C’erano stati alcuni seminari organizzati da Labsus già nel dicembre 2005. Ma nel mondo attuale se non sei su Internet non esisti. E dunque, a voler essere pignoli, la vera data di nascita di Labsus è l’11 maggio 2006, quando durante un convegno nell’ambito di ForumPA fu presentato il sito www.labsus.it (all’epoca era .it, non .org come adesso…) la nuova rivista promossa dall’associazione Laboratorio per la sussidiarietà.
Era un sito minimalista, una pagina bianca con quattro quadratini colorati, uno per ciascuna sezione della rivista, cliccando sui quali si aprivano le pagine della sezione corrispondente. Fin da allora la sezione Diritto era una delle principali, un po’ a causa della formazione giuridica dei fondatori dell’associazione, ma molto anche perché il principio di sussidiarietà è un principio costituzionale e i profili giuridici sono fondamentali per la sua attuazione.
Attuazione, s’è detto, perché l’obiettivo della neonata associazione e della sua rivista non era lo studio, bensì il cambiamento, sia pure attraverso lo studio. L’ambizione di Labsus era ed è quella di cambiare il mondo utilizzando il principio di sussidiarietà. Per questo si chiama “Laboratorio per la sussidiarietà” e non “Osservatorio”!
L’antidoto allo scetticismo
Un’altra sezione essenziale nel progetto della nuova rivista era la sezione Casi ed esperienze, quella che oggi è la sezione Patti, per due motivi. In primo luogo, perché quindici anni fa parlare di amministrazione condivisa dei beni comuni era pura utopia. Quando negli incontri parlavamo della collaborazione fra cittadini e amministrazioni come fondamento di un nuovo modo di amministrare venivamo considerati degli inguaribili sognatori. E per dimostrare l’assurdità di una simile prospettiva ci venivano immancabilmente sciorinati esempi di comportamenti incivili dei nostri concittadini, in cui interessi privatissimi prevalevano di gran lunga sull’interesse generale vagheggiato dall’art. 118, ultimo comma della Costituzione.
La sezione Casi ed esperienze era l’antidoto allo scetticismo. In quella sezione pubblicavamo tutti i casi di cui venivamo a conoscenza in cui cittadini si mobilitavano autonomamente per il perseguimento dell’interesse generale, attraverso la cura dei beni comuni. E questo ci consentiva, negli incontri pubblici, di rintuzzare le obiezioni dei cinici e degli sfiduciati mostrando loro che un altro modo di essere cittadini era possibile. Le idee possono essere confutate, ma quando quelle idee diventano fatti bisogna prenderne atto, se si è intellettualmente onesti. La sezione Casi ed esperienze, insomma, così come l’attuale sezione Patti, non era una raccolta fine a sé stessa, per mania di collezionismo, ma strumento per la promozione di un progetto.
C’era poi anche un secondo motivo che, nelle intenzioni, giustificava l’esistenza della sezione Casi ed esperienze. Quella sezione infatti avrebbe dovuto rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che volessero diventare cittadini attivi, dando loro fiducia e mostrando esempi concreti di cura dei beni comuni, da cui avrebbero potuto trarre ispirazione per organizzare le proprie attività. L’obiettivo, allora come oggi, era evitare che ogni nuovo gruppo di cittadini attivi intenzionato a prendersi cura dei beni comuni del proprio territorio dovesse ripartire da zero, ripetendo gli stessi errori e scontrandosi con le medesime difficoltà già affrontate e risolte da altri gruppi di cittadini.
La pubblicazione delle esperienze già realizzate altrove doveva, nelle nostre intenzioni, costituire una sorta di benchmark, di punto di riferimento per i nuovi cittadini attivi che, visitando il nostro sito, avrebbero potuto trarne spunti operativi. Non sappiamo se effettivamente la sezione Casi ed esperienze abbia funzionato negli anni passati come benchmark, se anche così è stato nessuno ce l’ha detto. In compenso, ciò sta accadendo con l’attuale sezione Patti, che viene continuamente visitata da cittadini, amministratori, associazioni per trarne spunti e indicazioni per la progettazione di nuovi Patti di collaborazione.
