Labsus ha scelto di ospitare le riflessioni della Rete Nazionale Beni Comuni Emergenti e ad Uso Civico perché riteniamo prioritario il confronto tra persone diverse ma accomunate dalla passione per la cura dei beni comuni: tutti noi ci impegniamo quotidianamente – da giorni, mesi, anni o decenni – in gruppi che continuano ad aver bisogno di un costante confronto, sia interno che con altri gruppi. Ringraziamo gli autori delle “Proposte per lo sviluppo dei beni comuni emergenti” perché riconosciamo lo sforzo di scrittura che hanno fatto: sappiamo bene che è più facile definire la propria identità attraverso dinamiche di opposizione. Tra le righe di quell’editoriale, come di questo, si possono certamente leggere alcune differenze di approccio. Ma ci intrigano molto di più le possibili convergenze, soprattutto in termini di Amministrazione condivisa dei beni comuni.
Il faro dell’interesse generale
Abbiamo imbarcazioni diverse, arriviamo da scuole di navigazione differenti, incontriamo venti favorevoli come contrari, nel senso che ogni gruppo che si attiva per la cura dei beni comuni fa necessariamente i conti con le contingenze, secondo pensieri condivisi dal gruppo e affinando l’uso di particolari strumenti. Il titolo di questa riflessione parte proprio da questi ultimi. Patti e usi civici troppo spesso vengono descritti in opposizione, sottintendendo la domanda: «E voi, da che parte state?». Questo è, secondo noi, un falso problema. Ce ne si accorge immediatamente rapportandosi con interlocutori internazionali. Alle persone attive per la cura dei beni comuni nel mondo interessa l’Italia che si prende cura dell’Italia, esattamente come a noi interessa l’umanità, oltre le nazionalità, che sta navigando verso il faro dell’interesse generale dell’umanità stessa.
Bologna e Napoli: laboratori non comunicanti
Un aneddoto può chiarire questa riflessione preliminare: abbiamo chiesto di recente a un amico di raccontarci esperienze di Amministrazione condivisa in Portogallo, e ci ha risposto che ci racconterebbe volentieri di migliaia di esperienze di uso civico in cui amministratori e abitanti collaborano alla pari: nella sua immediata freschezza, questo feedback dall’estero ridimensiona immediatamente le tifoserie italiane al non senso. Perché insomma schierarsi per l’adozione del Regolamento come a Bologna oppure per le delibere per gli usi civici come a Napoli? Cosa sottintende questa domanda? La sensazione è che Bologna e Napoli vengano troppo spesso trattati come laboratori non comunicanti. Lo stigma è che Bologna sia un laboratorio della pubblica amministrazione bolognese, mentre Napoli sia un laboratorio della società civile napoletana. Non è così. Conosciamo troppo bene i bolognesi attivi nei Patti di collaborazione per concludere che il loro impegno quotidiano non riguardi l’uso civico di risorse comuni. E fatichiamo a non considerare Amministrazione condivisa dei beni comuni le stesse esperienze napoletane portate avanti attraverso delibere. Navigazione a vela, navigazione a motore, ma arriverà a breve e con tutta probabilità qualcuno che metterà il motore su una barca a vela… per usare una metafora nautica!
Il concetto di convergenza
Il concetto di convergenza viene adoperato in alcuni usi scientifici per studiare somiglianze, analogie di struttura, comportamenti simili: le delibere per gli usi civici firmate dal sindaco De Magistris non assomigliano forse a quella famiglia di Patti stipulati tra cittadini attivi e responsabili politici? Certo, secondo l’ultimo Rapporto Labsus sarebbero una minoranza, pari a circa il 12%; molto più spesso, in 3 casi su 4, il patto è tra dirigenti tecnici e abitanti. Come a dire: ecco che, a ben guardare, le analogie di struttura ci sono. Parliamo di comportamenti: siamo certi che la passione per la ridefinizione condivisa delle regole non appassioni allo stesso modo pattisti e militanti per gli usi civici? Quanto si assomigliano, questi italiani attivi, quando si attivano per loro autonoma iniziativa nel nome dell’interesse generale, come dice il principio di Sussidiarietà? Troppo spesso la narrazione dei “movimenti pungolatori”, come li chiamano in Francia, è riservata agli usi civici, ma basta indagare la storia di molti Patti per capire che sono frutto di anni di lotte e fatiche civiche.
È proprio necessario scegliere?
