È Ussita il terzo comune marchigiano ad adottare il Regolamento per l'Amministrazione condivisa dei Beni comuni. Ne parliamo con Chiara Caporicci, presidente dell’associazione C.A.S.A. - Cosa Accade Se Abitiamo

“Si riparte!”. Da pochi giorni Ussita (piccolo comune nelle Marche ferito duramente dai terremoti del 2016-2017) è il terzo comune marchigiano ad adottare il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura, la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani. Ne parla con entusiasmo Chiara Caporicci, presidente dell’associazione C.A.S.A. – Cosa Accade Se Abitiamo (e residente di Ussita), che con decisione e in tempi brevi ha portato avanti un percorso che ha ottenuto il successo che merita: le abbiamo fatto alcune domande per capirne spirito di fondo e progetti in corso.

Come nasce il Regolamento? Ci puoi raccontare la storia che ha portato a questo risultato?

Abbiamo intrapreso il percorso di approfondimento e partecipazione con la comunità sul tema dei Beni comuni ad ottobre 2019. C.A.S.A., l’associazione di cui faccio parte, aveva notato l’interesse della popolazione per queste tematiche durante uno degli incontri dei Cantieri mobili di storia, a cura dell’Istituto Storico di Macerata, e nei primi incontri conoscitivi della guida nonturismo di Ussita (uscita il 16 luglio 2020, ed. Ediciclo) e curata da Sineglossa e Riverrrun hub, durante i quali diversi abitanti avevano manifestato il desiderio di prendersi cura del territorio, come pulire un sentiero o sistemare un’area comune, o come mettere il proprio tempo libero a disposizione per i bisogni degli altri, così come succedeva quando la vocazione di Ussita era legata ad un modello di tipo agro-silvo-pastorale e il tema dei beni collettivi era molto sentito. Con l’incrementarsi delle dinamiche di spopolamento delle aree interne appenniniche e il cambio di modello sociale ed economico negli Anni ‘60/’70, questa forma di auto-aiuto tra cittadini e il concetto di comunità sono venuti a mancare. Il sisma del 2016 e del 2017 ha dato purtroppo il colpo finale a queste buone pratiche, ormai lontane, ma fondamentali per cercare di rafforzare e costruire una comunità. Dai primi confronti con la popolazione abbiamo capito che era necessario trovare uno strumento che ci permettesse di mettere in atto questo processo di “ricostruzione immateriale”. Parallelamente, ActionAid aveva avviato una riflessione a livello nazionale sulle pratiche cosiddette di Welfare di comunità, ovvero quelle pratiche collaborative finalizzate in particolare a due obiettivi: produrre beni e servizi che non sono reperibili né attraverso il mercato né tramite il soggetto pubblico, o lo sono ma con modalità e caratteristiche differenti da quelle desiderate; il secondo è quello di favorire la coesione sociale. Dall’incontro con Labsus, avvenuto tramite Action Aid, abbiamo capito che i Patti di collaborazione potevano rispondere a questa esigenza, insieme ad una metodologia già sperimentata e, soprattutto, alla conoscenza di buone pratiche esistenti in altre zone (anche simili ad Ussita per popolazione e territorio) per trasformare la frustrazione e l’incertezza, in particolare nei confronti della pubblica amministrazione, in qualcosa di più concreto e possibile da realizzare, sostituendo la lamentela con la responsabilità e la difficoltà con le istituzioni in una collaborazione utile.

Quali sono stati i passi successivi?

Abbiamo convocato tre incontri con la popolazione a fine 2019, facilitati da due esperti di lavoro in gruppo e supervisionati dalla responsabile di ActionAid per il Centro Italia. Durante il primo incontro abbiamo provato a confrontarci tutti insieme sul significato di Beni comuni e interesse generale, su come funzionano Regolamento e Patti e abbiamo iniziato a raccogliere le prime istanze. Nel secondo incontro siamo andati più in profondità nelle esigenze e nelle disponibilità degli ussitani in relazione a rigenerazione, riqualificazione o cura di Beni comuni materiali e immateriali. Nell’ultimo incontro dell’anno, quello del 21 dicembre, abbiamo provato, grazie anche alla presenza di Pasquale Bonasora di Labsus, a trarre delle prime conclusioni e a decidere insieme come proseguire il percorso che ha colto disponibilità e interesse anche del commissario e di diversi cittadini e cittadine. È così che abbiamo proposto al commissario prefettizio Giuseppe Fraticelli (Ussita è un comune attualmente commissariato) l’adozione del Regolamento dei Beni Comuni elaborato da Labsus e già approvato in oltre 210 comuni in Italia. Fin da subito abbiamo trovato terreno fertile e finalmente da qualche giorno Ussita è il terzo comune marchigiano ad averlo adottato.

