Due anni fa, Milano intraprendeva con entusiasmo la via dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni urbani per incominciare a prendersi cura dei suoi luoghi. Dopo una prima fase di sperimentazione, durata 14 mesi, nel maggio 2019, il Comune si è dotato ufficialmente di un Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni urbani, ma oggi ha bisogno di più coraggio per sostenere l’enorme potenziale di energia diffusa e latente che la città e i suoi abitanti esprimono quotidianamente.
“Milano scende a Patti” è una ricerca condotta da Luca Benetta, tra ottobre 2019 e febbraio 2020, come tesi di Laurea triennale in Urbanistica. La tesi assume come punto di partenza la svolta sostanziale impressa dal Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni urbani nelle politiche partecipative milanesi. Si interroga, in particolare, sull’utilizzo dello strumento introdotto dal Regolamento stesso, il Patto di collaborazione. Gli obiettivi sono principalmente due: in primo luogo offrire una sintesi chiara e sinottica delle esperienze di Patti di collaborazione condotte fino ad ora nel comune di Milano e, successivamente, delineare un quadro conoscitivo e interpretativo del modello collaborativo milanese nei suoi aspetti principali.
Una rinascita che viene da lontano…
Al contrario di quanto alcune dinamiche sociali ed economiche lasciano intendere, oggi Milano si sta facendo palcoscenico di una rinascita senza precedenti. Una rinascita silenziosa e a grana fine, fatta di piccole trasformazioni pulviscolari pensate e realizzate da abitanti, associazioni e gruppi informali con l’idea di mettersi in gioco per il proprio quartiere e per la città, progettando e costruendo insieme. Si moltiplicano i comitati, le associazioni e le organizzazioni informali composti da cittadini attivi spinti dalla volontà di riappropriarsi semanticamente e fisicamente di luoghi urbani dimenticati o sottoutilizzati, tornando a descriverli, immaginarli, costruirli e viverli.
Questa rinascita viene captata e sostenuta dal comune di Milano, che, nel marzo 2018, con l’adozione delle “linee di indirizzo strategico per la sperimentazione di politiche dirette a promuovere la partecipazione dei cittadini attivi, di gruppi informali, associazioni riconosciute e altri operatori, nella gestione condivisa dei Beni Comuni”, introduce il Patto di collaborazione, uno strumento precedentemente ideato da Labsus per permettere ai cittadini di proporre all’amministrazione comunale progetti condivisi di cura e rigenerazione di beni comuni urbani, quali parchi, aiuole, immobili e spazi pubblici come strade e piazze. Nell’ottica del Patto, infatti, l’approccio è quello della progettazione interattiva, un tipo di processo collaborativo con lo scopo di trattare problemi complessi, che interpreta le diverse prospettive dei soggetti come risorsa e come primaria condizione per il successo del processo.
Il percorso originale del comune di Milano
Ad oggi, grazie al dialogo e all’impegno costante di Labsus, più di 200 comuni in tutta Italia hanno adottato Regolamento. Tra tutte le esperienze, quella di Milano però si distingue per alcune particolarità, di processo e di contenuto.
Il percorso che il capoluogo lombardo intraprende, a differenza degli altri comuni italiani, si compone di due fasi: una prima fase di sperimentazione della durata di 14 mesi, dal marzo 2018 al maggio 2019, in cui è vigente un proto-regolamento; una seconda fase, che si apre con l’adozione del nuovo Regolamento modificato sulla base della sperimentazione, in cui si consolida l’utilizzo del Patto di collaborazione come strumento ordinario. Almeno nella prospettiva dei cittadini.
A livello di contenuto infatti il comune di Milano, da una parte riconosce il Patto come strumento rilevante per la gestione della città ordinaria, ma, dall’altra, decide di mettere a bilancio risorse, umane ed economiche, limitate rispetto alle aspettative e ai potenziali risvolti positivi che un investimento più consistente avrebbe potuto produrre. Questo si riverbera, in particolare, sulla capacità di lavoro che l’Ufficio Partecipazione Attiva, responsabile della maggior parte dei Patti, può sostenere.
Una fotografia della scena collaborativa milanese
Al gennaio 2020, le proposte di collaborazione pervenute all’Ufficio Partecipazione Attiva ammontano circa a cento, di cui circa sessanta pervenute nell’ultimo periodo del 2019, e quaranta già entrate in fase istruttoria. Di queste ultime sono 21 le proposte che hanno concluso l’iter amministrativo e che sono quindi Patti attivi; tra questi rientrano anche i Patti stipulati nel periodo di sperimentazione.
