Approfondire le fasi di attivazione, sviluppo e valorizzazione dei Beni comuni, a partire dalle opportunità di sviluppo e sostenibilità economica, sono questi gli obiettivi del corso online, organizzato dalla Dynamo Academy – in collaborazione con Sibec (Scuola italiana per i Beni Comuni, promossa da Euricse, Labsus, e Università di Trento) – che nei quattro giorni mira a far acquisire ai partecipanti strumenti per la sostenibilità economica dei beni, nonché quelli più adatti ad esplorare le opportunità di sviluppo economico concrete e creare nuovi posti di lavoro sul territorio. Con “Beni Comuni, che impresa!”, inoltre, l’obiettivo che si persegue è creare un network di professionisti, con l’opportunità di confrontarsi e cooperare nel lungo periodo.
Il corso è rivolto principalmente a manager di aziende con grandi impianti in disuso e da rivalorizzare; architetti, ingegneri, geometri; associazioni, cooperative e imprese sociali pro-territorio; professionisti della pubblica amministrazione; imprenditori e policy maker interessati allo sviluppo locale e alla rigenerazione di aree ed edifici urbani; comitati o singoli cittadini interessati al bene pubblico e a progetti sociali.
Delle finalità e delle strategie di fondo del Corso abbiamo parlato con Paolo Fontana, responsabile del Settore Formazione dell’Euricse.
È un momento critico per il Paese e per il mondo intero: secondo lei quanto è importante la formazione non solo per la componente professionale, ma anche per le ricadute che ha su un tessuto civile e sociale di una comunità che sembra a rischio di disgregazione?
Quando i percorsi formativi propongono non solo di “apprendere” qualcosa di nuovo, ma cercano di far “sperimentare” nuove soluzioni e nuove modalità di lavoro, allora ci si apre al possibile, si costruiscono nuovi scenari in cui ridare senso al proprio impegno civico e sociale. Formazione, ovvero “dare forma” a nuove possibilità, tra cui quella di riallacciare quei legami comunitari e solidali che questa pandemia sta mettendo a dura prova.
Come avviare sinergie con altri enti o istituzioni, per attivare percorsi formativi? Il modello di network, di cui SIBEC è prova, quali ostacoli incontra e quali pregi dovrebbe valorizzare meglio?
A mio parere le sinergie sono possibili quando persone provenienti da ambiti professionali diversi hanno la libertà di conoscersi e la volontà di collaborare. Certo, occorre trovare mediazioni operative per far convergere le proprie mission istituzionali in progettualità concrete. Ma questo da solo non basterebbe. Ad esempio SIBEC è nata dal desiderio di un ente di ricerca (Euricse) di confrontarsi con i territori, e dalla volontà di una associazione (Labsus) di ampliare i temi di cui prendersi cura. Gli ostacoli sono e saranno sempre molti, ma tutti gli ostacoli sono più superabili se ciascun componente del network è pronto a valorizzare non solo i propri pregi e i propri punti di forza, ma i pregi e i punti di forza degli altri partner del network. È per questo che considero SIBEC non un prodotto formativo, ma un metodo di lavoro, un modo di attivare collaborazione. E forse è proprio questo che dovremmo, noi per primi, valorizzare e comunicare di più!
Qual è stata finora la risposta delle associazioni del Terzo settore alle precedenti Scuole di Formazione della SIBEC?
Non abbiamo avuto solo associazioni tra i partecipanti. Cooperative, imprese, comitati, fondazioni, professionisti, enti pubblici… Una parte della ricchezza di SIBEC nasce proprio dal confronto tra esperienze professionali e di volontariato così diverse tra loro. Un confronto non sempre facile ma necessario, perché per riattivare o gestire un Bene Comune c’è bisogno, prima di tutto, di sentirsi comunità, di sentirsi fondatori di una nuova avventura comune, che ha bisogno di un linguaggio comune. Ecco, spesso chi ha partecipato alla SIBEC ci ha restituito questo feedback: sentirsi i pionieri di un nuovo modo di pensare lo spazio pubblico, dove pubblico per una volta non fa rima con statale ma con comunità. La fatica non si nasconde, ma è ripagata dalla possibilità di ideare progetti in grado di trasformare la realtà attraverso la valorizzazione di Beni Comuni. Un qualcosa di così bello che, da solo, forse merita la fatica.
“Fare impresa: progetti sostenibili per i Beni Comuni”, è il tema del suo intervento. Ma secondo lei qual è il grado attuale di consapevolezza nel mondo del Terzo Settore di questo possibile sviluppo imprenditoriale e quindi economico della presa in carico dei Beni comuni?
C’è una consapevolezza enorme. Il Terzo Settore sa benissimo che non si possono prendere in carico i beni comuni senza farsi carico anche dei bisogni e delle aspirazioni delle comunità in cui quei beni si trovano. I beni comuni, e le attività più o meno imprenditoriali che in essi sono realizzabili, sono un mezzo e non un fine. Un mezzo per promuovere inclusione, opportunità lavorative, servizi di vicinato… in una parola promuovere benessere sostenibile, tanto in un paesino di montagna quanto in un quartiere di periferia. Non manca la consapevolezza, forse manca una visione d’insieme in grado di tradurre le idee in strumenti, le opportunità in risorse, una visione che unisca i puntini per rendere le singole esperienze locali un insieme riconoscibile. E replicabile. Questo cerchiamo di fare con SIBEC.
A che punto si colloca il livello di competenze e di esperienze del nostro Paese a confronto con il resto dei Paesi europei?
Per una volta l’Italia non è l’ultima della classe, anzi! Il nostro Paese ha una lunghissima tradizione di economia sociale: dal 1800 quando i contadini si mettevano assieme nelle prime mutue per assicurarsi aiuto a vicenda in caso di eventi avversi, passando per la legge sulla Cooperazione Sociale del 1991, per arrivare alla normativa sulle Imprese Sociali e alla recentissima Riforma del Terzo Settore. Siamo tra i Paesi europei più attrezzati ed esperti in questo campo. Da sempre in Italia le imprese sono anche il frutto di uno sforzo collettivo e molte di queste mirano, prima di tutto, a soddisfare i bisogni locali. Oggi, che lo Stato e il Mercato non possono da soli rispondere a tutti i crescenti problemi sociali ed economici, proprio oggi le comunità, il volontariato, il non profit e le imprese sociali hanno un’occasione storica: essere i pionieri di un nuovo paradigma, fare in modo che in Europa si passi dal “all for business” al “business for all”.
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