuite equamente su tutto il territorio nazionale. Il dato, come sottolinea anche Sforzi, non è da sottovalutare: negli anni precedenti, infatti, si registrava una presenza molto minore di cooperative sociali nel centro-sud e il rilevante incremento di queste è dovuto a provvedimenti locali e nazionali che ne hanno promosso e facilitato la costituzione.
La volontà di rafforzare il tessuto sociale di un dato territorio, di contrastare lo spopolamento e di rispondere a bisogni specifici della popolazione sono le motivazioni principali che spingerebbero gruppi di cittadini a fondare imprese di comunità. Inoltre, circa il 74% dei gruppi che promuovono l’esperienza è riconducibile a collettività informali di cittadini uniti da ideali comuni, per il 15% è impegnata l’amministrazione locale, per il 7% sono coinvolti enti del terzo settore e solo per il 4% le organizzazioni di volontariato. Il numero maggiore di attività si svolge nel settore dell’agricoltura e del turismo, con la promozione di attrazioni culturali, artistiche, enogastronomiche e storiche dei singoli territori. Ancora Sforzi sottolinea come l’emergenza sanitaria ha messo a dura prova queste esperienze condivise: «Il periodo è problematico per alcune imprese del settore turistico, perché non è chiaro ciò che accadrà. Potrebbe trattarsi anche di una opportunità, perché il turismo di massa potrà essere sostituito con un turismo “di nicchia”, più sostenibile».
I tesori “nascosti” dei piccoli comuni
Burini, collaboratrice Euricse, ha sottolineato, invece, l’importanza del terzo capitolo del Rapporto, ovvero la parte qualitativa della ricerca, necessaria per mettere in risalto «come il contesto sociale influenza l’impresa e come quest’ultima influenza il processo di cambiamento nei territori». Lo scopo è quello di approfondire i dati emersi dall’analisi dei questionari focalizzando l’attenzione su otto casi di imprese sociali dislocate in tre regioni, quali Campania, Abruzzo e Toscana. Tra queste c’è l’esperienza virtuosa nata in Campania, con la rete solidale dei “Piccoli Comuni del Welcome”, in cui la base solida dei progetti condivisi è proprio l’animazione e la partecipazione diretta degli abitanti, nel rispetto e nella valorizzazione della tradizione dei luoghi e della dignità di chi arriva da lontano. «Ad esempio, il progetto nato a Chianche, paesino di 400 persone in provincia di Avellino, ha dato la possibilità a molti ragazzi del luogo di non partire, di lavorare come operatori nell’accoglienza. Venivano accolti ragazzi migranti coetanei, con i nostri stessi sogni per un futuro migliore», racconta Francesco Giangregorio di “Tralci di vite”, una delle cooperative dei “Piccoli Comuni del Welcome”.
Imprese di comunità, cittadini e Patti di collaborazione
«Ciò che realmente serve alle imprese di comunità, però», osserva Sforzi, «oltre ad una normativa nazionale per le imprese sociali, è la capacità di promuovere nuovi processi nei territori, di stimolare i cittadini facendo capire l’importanza di una cittadinanza attiva (…), di costruire reti di relazioni con gli altri enti locali, per favorire legami ed inclusione, anche attraverso la stipulazione di Patti di collaborazione». Proprio l’ultima parte del Rapporto è dedicata a una riflessione sul ruolo che le attività delle imprese sui territori ricoprono «e soprattutto che potrebbero ricoprire in futuro, nella gestione dei beni comuni, anche a partire dal Rapporto Labsus 2019; e attraverso uno studio di casi condotto a Perugia». È interessante notare come, secondo il Rapporto Labsus 2019, stia crescendo il numero delle imprese sociali nell’ambito dei Patti di collaborazione: oggi su 830 patti stipulati, circa 30 hanno come attori imprese o cooperative sociali, impegnate per lo più in attività legate all’inclusione sociale, alla cultura e alla valorizzazione di beni storico-artistici. Continua il Rapporto Euricse: «la riflessione sul ruolo di queste organizzazioni all’interno dei Patti di collaborazione induce a vedere, e auspicare, un ulteriore passo in avanti verso il dialogo tra l’amministrazione pubblica e la società civile che, in alcuni casi, può essere svolto con l’impresa di comunità come intermediario che si fa portavoce collettivo delle esigenze di una comunità. In particolare, in tema di affidamento diretto di immobili pubblici». Come accade a Perugia, con i casi della cooperativa di comunità “Anonima Impresa Sociale” e del suo cinema “PostModernissimo”, e del progetto “Emergenze” con l’“Edicola 518”, tutte esperienze di imprese sociali nate per riattivare il tessuto urbano attraverso la riqualificazione di bene cittadino. «Volevamo uno spazio per interagire con la cittadinanza, e anziché creare uno spazio nuovo abbiamo comprato l’edicola del centro storico. Sognavamo di ricostruire una piazza del sapere, una portineria di quartiere, proprio perché la città è il nostro bene comune e occorre che i cittadini se ne prendano cura», spiega Antonio Brizioli di “Edicola 518”.
Il Rapporto si chiude con la richiesta di un maggior coinvolgimento delle autorità locali nel promuovere la nascita di imprese sociali sul territorio e nel supporto di quelle già esistenti, «per avviare un nuovo modo di governare i processi di sviluppo locale».