Siamo in una società complessa e in grande trasformazione. «Le sfide della società e dell’economia contemporanea sono i grandi cantieri progettuali che richiedono non soltanto un approccio normativo classico e una politica classica», bensì un ripensamento complessivo dell’azione politica e quindi «una partecipazione e un attivismo concreto e non solo come un’azione ‘metaforicamente digitale’». Ancor più se si pensa che questa esigenza nasce da una «crisi delle forme politiche tradizionali di comprensione e azione sulla complessità». Sono le considerazioni che hanno dato vita all’incontro con Stefano Maffei, architetto e Ph.D. in Design, Professore Ordinario presso la Scuola del Design, Politecnico di Milano, dal titolo Partecipazione e Design. Come si genera il cambiamento? Una visione trasversale tra design dei servizi for policy.
L’incontro nasce all’interno del ciclo di seminari promossi da cheFare?, associazione culturale non-profit fondata nel dicembre del 2014, nata con l’obiettivo, «insieme a comunità, organizzazioni e istituzioni», di creare nuove forme di “impatto culturale”. Come?
«Sviluppiamo progetti, costruiamo strategie e guidiamo i dibattiti per trasformare l’esistente», scrivono. Parte di questa strategia è il Festival Itinerante dei nuovi centri culturali, rassegna online e dal vivo di conferenze, seminari e laboratori «per sviluppare nuove competenze e costruire insieme un orizzonte di senso comune».
Per ripensare il significato della partecipazione
Una serie di eventi, quest’anno, per note ragioni, svoltisi solo online, dal 22 giugno al 1° luglio; alcuni a porte chiuse, altri aperti (tra i quali Forme della collaborazione tra arte, attivismo e tecnologia, con Tatiana Bazzichelli, direttrice artistica e fondatrice del Disruption Network Lab, organizzazione non-profit con sede a Berlino; o Lezioni sulla Partecipazione dalle Aree Interne, con Filippo Tantillo, ricercatore INAPP, già coordinatore scientifico della Strategia Nazionale Aree Interne).
«Stiamo vivendo in un momento di profonda incertezza», scrivono gli organizzatori presentando l’iniziativa sul sito. «In tutta Italia migliaia di comunità e organizzazioni stanno rispondendo attraverso azioni culturali collaborative. Abbiamo bisogno di nuove esperienze, competenze e prospettive per ripensare il significato della partecipazione».
I nuovi centri culturali, perciò, rappresentano uno spazio «di confronto, di scontro e di trasformazione, luoghi che davanti alle limitazioni richieste dal principio di distanziamento sociale devono affrontare la sfida di un ripensamento totale delle loro attività e del loro ruolo».
La mission dell’articolata e ambiziosa iniziativa è, perciò, strategica – come ha detto Maffei nel suo intervento: rimettere al centro la politica e definirla come Progetto aperto. «La traduzione dell’intenzione politica entra in maniera significativa nel disegno dei processi e nella loro esecuzione pragmatica»; ossia: c’è la «necessità di un approccio complessivo: dalla definizione del problema sino alla costruzione delle strategie operative e alla realizzazione degli interventi». Sembra un’utopia, visti i tempi condizionati dal “tutto e subito”, ma è estremamente pratica, sebbene, diciamolo, inusuale nel nostro Paese. A patto che si segua questa logica; lo spiega bene Maffei: «Sono necessari l’analisi e l’allineamento tra la politica stessa, il suo programma attuativo, il campo di applicazione e il soggetto-oggetto-azione d’intervento». Questa visione della democrazia, lontana dal pluralismo agonistico/competitivo, ma fondata sulla partecipazione (“democrazia radicale”, viene anche chiamata), non può passare che dalla “Partecipazione“. Anche i 17 obiettivi dell’Agenda 2030, ad esempio, parlano di questa transizione di sistema che non riguarda solo gli individui o la comunità.
La città: luogo privilegiato per la condivisione di progetti
Partecipazione che, in concreto, come cita Maffei, significa: iniziative popolari; referendum; consultazioni e dibattiti pubblici; Patti di collaborazione; bilancio partecipativo.
Luogo privilegiato, per l’attuazione pratica di questo disegno, sono senz’altro le città, «come attivatore, concentratore di pratiche e servizi collaborativi». Ne è un prezioso esempio il percorso fatto da Barcellona negli ultimi anni: «Città inclusiva e digitale», la descrive Maffei, «che si fonda su intelligenza collettiva, partecipazione e sovranità tecnologica. Per costruire una città oltre il concetto di smart city. Dove la tecnologia è al servizio dei cittadini e la città diventa laboratorio d’innovazione». Esempio è l’Impetus Plan 2016-2019, nel quale si coniugano i bisogni sociali e un’economia solidale, e il risultato è «un’iniziativa municipale che promuove un’economia di giustizia sociale al servizio delle persone».
In Italia le esperienze inquadrabili in questo disegno complessivo non sono tante, informa Mazzei. Tra quelle da segnalare c’è senza dubbio “Milano Partecipa“, con il suo Bilancio partecipativo, grazie a «piattaforme digitali che permettono maggiore accountability e trasparenza rispetto all’intero processo del bilancio partecipativo, supportando il dialogo, la consultazione e il voto online dei progetti proposti, facilitando il monitoraggio delle attività svolte in presenza».
O la Social Street a Bologna, esperienza passata “dal virtuale al reale al virtuoso”, nata come gruppo Facebook nel 2013 per promuovere forme di innovazione dal basso attraverso la partecipazione digitale e territoriale nei quartieri e poi diventata comunità vera e propria. O, sempre nel capoluogo emiliano, il Laboratorio Aria-Innovazione Urbana, con l’obiettivo di «aumentare l’ingaggio e la consapevolezza, la base dati e la comunicazione rispetto al tema della qualità dell’aria». E i “Laboratori di Quartiere“, che fanno parte di un percorso di partecipazione e collaborazione cittadini-municipalità per il dialogo su progetti di trasformazione per la città.
La capacità di innovare — per Maffei — non significa, quindi, solo migliorare in generale la produttività della spesa, «ma agire sul rafforzamento dei processi di partecipazione democratici, sull’aggiornamento dei processi della politica, sulla maggiore connessione tra azione nella sfera pubblica e quella nella sfera privata e anche per definire azioni di policy making che siano adatte a produrre innovazione resiliente».
Per questo è importante il processo che si sta implementando: un processo di «costruzione delle policy diventerebbe la piattaforma ideale per un processo allargato (co-progettato e co-attuato) e rappresenterebbe uno strumento privilegiato per i governi locali e nazionali per coinvolgere i cittadini, imprese e istituzioni in un processo collaborativo».