«In un periodo politico in cui l’immigrazione è vista come un problema e non una risorsa», come afferma Pierluigi Stefani, consigliere nazionale di CSVnet, ma soprattutto in cui il volontariato è stato fondamentale per gli abitanti del nostro Paese, è sorprendente scoprire un movimento di volontariato svolto da persone straniere residenti sul nostro territorio. Infatti è proprio da questa apparente discordanza che proviene il titolo della ricerca condotta da CSVnet, in collaborazione con tutti i Centri di Servizi per il Volontariato italiani: “Volontari Inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata”.
I numeri del fenomeno
L’indagine è frutto di un lavoro capillare condotto in 163 città d’Italia, attraverso 658 questionari e tante testimonianze di immigrati volontari, insieme alle esperienze e i dati di 5 grandi reti nazionali del terzo settore (Avis, Misericordie, Fai, Touring Club, Aido).
Essendo alla prima edizione, rappresenta un primo passo per conoscere e capire meglio quali sono le motivazioni che spingono le persone di origine straniera a svolgere il volontariato nei contesti in cui vivono, diversi dal loro luogo di nascita. Ma non solo: la ricerca, infatti, espone nei minimi particolari anche i numeri di questo movimento di volontariato, nonostante non sia una mera ricerca quantitativa, dà un’immagine esaustiva del fenomeno.
Per ciò che riguarda i numeri sul volontariato effettuato da immigrati, lo studio riporta un’età media di 37 anni e 80 nazionalità diverse, di cui il 52% donne e il restante uomini. Tra questi 8 su 10 hanno un titolo di studio medio-alto, mentre invece 6 su 10 hanno un regolare lavoro. Dati che in fondo assomigliano al fenomeno di volontariato svolto da cittadini italiani. Eppure, se si considera che molti di loro sono “lungo soggiornanti” in Italia, mentre il 40% ha acquisito la cittadinanza italiana nel corso del tempo, è di straordinaria importanza un altro dato che emerge: chi in passato è stato utente di un servizio di volontariato, tra le persone immigrate, oggi intende “restituire” il servizio ricevuto. Una situazione che mette in luce l’importanza dell’inserimento nel tessuto sociale per le persone che arrivano da un altro Paese, e che, una volta immerse nel contesto in cui si sono stabilite, grazie ad esempio ad un lavoro o un titolo di studio, riescono ad impegnarsi in termini di cittadinanza attiva. È altresì importante considerare la funzione dell’attività analizzata: che non è rivolta esclusivamente ad altri immigrati, ma ha un bacino di utenza generale con carattere universalistico; ed è, inoltre, svolta assieme a persone autoctone, e che quindi ancor di più contribuisce a fare da collante al tessuto sociale sul nostro territorio.
Quali sono le motivazioni che spingono a fare volontariato?
Gli autori dell’indagine hanno individuato cinque tipologie di spinta emotiva nell’intraprendere questo percorso: Maurizio Artero e Maurizio Ambrosini indicano come uno tra i fattori principali l’indole dell’individuo, che sceglie di fare volontariato per una sua predisposizione d’animo, per essere solidale. Oppure c’è chi lo fa per arricchire il proprio bagaglio personale o per migliorare alcuni lati caratteriali. Tra i valori che spingono a fare volontariato, c’è poi chi cerca anche un vissuto di socialità. Infatti, alcuni tra i soggetti intervistati che partecipano attivamente, hanno scelto di entrare nella rete per conoscere persone e fare nuove amicizie. Alcuni cittadini stranieri, infine, aderiscono a iniziative di volontariato per cercare un’opportunità di avviamento lavorativo.
In quali settori svolgono il volontariato?
La ricerca si concentra sul volontariato praticato da associazioni non etniche, ossia svolto da associazioni autoctone che si rivolgono indistintamente ad utenti della cittadinanza più ampia e questa trasversalità caratterizza anche l’impegno di questi individui, i quali orientano i loro sforzi su più settori, principalmente quattro.
L’attività più scelta è l’assistenza sociale, come la distribuzione del vestiario, viveri o il servizio nelle mense sociali, sportelli di accoglienza o di ascolto. Segue il volontariato per le attività culturali, che può avere due forme: una che mira all’incontro tra culture diverse, l’altra finalizzata all’organizzazione di mostre o visite guidate. C’è poi chi contribuisce alla creazione di attività educative, rivolte a bambini o adolescenti, oppure ad attività ricreative e di socializzazione, come sagre o spettacoli. I settori in cui la partecipazione attiva trova spazio, grazie al volontariato, si estendono, con numeri minori rispetto agli altri settori ma pur sempre importanti, anche alla protezione ambientale o alle attività finalizzate allo sviluppo economico e di coesione sociale. Come ad esempio il progetto Ic Sum, finalizzato alla promozione della imprenditorialità sociale, ricordato da Andrea Del Bianco, direttore nazionale della Confederazione delle Misericordie, nella video-presentazione di questa importante indagine.
Un ulteriore arricchimento del mondo del volontariato
Questa indagine intende fornire un’idea chiara sul volontariato “inatteso”: non è importante il tempo trascorso in questo Paese, ma il tempo che si trascorrerà, all’insegna dello spirito di condivisione, che inevitabilmente porta ad un arricchimento. Ma mette in luce anche un altro dato: «la ricchezza e la pluralità del mondo del volontariato si arricchisce ulteriormente. Lo conoscevamo e lo presentavamo come un luogo particolarmente importante di relazioni tra fasce generazionali, ma la ricerca su immigrazione e volontariato ci dice che questa grossa potenzialità di facilitazione delle relazioni avviene anche in favore di persone che provengono indirettamente o direttamente dai fenomeni di immigrazione», come sostiene Stefano Tabò, presidente del CSV net.