Con la sentenza n. 236 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34, recante “Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità” (da qui in poi “Legge Regionale”), con riferimento agli artt. 117, comma 2, lett. h), e 118, comma 3, della Costituzione.
La Legge Regionale, per quanto qui rileva, riconosceva la “funzione sociale” del controllo di vicinato e le sue forme associative come espressione dei princìpi di sussidiarietà orizzontale e di partecipazione dei privati all’esercizio delle funzioni pubbliche.
Il controllo di vicinato era definito dall’art. 2, comma 2, della predetta Legge come quella «forma di cittadinanza attiva che favorisce lo sviluppo di una cultura di partecipazione al tema della sicurezza urbana ed integrata”, svolgendo una funzione di “osservazione, ascolto e monitoraggio, quale contributo funzionale all’attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio».
Sul piano operativo, il controllo di vicinato si attuava mediante l’organizzazione di gruppi di soggetti residenti nello stesso quartiere o in zone contigue o ivi esercenti attività economiche, chiamati a integrare «l’azione dell’amministrazione locale di appartenenza per il miglioramento della vivibilità del territorio e dei livelli di coesione ed inclusione sociale e territoriale».
I parametri costituzionali violati
La Corte costituzionale – chiamata a pronunciarsi su ricorso in via principale ex art. 127 Cost. – ha ritenuto che la Legge Regionale, nel suo complesso, violasse anzitutto l’art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza.
La Consulta ha qui riproposto la distinzione – già menzionata nella sent. n. 285 del 2019 – tra sicurezza “in senso stretto” (c.d. primaria), che costituisce il nucleo duro della sicurezza di esclusiva competenza statale, e sicurezza “in senso lato” (c.d. secondaria), che invece ricomprende un fascio di funzioni intrecciate, corrispondenti a plurime e diversificate competenze di spettanza anche regionale.
Ora, la Legge Regionale configurava il controllo di vicinato come «contributo funzionale all’attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio» e tale circostanza è stata ritenuta dalla Corte costituzionale chiaro sintomo dello sconfinamento (illegittimo) della Regione nell’area della sicurezza primaria.
La Corte reputa, inoltre, che la Legge Regionale violi anche l’art. 118, comma 3, Cost. – che rimette alla (sola) legge statale la disciplina delle forme di coordinamento tra Stato e Regioni nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza – giacché pretende di disciplinare direttamente, al di fuori del quadro istituzionale già tracciato dal legislatore statale nel d.l. n. 14 del 2017, forme di collaborazione tra Stato ed enti locali con il sostegno della Regione proprio nella materia de qua.
Un problema di competenza tra Stato e Regioni (per ora)
La pronuncia in commento – come si vede – radica l’illegittimità costituzionale della Legge Regionale esclusivamente nell’invasione, da parte della Regione, delle competenze riservate dalla Costituzione al legislatore statale.
La Corte, peraltro, si premura di precisare, in chiusura della sentenza, che resta ferma la possibilità, per la legge statale (e solo per essa!), di «disciplinare il controllo di vicinato […] come possibile strumento – funzionale a una piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost. (sentenza n. 131 del 2020) – di partecipazione attiva e responsabilizzazione dei cittadini».
Secondo la Corte, quindi, il “controllo di vicinato” potrebbe astrattamente concorrere all’obiettivo di una più efficace prevenzione dei reati, attuata attraverso l’organizzazione di attività di ausilio e supporto alle attività istituzionali delle forze di polizia. E, in quest’ottica, il “controllo di vicinato” può esser ricondotto – per espressa ammissione della Consulta – proprio nell’ampia nozione di sicurezza urbana già fornita dal d.l. n. 14 del 2017.
È a quest’ultima fonte che occorre fare riferimento, dunque, sia sul piano sostanziale che su quello procedurale, per ricostruire sia i limiti entro i quali Stato, Regioni ed enti locali possono collaborare per realizzare interventi congiunti per la sicurezza integrata sia i meccanismi attraverso i quali è consentita – e, anzi, promossa – la partecipazione attiva dei cittadini con specifico riferimento alla sicurezza urbana.
Resta fermo, ovviamente, che una legge statale che dovesse disciplinare ad hoc il “controllo di vicinato” (cui si accenna nella parte finale della sentenza n. 236 del 2020) ben potrebbe tornare sul tavolo della Consulta – stavolta nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale promosso in via incidentale – qualora sospettata di violare princìpi costituzionali diversi da quelli che regolano la competenza tra Stato e Regioni. E in quel caso si aprirebbe, probabilmente, una partita nuova rispetto a quella giocata nella sent. n. 236 del 2020, che – arrestandosi sulla soglia delle questioni di competenza – nel merito della disciplina della Legge Regionale non è entrata.
Foto di copertina: inbal marilli su Unsplash
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