I numeri ci dicono che nel nostro Paese sono quasi 250 i comuni che hanno adottato il Regolamento per l’Amministrazione condivisa, più di 3000 i Patti di collaborazione sottoscritti e la recente indagine dell’Ipsos sui corpi intermedi quantifica in circa ottocentomila il numero di cittadini attivi. La necessità di costruire una cornice di regole per favorire il rapporto tra cittadini e istituzioni inizia a superare i confini di singoli paesi e città spingendo diverse Unioni di comuni ad adottare il Regolamento. Anche le Regioni guardano con attenzione alle forme di collaborazione finalizzate alla cura dei Beni comuni attraverso l’adozione delle prime leggi regionali sull’Amministrazione condivisa. Questi dati segnano i diversi passaggi di un percorso che, nato dal basso, dall’impegno quotidiano di cura portato avanti da tanti cittadini attivi, sta innescando un processo di riscrittura delle regole che, a partire dai comuni, risale lungo la struttura istituzionale del nostro Paese per arrivare, ad oggi, alle Regioni. Sono i segni di quella che avevamo chiamato la nascente società responsabile italiana capace di indicare un percorso di trasformazione del nostro Paese verso la società della cura.
La parola chiave è condivisione
Non è un movimento organico strutturato secondo i modelli che hanno caratterizzato la storia del Novecento, agisce a livello locale grazie a un forte radicamento territoriale ma è diffuso su tutto il territorio nazionale. Introduce nel nostro ordinamento, sulla base del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, un processo di riequlibrio dei poteri in cui tocca alle istituzioni favorire le autonome iniziative dei cittadini. In questo contesto un ruolo decisivo è proprio quello esercitato da tanti semplici cittadini – anche singoli o uniti in gruppi informali – impegnati, attraverso i Patti di collaborazione, nella ridefinizione di un rapporto costruito sulla fiducia e sulla condivisione della responsabilità. La chiave del rapporto sta proprio nel termine condivisione!
Attraverso il Patto di collaborazione si passa dall’esercizio unilaterale del potere alla definizione condivisa dell’interesse generale.
Generare relazioni e coesione sociale
Quello che caratterizza la storia di tanti Patti di collaborazione, dunque, è la loro capacità di generare relazioni, idee, creatività; generare inclusione e coesione sociale; generare processi anche di natura economica. Come? Attraverso la costruzione di alleanze, spesso inedite oppure nate da situazioni di conflitto, in cui l’istituzione è dentro i processi di innovazione e cambiamento alla pari con tutti gli altri soggetti espressione della comunità. È la descrizione di un panorama omogeneo in tutto il Paese? Certamente no! Ma è l’espressione di un necessario cambiamento culturale che investe non solo le istituzioni ma anche le organizzazioni e i soggetti collettivi ad ogni livello. E allora ecco che la divisione tra sostenitori dei Patti o degli usi civici perde di senso, valore e significato. Rischia di apparire come una disputa per addetti ai lavori mentre, quello che più conta, forse, è la necessaria costruzione di un vocabolario condiviso che ogni persona impegnata nella quotidiana fatica civica di cura di un bene comune contribuisce a definire, accanto allo studioso, accanto al funzionario della pubblica amministrazione.
Un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni
La ricchezza, il contributo che noi vogliamo portare nel dibattito nazionale è rappresentata dalla elaborazione di un modello, che abbiamo chiamato Amministrazione condivisa, che definisce un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni. Capace di superare la conflittualità e la relazione occasionale con la classe politica più o meno vicina attraverso la ridefinizione di un ruolo della pubblica amministrazione come soggetto capace di essere non l’ostacolo ma il facilitatore di quei processi di innovazione che nascono nella comunità. In questo scenario, l’incontro tra le diverse esperienze di cura dei beni comuni che attraversano il nostro Paese possono trasformare in ricchezza reciproca le loro differenze e il Patto di collaborazione e la dichiarazione di uso civico possono integrarsi e moltiplicare i loro effetti. La chiave di successo sta nel ruolo dei semplici cittadini, di ogni persona della comunità di riferimento intesa non come un semplice fruitore o beneficiario delle strategie definite su altri tavoli ma come soggetto attivo, assoluto protagonista dei processi di cura dei beni comuni che nascono dalla sua autonoma iniziativa. E allora quale tipo di navigazione scegliere? Siamo proprio costretti a scegliere tra vela e motore? Magari ancora non ce ne rendiamo conto ma la nostra barca a vela può già contare sulla spinta potente che viene da migliaia di cittadini, già oggi disposti ad essere i custodi di quella bellezza che ci è stata affidata per proteggerla e trasmetterla a chi verrà dopo di noi.
Foto di copertina: Barche da pesca in mare di V. Van Gogh (credits: johnnyjohnson20430 da Pixabay)