Qual è la giusta vicinanza tra società civile e istituzioni, in un momento in cui è necessario ridisegnare nuovi spazi di prossimità compatibili con i rischi della pandemia?

L’“Officina dei beni comuni” – promossa da Labsus, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo – è arrivata al suo settimo appuntamento il 14 dicembre scorso, aggiungendo un tassello alla riflessione partecipata sulla cura dei Beni comuni secondo la prospettiva dell’1Amministrazione condivisa. A moderare il webinarIl dilemma del porcospino: per un welfare di comunità alla giusta vicinanza” è stata Emanuela Saporito (Labsus Piemonte), che ha posto l’attenzione sulla possibilità di «arricchire l’offerta consolidata dei servizi, attingendo all’intelligenza della democrazia, alla società civile e al suo capitale relazionale».

Costruire un patrimonio di relazioni tramite il racconto di sogni e bisogni

Secondo Antonio Damasco (Direttore Rete Italiana Cultura Popolare), il percorso che mira a ridisegnare gli spazi di vicinanza è dovuto inevitabilmente partire dal consolidamento del rapporto con i cittadini. Infatti, ha spiegato che, al fine di ridefinire le proprie modalità operative, per la Rete che dirige si è rivelato fondamentale dialogare con le comunità nelle località in cui essa era già presente, così da conoscerne lo stato d’animo e le necessità. La stessa operazione viene portata avanti, da tempi antecedenti alla pandemia, tramite lo strumento del “Portale dei saperi” (alla cui realizzazione ha partecipato anche  il compianto linguista Tullio De Mauro), sul cui sito web si legge: «scopo principale è quello di conoscere i saperi degli abitanti di una stessa comunità, e incoraggiare relazioni più efficaci fra enti pubblici e privati, associazioni, tessuto produttivo e singoli cittadini attraverso la condivisione di competenze e aspirazioni». Dunque, è la potenza del racconto il punto di forza di questo contenitore permanente di «bisogni, ma soprattutto sogni su ciò che vorremmo esprimesse il luogo in cui viviamo», ha spiegato Damasco. Proprio la valorizzazione di tale patrimonio relazionale ha fatto sì che a Torino questo assumesse forma tangibile nello “Spaccio di CulturaPortineria di Comunità di Porta Palazzo”, nel mercato a cielo aperto più grande d’Europa, che divide la città in due realtà dal background socio-economico e culturale opposto. La totale mancanza di dialogo è stata attenuata da un presidio culturale nella piazza: l’edicola individuata con l’ausilio del Comune si trova al confine tra le due circoscrizioni. Il riconoscimento della Portineria quale “servizio utile”, da parte della città di Torino e della Protezione civile, non ha arrestato l’erogazione di circa 300 servizi durante l’emergenza.

L’amministrazione pubblica che si fa prossima ai cittadini

Ma cosa accade quando sono gli stessi enti erogatori di welfare a riorganizzarsi dall’interno per ridurre la distanza dalla comunità? Eleonora Perobelli (ricercatrice SDA Bocconi) ha risposto raccontando un progetto che prenderà vita a Milano il prossimo anno. La sua particolarità sta nell’estensione di larga scala cui arriva l’innovazione sociale, nonché nel fatto che si tratta di un caso di amministrazione pubblica che si avvicina al cittadino, mettendosi al suo servizio. Questa nuova prospettiva ribalta la prassi per cui solo chi diventa esperto dell’offerta di welfare finisce per esserne un iper-benefattore. Rispondendo a un bando della Regione Lombardia per erogare fondi FSE, Aler Milano – la più grande “Azienda Casa europea” – ha collaborato con l’ASST Fatebenefratelli Sacco e Telefono Donna, nonché con l’Università degli studi di Milano Bicocca, Politecnico di Milano e SDA Bocconi per soddisfare l’esigenza di sviluppare competenze di welfare da aggiungere alle proprie skills specifiche, ossia quelle ingegneristiche.
Quest’ultima nasce dal processo di terziarizzazione forzata subìto dai gestori di edilizia residenziale pubblica (Aziende Casa) dalla fine del boom economico (a cavallo tra fine anni ’60 e primi anni ‘70), che è valso loro l’identificazione come soggetti di welfare: l’utenza sempre più fragile ha fatto sì che l’attore pubblico si interrogasse su quali servizi e competenze poter mettere in campo per rispondere a tale fragilità, al triplice fine di integrare, supplire al vuoto di strutture territoriali intermedie e avvicinare Aler agli utenti, facilitandone l’accesso ai propri servizi, a partire dagli anziani soli e dalle donne vittime di violenza.
Rimanendo in tema di distanza tra società civile e istituzioni, Gaetano Baldacci (funzionario dell’area welfare Regione Piemonte) ha posto l’accento su quella che si crea in seguito alla cosiddetta frustrazione di comunità, ossia la sensazione di abbandono dei cittadini che scaturisce dal venir meno della persistenza delle azioni svolte sul territorio al termine del rispettivo finanziamento. Per sopperire a ciò, è necessario che la pubblica amministrazione lavori in modalità di co-progettazione con il Terzo Settore, per sua natura più flessibile e duttile, per ideare dei progetti che non siano avulsi dalla realtà, bensì fondati sui bisogni reali della comunità. Seguendo dunque la logica dei Patti di collaborazione, disegnare uno spazio di co-progettazione implica la rinuncia di ciascuno dei partecipanti ad una parte del proprio potere, arricchendo tutti gli altri di maggiori competenze, a servizio del progetto di cura del bene comune.

La fiducia accorcia le distanze

L’importanza della co-progettazione creativa in grado di fornire soluzioni tempestive ed efficaci, resa possibile da un precedente radicamento territoriale e da una preesistente rete di relazioni di fiducia, è stata ribadita da Anita Reboldi (Fondazione compagnia di San Paolo). Lo si intuisce grazie al “TransForm-Transnational forum on integrated community care”, il cui obiettivo è «esplorare e promuovere un approccio alla salute e alla cura che metta al centro le comunità, sia come radicamento territoriale degli interventi, sia come co-creazione delle pratiche di cura e promozione della salute in tutte le fasi del processo». Questo contenitore di pensiero e di occasioni di confronto tra soggetti di diversa provenienza, ha messo in luce anche l’interrogativo circa l’opportunità ed efficacia, per talune fasce della popolazione, di determinati supporti tecnologici da remoto.
È di vitale importanza, pertanto, lavorare sulle relazioni di fiducia per aiutare i cittadini-porcospini a considerare credibili i propri interlocutori e, di conseguenza, a stare nella comunità senza danneggiarla. La “strategia del porcospino” si è dimostrata infatti fondamentale nel pieno dell’isolamento da lockdown, quando le disuguaglianze tra le diverse popolazioni urbane si sono acuite e palesate gravemente. I cittadini hanno preso atto della nuova accezione negativa assunta dal concetto di interdipendenza e, come porcospini, hanno stretto i legami comunitari pur nel rispetto delle regole del distanziamento.
Insomma, è proprio l’attuale clima di paura e diffidenza, dietro cui si cela il forte desiderio delle comunità di tornare a fidarsi, il momento giusto per porre le fondamenta di tali relazioni di fiducia… alla giusta distanza “di aculeo”.

Foto di copertina: Susanne Jutzeler su Pixabay