Dare fiducia funziona
Il sito minimalista e graficamente molto innovativo, costruito grazie alla disponibilità di un amico che aveva messo generosamente a disposizione le ottime professionalità della sua agenzia di comunicazione, fu sostituito alcuni anni dopo da un sito più tradizionale nell’impostazione, ma più adatto alle nuove esigenze della rivista, che nel frattempo si era notevolmente sviluppata.
Uno dei fattori principali di tale sviluppo è stato rappresentato nel corso degli anni dalla presenza nella redazione di giovani intelligenti, competenti e motivati, spesso entrati in contatto con Labsus attraverso i tirocini universitari e poi rimasti a lavorare con noi a titolo volontario, al pari di tutti gli altri soci e collaboratori di Labsus.
Un po’ in controtendenza con quanto avviene di solito in Italia, alle ragazze ed ai ragazzi che lavorano nella redazione di Labsus o nei progetti che sviluppiamo sul territorio è sempre stata data un’autonomia totale, lasciando che siano loro a gestire in piena libertà sia la rivista, sia i progetti. Da sempre, dunque, i nostri giovani redattori pubblicano autonomamente i loro articoli senza alcun controllo preventivo da parte del Consiglio Direttivo o del Direttore editoriale, in quanto ci fidiamo completamente del loro senso di responsabilità e della loro adesione ai valori di Labsus. Quindici anni dopo possiamo dire con orgoglio che, salvo in un paio di casi, la nostra fiducia è stata ben riposta.
La grande svolta del 2014
I primi otto anni di vita di Labsus non sono stati segnati da eventi particolari, se si eccettua l’avvio nel gennaio 2008 della pubblicazione di NeParlaLabsus, la nostra newsletter che da allora, immancabilmente, ogni quindici giorni viene inviata a diverse migliaia di lettori.
La vera svolta sia per la rivista sia per l’associazione arrivò invece invece sabato 22 febbraio 2014. La mattina di quel giorno, in un’affollatissima sala del Comune di Bologna, insieme con il Sindaco e altre autorità presentammo il primo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. Poi, nel pomeriggio, il testo del Regolamento fu pubblicato sul sito di Labsus e messo gratuitamente a disposizione di tutti i comuni italiani, delle associazioni e, in generale, di chiunque lo volesse utilizzare.
Il Regolamento nei giorni seguenti fu scaricato da centinaia di cittadini, amministratori, funzionari, molti dei quali ci scrissero per chiedere chiarimenti sul testo e spiegazioni sulla sua applicazione, invitandoci nei loro comuni per illustrarne le caratteristiche ed i vantaggi. E da lì è iniziata la nuova fase, che dura tuttora, della vita di Labsus.
Cominciammo a girare l’Italia per illustrare il Regolamento, i suoi fondamenti teorici e gli effetti positivi derivanti dalla sua applicazione, incontrando nel corso degli anni migliaia di cittadini, amministratori, funzionari, dirigenti di associazioni, tutti rappresentanti di un’altra Italia, che non si vede molto ma c’è, l’Italia che si prende cura di sé stessa e dei propri beni comuni. A quel punto, pur mantenendo le sezioni tradizionali, il sito fu modificato un’altra volta per dare maggior rilievo e visibilità al Regolamento e ai patti, che nel frattempo erano diventati l’asse portante delle attività di Labsus.
Se il Covid-19 non ce lo avesse impedito avremmo continuato ad andare in giro per l’Italia anche nei mesi scorsi. Non potendolo fare, abbiamo organizzato decine di incontri a distanza. E continueremo sicuramente a farlo anche nei prossimi mesi, almeno finché la situazione sanitaria non ci consentirà di ricominciare a fare incontri in presenza, magari integrati con gli incontri a distanza, che pure hanno i loro aspetti positivi, come la facilità di organizzazione, l’economicità, etc.
