Nasce a Bologna "Una parola amica", un Patto pensato per essere vicini almeno telefonicamente a tutte quelle persone che si sono trovate a vivere in condizioni di solitudine durante il periodo di lockdown

Quale può essere il ruolo dei cittadini di fronte a una emergenza come quella che stiamo attraversando? Quale il ruolo delle realtà associative e dei gruppi informali? Come possono essere costruite relazioni e forme di collaborazione con le istituzioni, in particolare gli enti locali? Le risposte in questi mesi sono state tante e diverse, hanno messo in evidenza l’abnegazione di tanti amministratori ma anche lo spirito di servizio di cittadini comuni, organizzazioni, imprese che hanno dato un contributo importante per far fronte alle difficoltà di chi ha vissuto e continua a vivere condizioni di fragilità che la pandemia ha reso ancora più complesse.

Il ruolo dei volontari al tempo delle emergenze

Le risposte costruite nei territori rappresentano un patrimonio prezioso per costruire quella società della cura che si basa sulla condivisione di responsabilità e relazioni di senso tra tutti le parti di una comunità. Il rispetto delle regole sul distanziamento fisico a cui tutti siamo tenuti, del resto, non può funzionare con l’imposizione dall’alto né può costituire l’alibi perfetto per abbandonare al proprio destino chi, in questa condizione, rischia di pagare un prezzo più alto.
Ecco che, allora, il ruolo del volontariato non può essere quello di supplire alla mancanza di servizi che, soprattutto nelle emergenze, si avverte con dolorosa evidenza, né può essere confinato nel recinto di una facile retorica sulla capacità di offrire risposte solidali nei momenti più difficili.
Quello che ha caratterizzato l’impegno di tanti è, ancora una volta, la capacità di poter essere parte essenziale di un contesto sociale e istituzionale in cui le risposte ai bisogni, i servizi, le politiche si costruiscono insieme, si elaborano con chi sul territorio e nei luoghi della marginalità e della fragilità è impegnato ogni giorno. In questo ambito i Patti di collaborazione assumono una rilevanza maggiore e, una volta di più, dimostrano si essere utili per rendere il potere non lo strumento necessario per impartire ordine ai sottoposti, ma un processo orizzontale per costruire risposte adeguate ai bisogni attraverso la condivisione delle risorse disponibili.

La rete di relazioni del Patto

Il Patto di collaborazione che proviamo a commentare secondo questa chiave di lettura è stato sottoscritto a Bologna e coinvolge una pluralità di soggetti diversi tra loro: volontari, associazioni, imprese e soggetti istituzionali coordinati dall’associazione capofila, l’Auser Bologna. L’obiettivo è quello di offrire compagnia attraverso il telefono per superare lo stato di solitudine prodotto dal distanziamento fisico e dall’isolamento forzato.
A sottoscrivere il patto, insieme al comune di Bologna e Auser, anche l’Azienda Casa Emilia-Romagna (ACER), che fornisce ai volontari i nominativi degli inquilini che possono aver bisogno del servizio.
Secondo Antonella Lazzari, presidente di Auser Bologna, l’aspetto più importante è rappresentato dalla «convergenza di tutti i componenti della rete per supportare le persone segnalate. Un movimento che ha attraversato e coinvolto tutti sollecitando una inaspettata risposta dei cittadini disposti a ricoprire il ruolo di volontari. Il Patto è stato essenziale per cementare questa relazione».
Della rete fa parte anche Yoox Net-a-Porter, un’azienda che si occupa di e-commerce, che ha chiesto la disponibilità ai suoi dipendenti a essere parte del gruppo di volontari impegnati nelle telefonate di compagnia. Hanno risposto all’appello venti lavoratori, impegnati insieme ad altri cento volontari provenienti dalle altre associazioni coinvolte. Secondo la presidente Lazzari: «la rete ha funzionato anche nel rapporto con le istituzioni grazie al reciproco scambio di informazioni e segnalazioni con i Quartieri e con Lepida (società in house della Regione in ambito telematico) nonostante l’enorme carico di lavoro dei mesi passati». La collaborazione, dunque, ha funzionato anche grazie al Patto di collaborazione che, per sua natura, pone i sottoscrittori su un piano paritario che qualifica in tal senso anche le relazioni.

