Lo scorso settembre è stato convertito in legge il cosiddetto Decreto Semplificazioni con legge n. 120 del 2020. Si tratta di un testo normativo che contiene 65 articoli che spaziano in molti settori diversi della vita civile, perfino troppi vista la censura arrivata dal Presidente della Repubblica in occasione della promulgazione. Tuttavia, merita una particolare attenzione perché, pur nell’eterogeneità dei contenuti, vi sono aspetti molto rilevanti per i temi che Labsus tiene sotto osservazione. Ne emergono quattro.
Il principio di collaborazione e buona fede
Il primo riguarda l’introduzione di un nuovo comma, il 2-bis, nell’art. 1, della legge n. 241 del 1990, il quale recita nel seguente modo: «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede». Vale la pena ricordare che la legge del 1990 è la legge sul procedimento amministrativo, ovvero la legge che compendia i principi e le norme essenziali a cui nessuna pubblica amministrazione può sottrarsi. L’ingresso in questa sede del principio di collaborazione e della buona fede nei rapporti con i cittadini produce un potente effetto perché allude a una relazione in cui i cittadini sono visti come portatori di risorse per le amministrazioni e non più solamente come soggetti destinatari della sua attività o come portatori di bisogni da soddisfare. L’amministrazione italiana è entrata definitivamente in un’éra nuova, dove la collaborazione, la ricerca del consenso e il confronto non sono rimesse a mere scelte di policy o, peggio, collocate in meri adempimenti formali, ma forma sostanziale dell’agire pubblico. In questo senso l’associazione della collaborazione con la buona fede chiaramente esprime la necessità che questi principi si misurino non con gli adempimenti formali ma con i comportamenti concreti che dimostrino – appunto – l’apertura leale al confronto nei processi decisionali.
Il comma 2-bis segue i commi 1, 1-bis e 1-ter dell’art. 1 della legge menzionata, quelli cioè che delineano i regimi dell’attività amministrativa, che possono essere sia di diritto pubblico sia di diritto privato. Il che vuol dire che collaborazione e buona fede non trovano applicazione solo quando l’amministrazione agisce come un qualunque altro soggetto privato, ma anche quando esercita funzioni attraverso il procedimento amministrativo. Chi segue questa rivista sa che i nuovi principi introdotti sono sostenuti da tempo sulla base di solide costruzioni culturali, ma la loro formalizzazione in questo testo di legge non deve essere sottovalutata per un sistema come il nostro dove i pubblici funzionari ricercano nelle norme il sostegno per la loro azione. È una conferma ulteriore, e a questo punto definitiva, che il modello dell’Amministrazione condivisa è pienamente integrato nel nostro ordinamento (un altro contributo, peraltro, era arrivato pochi mesi prima dalla Corte costituzionale).
La responsabilità contabile e penale dei funzionari pubblici
L’altra significativa novità è correlata a quella appena accennata, ovvero la revisione della disciplina della responsabilità dei funzionari pubblici. Tale intervento agisce su due piani diversi: uno riguarda la responsabilità contabile, l’altro il reato di abuso d’ufficio. Sul primo la norma prevede che fino al 31 dicembre 2021 la responsabilità contabile è limitata al caso in cui il danno è all’esito di una condotta dell’agente dolosamente voluta. In altre parole, per essere imputato di responsabilità erariale si deve dimostrare che ci sia stata la volontà di provocare l’evento dannoso. Si tratta di una dimostrazione non facile da accertare nel concreto, ma che nella sostanza esprime un chiaro intento: sostenere quei funzionari pubblici che, in nome degli interessi pubblici, sperimentano, percorrono strade nuove e innovative, in modo che l’efficienza e la riduzione del costo non siano più considerati gli unici criteri di valutazione dell’agire dei funzionari. È una norma che permette ragionevolmente di andare oltre la mera standardizzazione dell’agire. Può dare sostegno a tanti dirigenti e funzionari che in tante parti d’Italia si impegnano lodevolmente per trovare soluzioni coerenti con gli interessi pubblici, magari provando anche a sviluppare relazioni innovative di collaborazione.
