Con la sentenza n. 91/2020 del 3 febbraio 2020, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana nega alla ricorrente, titolare di una concessione demaniale marittima, la realizzazione di alcune modifiche sul proprio stabilimento, in quanto ritenute idonee a compromettere la «percezione del bene comune qual è il paesaggio costiero».
Le ragioni sottese agli atti impugnati secondo il Tar…
La vicenda giudiziaria in oggetto trae origine dalla revoca in autotutela del parere favorevole espresso dalla Soprintendenza di Palermo in ordine al progetto volto alla realizzazione di alcune modifiche sulle strutture dello stabilimento di parte ricorrente e dalla conseguente nota emessa dalla Regione Sicilia, con la quale è stato negato il rilascio dell’autorizzazione ex art. 24 del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione.
Avverso tali atti, in soluzione di continuità rispetto al giudizio di primo grado, il ricorrente lamenta una serie di vizi di legittimità, tra cui spicca, in questa sede, la violazione dell’art. 3, l. n. 241/1990, per difetto di motivazione.
Al riguardo, giova ricordare che, secondo i giudici di prime cure, gli atti oggetto di impugnazione sarebbero conseguiti alla natura abusiva di talune opere eseguite dalla ricorrente nel proprio stabilimento balneare, opportunamente rilevata dal Comune di Cefalù. Detto più esplicitamente, secondo il Tar «la conoscenza dell’intervenuto sequestro giudiziario dei manufatti [avrebbe] comportato, dopo l’iniziale sospensione degli effetti dei precedenti pareri favorevoli, il loro doveroso ritiro in autotutela da parte della Soprintendenza, in sostanza mediante un atto di annullamento [nonché il conseguente provvedimento di diniego da parte della Regione]».
Da qui la contestazione di parte ricorrente promossa in appello, secondo cui, in sostanza, «(n)elle more del rilascio dell’autorizzazione ex art. 24 non sarebbe stato disposto alcun sequestro penale».
…e secondo il CGA Sicilia
Di avviso diverso si dimostra il CGA Sicilia, il quale, pur confermando l’esito demolitorio della sentenza di primo grado, prefigura un impianto motivazionale differente, fondato sulla validità del diniego di autorizzazione e della revoca. Più in particolare, secondo il CGA Sicilia «la motivazione della sentenza pronunciata dal Tribunale risulta fuori fuoco […] nella parte in cui incentra […] la propria valutazione del thema decidendum sull’esistenza di un sequestro penale dello/nello stabilimento balneare e altresì sulla natura asseritamente abusiva di alcune opere realizzate nel frattempo in sito dal privato, ossia su aspetti in ambo i casi non riconducibili allo specifico contenuto della controversia».
Emerge, allora, che il diniego dell’autorizzazione trova il proprio esclusivo fondamento motivazionale nella revoca poco prima adottata dalla Soprintendenza, la quale, a sua volta, risulta incentrata sul c.d. “effetto barriera”, ascrivibile all’opera delineata nel progetto, idonea a compromettere la continuità della veduta del litorale, da più punti prospettici – in specie la visione di un’apprezzabile porzione di battigia, spiaggia e mare – «intaccandone l’integrità dell’immagine in tutte le sue componenti panoramiche e naturalistiche».
Il paesaggio costiero inteso quale bene comune
A chiusura di tali considerazioni, inoltre, i giudici, riprendendo un frammento del contenuto della revoca del parere rilasciato dalla Sovrintendenza, identificano – come già accennato – il paesaggio costiero quale bene comune. L’accostamento, sebbene non adeguatamente indagato e approfondito, muove da una concezione moderna del concetto di paesaggio (costiero), allineata alle novità normative emerse in ambito sovranazionale (si veda la Convenzione europea del paesaggio) e nazionale (si veda il Codice dei beni culturali e del paesaggio, così come modificato dall’art. 2, d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63), che esaltano il profilo percettivo del territorio, caratterizzato dalla azione ed interazione di molteplici fattori naturali e antropici.
In questo senso, allora, il paesaggio costiero richiamato dal CGA Sicilia, oltre a connotarsi rispetto al “territorio costiero” – locuzione del diritto positivo, con cui viene identificato un determinato “bene paesaggistico” – si presta ad essere ricondotto, per quanto più di interesse, entro la categoria dei Beni comuni tratteggiata nel prototipo regolamentare stilato da Labsus, configurandosi quale bene immateriale, idoneo a garantire il benessere della comunità, attraverso i servizi “culturali” che genera (aventi, dunque, natura informativa, ricreativa, contemplativa, ecc.).
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