In tutto il territorio milanese hanno collaborato 33 associazioni, otto comitati, trenta cittadini attivi, 18 imprese ed attività commerciali, sei cooperative e consorzi di cooperative e tre fondazioni. Il dato più basso rilevato è quello delle Università, in cui si registra la presenza di un solo ateneo, il Politecnico di Milano.
Tra i 21 Patti di collaborazione attivi, la presente ricerca seleziona tre esperienze, secondo criteri legati alla composizione delle reti di soggetti. Il primo caso studio individuato è quello di San Siro, con il Patto di collaborazione di via Gigante, in cui si distingue per impegno e per potenza progettuale il Politecnico di Milano come soggetto trainante. La seconda esperienza analizzata è quella di piazzale Corvetto, il patto intitolato “Azzaip! Questa non è una piazza”, che vede una fitta e attiva rete di soggetti del quartiere coordinata da Giacomo Sarasso, il gestore del chiosco di piazzale Corvetto, con il supporto di Labsus e Fondazione Cariplo, con il progetto Luoghicomuni. Il terzo caso, infine, è quello di Largo Balestra in Giambellino, con il patto “FateLargo”. In quest’ultima esperienza, la rete proponente si consolida attorno ad un’unica associazione composta da rappresentanti di più realtà del quartiere e il Municipio si inserisce come parte interessata e di supporto al processo di progettazione.
Come Milano scende a Patti?
La raccolta e l’analisi delle diverse prospettive e delle diverse esperienze ha permesso di delineare un quadro interpretativo del modello milanese che individua, da una parte, potenzialità e punti di forza e, dall’altra, criticità e punti di debolezza.
I punti di forza sono senza dubbio: il grado di libertà evolutiva del Regolamento, che anche nell’ottica dell’amministrazione rimane un documento da aggiornare nel tempo; il concetto della valorizzazione delle risorse della pluralità sociale, che rappresenta un punto cardine per scelte politiche della macchina comunale; il consolidamento di una policy community alla scala urbana, ovvero di una rete di soggetti più o meno connessi e a differenti scale territoriali, tanto le associazioni quanto le Università e le fondazioni, che interagiscono nella costruzione e nella partecipazione a questo ramo di politiche urbane.
Le criticità emerse invece riguardano: la limitata sostenibilità economica degli interventi, resa complessa da regolamenti stringenti per la vendita di alcuni beni come quelli alimentari negli spazi pubblici; la complessità burocratica, con cui spesso i cittadini attivi si devono confrontare, sia nelle fasi di progettazione sia in quelle successive di gestione e animazione dei luoghi; il sottoutilizzo di risorse pubbliche esistenti, come le reti di servizi e gli spazi comunali che potrebbero essere messi a sistema per potenziare le attività dei cittadini; l’organizzazione amministrativa, che, anche se sulla carta è decentrata e affidata ai Municipi, nella realtà converge verso un unico ufficio, povero di risorse, che interagisce con gli altri settori pubblici.
Riflessioni conclusive
In conclusione, tra le riflessioni e le valutazioni che la ricerca propone ve n’è una che insiste su un punto cardine. Le esperienze analizzate mostrano come un rischio importante per il successo dei Patti sia l’eventuale ma possibile calo di interesse degli attori nei confronti del processo partecipativo. In questi casi la condizione al successo è spesso la presenza di un soggetto regista capace di coordinare e di mantenere in tensione la rete e il processo stesso e in questo senso, per esempio, i Laboratori di Quartiere, servizi del comune di Milano, rimangono un enorme serbatoio di competenze di community management largamente sottoutilizzato.
Altri spunti, ad integrazione di quelli qui presentati, andrebbero oggi integrati a una riflessione pubblica aperta a tutta la policy community locale, soprattutto in questo momento, in cui il comune di Milano sembra proporre i progetti di cura e di rigenerazione partecipata della città pubblica come stendardo di una rinnovata e innovativa cultura della progettazione urbana. Per questo ora Milano ha bisogno di coraggio, per sostenere con più forza i suoi cittadini nelle azioni di cura, migliorando meccanismi e prassi che spesso frenano e addirittura fermano le attività dei pattisti.
Foto di copertina: Esperimenti di urbanistica tattica nel Quartiere Giambellino (credits: Needle. Agopuntura Urbana)
ALLEGATI (1):