Un cambio radicale nella governance
La svolta provocata nel 2014 dalla presentazione del Regolamento ha avuto effetti molto significativi non soltanto sui contenuti dell’azione di Labsus, ma anche sulla sua governance, che in quegli anni fu radicalmente rinnovata. Fino a quel momento infatti il ruolo del Consiglio Direttivo, per quanto importante dal punto di vista delle strategie complessive, era stato marginale rispetto all’operatività dell’associazione ed alla politica editoriale della rivista. Ma nei primi mesi del 2015, con il rinnovamento del Consiglio, al vertice di Labsus si insediò un nuovo gruppo dirigente di notevolissimo livello, composto da persone estremamente motivate, molto competenti e molto coese fra loro.
E’ a questo gruppo, tuttora in carica, che si devono i successi di Labsus da allora ad oggi, anche grazie ad un’organizzazione più razionale, imperniata da un lato su una funzione di coordinamento nazionale, esterna al Consiglio, efficiente, rapida e attenta, dall’altro su deleghe di funzioni ai singoli consiglieri, che hanno consentito di distribuire le responsabilità operative a seconda delle competenze e degli interessi dei membri del Direttivo.
Lo “stile Labsus” all’interno
In questi quindici anni si è andato consolidando quello che potremmo definire lo “stile Labsus” nelle relazioni, sia interne, sia esterne.
All’interno, gli elementi più caratterizzanti di tale “stile” sono sicuramente la fiducia reciproca, la trasparenza e il disinteresse personale. Questo vale non solo per i rapporti del Consiglio e del Direttore editoriale con i giovani redattori della rivista, che come s’è visto sono fondati sulla fiducia e sul senso di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti. Ma vale soprattutto per i rapporti all’interno del Consiglio Direttivo, la cui forte coesione è frutto appunto della fiducia reciproca fra i Consiglieri.
In parte, ovviamente, questo clima positivo è dovuto a fattori personali, perché nel corso degli anni abbiamo sviluppato dei “filtri” informali molto efficaci nel gestire la cooptazione di nuovi partecipanti alle attività di Labsus e, viceversa, nell’allontanare coloro i cui comportamenti non sono coerenti con i nostri standard di dedizione e disinteresse. Sono standard molto alti, risultato di anni di impegno generoso in cui i membri del Direttivo hanno messo a disposizione tempo, competenze ed energie preziose, sempre serenamente, senza farlo pesare, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lo “stile Labsus” verso l’esterno
Per quanto riguarda lo “stile Labsus” nelle relazioni esterne l’elemento forse più caratterizzante è stato ed è la rigorosa difesa della nostra indipendenza, in vari modi.
Da un punto di vista strutturale, siamo riusciti ad evitare la dipendenza economica riducendo all’essenziale le spese fisse, in modo da “viaggiare leggeri”. Quindi, fin dall’inizio, quindici anni fa, abbiamo rinunciato ad avere una sede fisica, che avrebbe comportato spese per l’affitto e la gestione, decidendo invece di “vivere sul web”. Per noi lavorare a distanza, come oggi fanno tutti, è da sempre il modo normale di lavorare. E quando dobbiamo vederci in presenza, per esempio per le riunioni del Direttivo, chiediamo ospitalità ad un’altra associazione qui a Roma, nessuno ci ha mai rifiutato l’uso di una saletta per qualche ora.
Un altro modo strutturale per evitare dipendenze economiche è consistito nel privilegiare la partecipazione di tipo volontario alle attività di Labsus, garantendoci così negli anni il contributo entusiasta di decine di giovani in gamba che, per periodi più o meno lunghi, hanno contribuito con competenze, energie e idee allo sviluppo del nostro progetto. In cambio noi forniamo professionalità (per esempio nella gestione del back office di una rivista online), la possibilità di partecipare ad attività formative o progettuali di alto livello (nel corso degli anni tre giovani redattori hanno trovato lavoro grazie all’esperienza svolta presso Labsus) e in generale facciamo crescere le persone dando loro fiducia, stimolando l’assunzione di responsabilità e la capacità di prendere decisioni.
Naturalmente il contributo di tipo unicamente volontario espone ai rischi del turnover dei volontari, oltre che della minore professionalità. Anche per questo motivo, come si è detto, negli ultimi anni ci siamo attrezzati con un’organizzazione più stabile e professionale, mantenendo però come caratteristica precipua di Labsus la volontarietà e il disinteresse economico di chi partecipa alle nostre attività.