Questo potrà essere tanto più sostenuto quanto più l’attività sia condotta nel rispetto più rigoroso del principio di trasparenza, senza però che questo sia inteso come un univoco modo d’agire. D’altra parte, che la norma voglia promuovere l’impegno professionale e coraggioso dei dipendenti pubblici è anche dimostrato dal fatto che la limitazione delle condizioni di responsabilità non ha luogo se i danni provocati derivano dall’inerzia o dall’omissione del funzionario. Con questo si vuole chiaramente sostenere che la condizione vantaggiosa premia solo chi davvero opera attivamente per sperimentare e non mette al riparo, invece, chi preferisce non agire. Per la prima volta nel nostro ordinamento è espresso un chiaro orientamento contrario alla cosiddetta “amministrazione difensiva”. La disposizione è adottata per un periodo transitorio e appare ovviamente collegata alla gestione dell’emergenza Covid19, ma non è escluso che, verificata nel concreto l’applicazione, possa essere stabilizzata.
L’altro aspetto su cui si interviene è il reato di abuso d’ufficio, che tanto fa discutere nel mondo giuridico. A differenza di quanto richiesto da diversi esponenti politici, il reato è rimasto, ma anche qui limitando il suo campo d’azione. Infatti, il reato è previsto ora solo se l’autore abbia violato specifiche norme di condotta stabilite dalla legge o da atti aventi forza di legge, senza che residuino margini di discrezionalità. In altri termini, l’abuso di ufficio non può essere accertato se l’agente abbia esercitato valutazioni discrezionali che le norme di legge consentivano. È interessante osservare che nell’art. 323 del codice penale non si fa più riferimento alla violazione dei regolamenti come presupposto del reato; pertanto, questo è commesso solo se la legge è violata alle condizioni prima riferite. Anche in questo caso è evidente la ratio della norma, coerente anche con la menzionata revisione della responsabilità contabile: si vogliono sostenere gli onesti dirigenti e funzionari pubblici che sappiano assumere decisioni innovative.
Rapporto tra Codice dei contratti pubblici e Codice del terzo settore
Altra novità di grande rilievo contenuta nel Decreto Semplificazioni è l’introduzione di tre modifiche agli articoli 30, 59 e 140 del Codice dei contratti pubblici, con le quali finalmente si stabilisce un coordinamento tra la disciplina generale dei contratti pubblici e il Codice del terzo settore. Si tratta di una questione che è stata considerata anche in questa rivista, dove sono stati messi in evidenza i problemi derivanti da un’incerta interpretazione circa il rapporto tra i due testi normativi. L’aspetto di maggiore significato che queste modifiche introducono è che le regole riguardanti le pubbliche amministrazioni e i soggetti del terzo settore (in modo particolare gli articoli 55, 56 e 57) sono distinte chiaramente dal disciplinare dei contratti pubblici e sono imputate al rispetto della legge sul procedimento amministrativo. Questa novità si collega coerentemente con le altre già evidenziate e rappresenta una sorta di norma di chiusura tutta a vantaggio della distinzione delle relazioni giuridiche: distinguere ciò che ha finalità collaborativa e sociale, che richiede anche un certo tasso di innovazione, dalle relazioni di ordine economico e patrimoniale.
La disciplina degli usi temporanei di edifici e aree urbane
L’ultima novità meritevole di essere segnalata è l’introduzione del nostro ordinamento della disciplina degli usi temporanei, anche diversi da quelli previsti dal piano urbanistico, di edifici e aree per rigenerarne le finalità di interesse pubblico, favorendo in tal modo le iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale. La nuova disciplina, che consiste nella previsione del nuovo articolo 23-quater, del DPR 380 del 2001, al comma 2 stabilisce che l’uso temporaneo può essere proposto sia su beni pubblici sia su beni privati, purché si tratti di rilevanti azioni di interesse pubblico correlate con obiettivi urbanistici socio-economici e ambientali. Ciò dovrebbe preservare l’uso di questa norma da forme di rigenerazione di prevalente e assorbente rilevanza economica, ma solo il tempo ci dirà se questo è vero. È, tuttavia, interessante notare che questa disciplina è regolata in base a una convenzione apposita e che introduce nel nostro ordinamento un’importante novità di valenza generale che può dare ulteriore supporto alle iniziative dei cittadini per rigenerare beni e spazi urbani. È rimessa ai consigli comunali l’approvazione dei criteri e degli indirizzi per l’applicazione di questa importante norma.
Nel complesso, dunque, sembra di capire che il modello dell’Amministrazione condivisa, pur non esplicitamente menzionato dalle norme, guadagna ulteriore spazio nell’ordinamento giuridico rinsaldando le sue basi di sostegno. Il principio di sussidiarietà orizzontale, dunque, comincia a essere accompagnato da molte norme che ne danno concreta efficacia.
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