Come nasce

Il Patto nasce da un altro progetto di sostegno alle persone fragili durante il lockdown, “l’Unione fa la spesa“, un servizio di consegna a domicilio della spesa alimentare e dei parafarmaci per chi ha bisogno di assistenza, ai disabili, a chi è affetto da patologie croniche. Nel lavoro di distribuzione e contatto con i beneficiari è emerso, sottolinea la Lazzari, «il bisogno di relazioni di chi si è improvvisamente trovato a vivere in condizioni di isolamento sociale e solitudine». Lettura del bisogno, quindi, risposta della comunità in collaborazione con le istituzioni, mobilitazione delle risorse attraverso la costituzione della rete attiva nel Patto. Un modello semplice per un’azione molto concreta che può costituire un riferimento per l’attivazione dal basso di servizi di welfare capaci di guardare alla comunità come espressione di risorse e non solo di bisogni, una comunità che non si limita a eseguire il compito di ridistribuire la spesa a chi ne ha bisogno ma è capace di leggere il contesto.

Come funziona

«Ogni organizzazione segnala la disponibilità dei suoi associati per le telefonate», ci spiega Antonella Lazzari, «ad ogni volontario vengono abbinati dei beneficiari e viene chiesto di effettuare non più di una/due telefonate ogni settimana. Il Comune ha predisposto per ogni volontario un format per garantire il rispetto della privacy e l’Auser ha garantito la copertura assicurativa. Ogni beneficiario è stato informato in via preventiva del contatto telefonico che di lì a poco sarebbe stato effettuato e della possibilità di accettare o meno il servizio». Su quasi 450 contatti più di 350 persone hanno proseguito il rapporto dopo la prima telefonata, «due terzi delle persone segnalate usufruiscono del servizio partito l’8 maggio, il prossimo 15 giugno verrà realizzato il primo monitoraggio per avere un riscontro quantitativo e qualitativo dei risultati».
La formazione dei volontari rappresenta un punto di forza del Patto di collaborazione. Tra le organizzazioni coinvolte in questa attività l’associazione il G.Ri.Fo. Counselling (Gruppo Ricerca Formazione e Counselling). Ilaria Iotti, counselor dell’associazione, sottolinea come la formazione dei volontari è stata incentrata sulla costruzione della relazione d’aiuto, «la vicinanza emotiva, il contatto empatico, l’ascolto sono fondamentali. In particolare con le persone anziane il telefono ci è sembrato lo strumento migliore, funziona per trasmettere le emozioni, per raccontare, per soddisfare il bisogno di parlare e sfogarsi. Il successo del Patto si riscontra anche dal numero minimo di rinunce non solo tra i beneficiari ma anche tra i volontari».
Forse è proprio la relazione tra beneficiari e volontari la ricchezza di questo progetto. Ancora una volta una caratteristica tipica dei Patti emerge: nessuno ha un ruolo passivo e tutte le persone hanno qualcosa da offrire, ognuno è una risorsa. Ancora Antonella Lazzari racconta quanto questa esperienza rappresenti «una scommessa con una complessità elevata perché mette in relazione generazioni diverse. Con tanti giovani tra i volontari questo rapporto poteva costituire una ricchezza ma anche un rischio. E invece sono tante le relazioni forti che sono nate e a trarne un beneficio sono anche i volontari».

Un “filo” che deve rimanere anche nel post emergenza Covid-19 

Il Patto ha una durata di sei mesi, la scommessa deve essere quella di non disperdere il patrimonio di relazioni e soggetti che stanno collaborando, per guardare ancora oltre e rendere questo Patto generativo di nuove e ulteriori risposte a bisogni collettivi.
Solo poche settimane fa Donato di Memmo, funzionario del comune di Bologna e compagno di strada di Labsus, nell’evento di presentazione del Rapporto 2019 ci ricordava che «interpretare le necessità e i bisogni di una città complessa come quella attuale diventa indiscutibile per la situazione che stiamo vivendo. O sappiamo gettare ponti credibili, seri, autentici con la nostra comunità oppure l’amministrazione pubblica si troverà sola e impotente da una parte e i cittadini soli e abbandonati dall’altra». Da una delle volontarie del patto di collaborazione “Una parola amica” arriva una prima risposta a queste riflessioni. A chi le chiede se desidera sospendere le telefonate di compagnia ha risposto «non ci penso neanche!».