Su un altro piano, per difendere la nostra indipendenza non abbiamo mai partecipato, nei nostri quindici anni di vita, ad iniziative di carattere elettorale o comunque promosse da soggetti politici, fossero essi partiti, movimenti o liste civiche. Ciò non per presunzione o per non “sporcarci le mani”, ma perché riteniamo che il tema della cura condivisa dei Beni comuni sia un tema di interesse generale che, in quanto tale, non deve diventare oggetto di contese di parte. Per evitarlo è essenziale che Labsus, che di tale tema è il principale promotore a livello nazionale, sia a sua volta percepito come estraneo a partiti o movimenti politici.
Naturalmente questo non vuol dire che Labsus sia politicamente neutrale, se non altro perché promuovere una società di cittadini attivi, responsabili e solidali, fondata sulla cura condivisa dei Beni comuni, vuol dire porsi agli antipodi rispetto a chi promuove una società di individui rancorosi, sospettosi ed egoisti, fondata sulla chiusura verso gli altri e la sistematica difesa dei propri interessi a danno dell’interesse generale.
All’assoluta indipendenza verso le singole forze politiche corrisponde però un altrettanto assoluto rispetto per i rappresentanti democraticamente eletti alle varie cariche istituzionali, siano essi sindaci, assessori o altri amministratori, qualunque sia il loro orientamento politico. E quindi, proprio perché la cura dei Beni comuni è un tema di interesse generale, se un amministratore è sinceramente interessato all’applicazione del modello dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni Labsus non ha remore nel fornire la propria collaborazione.
Un altro modo con cui Labsus ha difeso nel corso degli anni la propria indipendenza è consistito nel non firmare mai (salvo rarissime eccezioni) appelli di intellettuali, associazioni, comitati, etc., sia per i motivi detti sopra, cioè per evitare di essere “etichettati” a seconda dell’appello firmato, sia perché convinti della loro sostanziale inutilità.
Si risponde sempre, a tutti
Ma ci sono anche altri aspetti, più leggeri, dello “stile Labsus”. Uno di questi, che ormai ci connota in maniera molto particolare, consiste nella regola non scritta che ci siamo dati fin dall’inizio per cui si risponde sempre, a tutti, possibilmente nel giro di poche ore o, al massimo, di qualche giorno. Riceviamo infatti ogni giorno mail di cittadini, amministratori, associazioni che ci chiedono delucidazioni sull’applicazione del Regolamento o dei patti, informazioni, a volte vere e proprie consulenze giuridiche sull’amministrazione condivisa dei beni comuni.
Noi rispondiamo a tutti, se possibile dando subito il chiarimento richiesto, altrimenti rinviando ad un momento successivo se la domanda richiede una risposta più articolata. In un mondo in cui purtroppo è generalizzato il malcostume di non dare mai un riscontro, la nostra sollecitudine nel rispondere, che denota rispetto e attenzione verso gli altri, suscita sempre reazioni molto positive.
“Agire localmente, pensare globalmente”
Infine, un altro profilo dello “stile Labsus” riguarda l’impostazione che diamo a tutti i nostri progetti, fondata sul motto “Agire localmente, pensare globalmente”, che in pratica significa fare in modo che tutti i nostri progetti siano replicabili ovunque. Non ci interessa fare dei prototipi, magari bellissimi ma troppo complessi o costosi da riprodurre, preferiamo fare cose semplici, ma facilmente replicabili anche in altri contesti.
L’esempio forse più significativo di come abbiamo dato concretezza a questa impostazione è proprio il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. Quando negli anni dal 2012 al 2014 lavoravamo alla redazione di questo Regolamento insieme con gli amministratori ed i funzionari del Comune di Bologna stavamo molto attenti a tenere i piedi ben piantati sui marciapiedi di Bologna, ma con lo sguardo sull’orizzonte nazionale. E quindi, nella consapevolezza e con l’ambizione che quel Regolamento potesse diventare un modello per molti altri comuni italiani (come poi è stato) evitammo per esempio di inserire riferimenti alla cura dei portici, che sono una caratteristica tipica dell’ambiente urbano bolognese, ma non di altre città.