Quali sono stati gli ostacoli da superare e quali sono stati i punti di forza?

In una comunità molto piccola e duramente colpita da una catastrofe come il terremoto, che l’individualismo prevalga sul concetto di coesione sociale sembra essere impensabile. Ma in realtà è naturale e inevitabile, sicuramente comune a tante aree dell’Appennino che avevano comunità frammentate e indebolite già prima del sisma. Inizialmente è stato complesso parlare di beni collettivi ad Ussita senza ricevere diffidenza e scetticismo («ma che volete in cambio?»), ma la costanza degli incontri, sempre aperti a tutti, un confronto paritario tra popolazione e amministrazione, la reportistica a trasparenza del percorso hanno avuto la meglio. È stato importante sciogliere ogni dubbio, leggere e analizzare insieme il Regolamento parola dopo parola, sottoporre a Labsus ogni domanda, ascoltare le esigenze della cittadinanza e coinvolgere l’amministrazione che è stata fin da subito propositiva verso questo tema.

Quali sono gli aspetti più importanti su cui puntate?

Raccogliere le idee già emerse, capire se possono essercene delle altre, immaginare come accompagnare e stimolare la comunità all’utilizzo di questo nuovo strumento che, per funzionare, la richiede attiva e propositiva e non “in attesa che le cose accadono”. Quindi maggiore responsabilità e consapevolezza per eliminare lo scontento e anche per riconciliarsi con spazi comuni mutati e in ricostruzione. In un contesto incerto come quello del dopo-sisma crediamo sia importante avviare dal basso azioni, anche piccole, di presa in carico del territorio e del suo miglioramento. Con l’insediamento della nuova amministrazione sarà importante capire fin da subito l’attuale stato di abbandono di eventuali beni comuni che la giunta può stimolare come «possibili oggetti di patti di collaborazione» e che potranno quindi essere presi in carico dalla comunità.

Come pensate di comunicarlo per incentivare la partecipazione di singoli e realtà associative?

Uno degli aspetti fondamentali è ancora l’ascolto delle esigenze di tutti, incluse le realtà associative presenti sul territorio attualmente indebolite (inclusa la nostra) a causa dell’emergenza Covid-19. Sarà da qui che dovremo ripartire, riattivando gli incontri di ascolto, facilitazione e aggiornamento normativo, dove riprenderemo quanto emerso durante le ultime riunioni a dicembre 2019. L’altro aspetto è quello del lavoro in gruppo, allenandoci, insieme, a lavorare in modo collettivo e progettuale per la cura di un bene che appartiene a tutti e di cui tutti siamo responsabili allo stesso modo. Siamo fiduciosi, la comunità di Ussita ci esprime spesso il desiderio di attivarsi e ci auguriamo che questo sentire superi e si mantenga tenace anche in seguito al dibattuto momento elettorale di fine settembre.

Avete individuato dei Beni comuni su cui attivare dei Patti anche grazie al Regolamento?

Dalle prime due assemblee sono emerse molte esigenze: gestione del territorio, servizi alla persona, sviluppo locale, riqualificazione aree abbandonate o gestione nuove aree. L’interesse generale attorno al quale ruotano le proposte è stato individuato nel: ricostruire la comunità, stare insieme, riallacciare rapporti di vicinanza e fiducia reciproca.
Tra le prime proposte emerse e su cui ci sono già persone che vorrebbero attivarsi: avere cura delle esigenze delle persone più vulnerabili che abitano nelle aree SAE (le cosiddette “casette”): il punto di partenza sarà fare una mappatura dei bisogni da un lato e delle risorse/competenze dall’altro; creare o riqualificare alcune piccole casette di legno presenti ad Ussita, utilizzandole come luoghi di incontro legati alla lettura, come biblio-emeroteca, con scambio libero di libri, magari inserendo l’idea in un quadro di riqualificazione di alcune aree comuni e fruibili a tutti. Avere cura di sentieri e fontanili: anche qui, occorrerà fare una mappatura, un elenco dei lavori necessari e possibili, coinvolgendo anche il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che si è già reso disponibile.
Durante gli incontri sono stati accennati alcuni dettagli ma, per capire meglio cosa è più fattibile avviare subito e cosa ha bisogno di una maggiore progettazione, avvieremo diversi momenti laboratoriali nei prossimi mesi. Insomma, si riparte!

Foto di copertina: TambiraPhotography su Pixabay