11 maggio 2006 – 15 maggio 2021
Tutto questo (e molto altro ancora di cui adesso qui non c’è modo di parlare) ci servirà nei prossimi mesi e anni per affrontare le sfide poste dalla diffusione dell’Amministrazione condivisa dei beni comuni. Quella che quindici anni fa era pura utopia ora è una realtà fatta di migliaia di Patti di collaborazione, centinaia di Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, due leggi regionali (Lazio e Toscana), un articolo di fondamentale importanza del Codice del Terzo Settore (art. 55), una sentenza della Corte Costituzionale che per la prima volta cita l’amministrazione condivisa come modello dei rapporti fra istituzioni ed enti del Terzo Settore (sentenza n. 131/2020) e, soprattutto, centinaia di migliaia di Custodi della bellezza, attivi in tutta Italia.
Noi siamo perfettamente consapevoli di essere solo lo strumento di un fenomeno le cui dimensioni e la cui importanza trascendono assolutamente la piccola realtà di Labsus. Noi siamo il dito che indica la luna e sappiamo che la luna non ha bisogno di noi per esistere. Molti Italiani hanno deciso di prendersi cura del proprio Paese, lo fanno e continuerebbero a farlo anche se noi smettessimo di esistere.
Tuttavia, senza falsa modestia, siamo anche consapevoli che tutto il lungo, capillare e faticoso lavoro svolto in questi primi nostri quindici anni di vita ha pur avuto un ruolo nel sostenere e promuovere la cura condivisa dei Beni comuni, creando il quadro giuridico e concettuale al cui interno oggi i cittadini attivi e le amministrazioni possono muoversi con sicurezza. Il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, nella sua semplicità, è stato una “invenzione” che, grazie alle fondamenta teoriche poste nel 1997, ha cambiato radicalmente l’interpretazione del principio di sussidiarietà, consentendone una modalità applicativa a cui il legislatore costituente sicuramente non aveva pensato quando nel 2001 approvò l’art. 118, ultimo comma.
Grava quindi su Labsus una duplice responsabilità. Da un lato, dobbiamo continuare ad essere strumento al servizio dei tanti cittadini, amministratori e funzionari che avendo capito che l’amministrazione condivisa è un modo di amministrare che dà ottimi risultati vogliono approfondirne tutti i possibili profili applicativi, sperimentandolo in campi sempre nuovi. Ciò sarà tanto più necessario in quanto la pandemia, con i suoi terribili effetti in tutti i campi della vita collettiva, ci costringerà a sperimentare nuove modalità di utilizzazione dei nostri strumenti, per esempio usando i Patti per costruire nuove forme di welfare di comunità. Dovremo quindi inevitabilmente strutturarci in maniera ancora più professionale, trovare maggiori risorse, insomma attrezzarci per rispondere meglio alle prossime sfide.
Dall’altro lato, però, abbiamo la responsabilità di fare tutto ciò mantenendo l’identità costruita nei nostri primi quindici anni di vita, senza venir meno allo “stile Labsus”, che vuol dire fiducia reciproca, trasparenza, generosità… e anche allegria nel fare le cose! Dovremo trovare il punto di equilibrio fra ciò che siamo stati finora e ciò che potremo (e forse dovremo) diventare per rispondere adeguatamente alle nuove sfide che ci aspettano.
Se non ci saranno sorprese, di tutto questo e di tanti altri temi ancora avremo modo di discutere insieme il 15 maggio prossimo nell’Assemblea dei soci di Labsus.[1] Intanto, nei prossimi mesi continueremo la riflessione al nostro interno in modo da arrivare ben preparati a questo giro di boa, esattamente quindici anni dopo la presentazione del nostro primo sito!
[1] Naturalmente per partecipare all’Assemblea bisogna essere socio di Labsus. Per iscriversi, basta cliccare qui e pagare la quota annuale di € 20,00 per le persone fisiche.