Dopo un iter particolarmente accidentato, il 23 settembre 2020 l’Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005. Citando solo le ultime tappe dell’iter, il testo era stato presentato al Senato già il 23 luglio 2018 e approvato successivamente in testo unificato il 10 ottobre 2019. Quest’anno il disegno di legge è stato integralmente assorbito nella legge 8 ottobre 2020, n. 128 con 237 voti favorevoli, 119 contrari e 57 astenuti. La ratifica alla Convenzione potrebbe rappresentare un ottimo punto di partenza per ripensare al ruolo della cultura.
Una concezione meno elitaria
Cresce così lo sforzo da parte dell’Italia di rendere il patrimonio culturale un insieme di beni, materiali e immateriali, sempre meno elitario ma condiviso e comune. L’intento è dichiarato dall’art.2 della Convenzione sulla definizione di eredità culturale, fortemente ispirata alle conclusioni del Consiglio di maggio per il Framework della Convenzione stessa: «l’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi». Ciò che merita di essere sottolineato in questa definizione è la volontà di identificare l’eredità culturale come qualcosa di radicalmente intriso nella storia e nell’esistenza di ognuno, motivo per il quale ogni cittadino ha diritto a partecipare alla vita culturale, non solo come spettatore passivo ma come propulsore di idee e identificatore di cultura. La definizione sopracitata, infatti, dialoga fortemente con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, ai sensi della quale partecipare alla vita culturale è un diritto fondamentale.
L’ampliamento dell’audience
Questo aspetto della Convenzione è emblematico di una tendenza maturata ormai da una decina d’anni, il cui ultimo scopo consiste in un ampliamento del pubblico, con l’obiettivo di renderlo non solo più ampio ma anche diversificato. È un concetto questo posto in essere con la proposta della Commissione Europea “Europa Creativa”, che vede la sua conclusione proprio quest’anno e che si basa sulla volontà di un’inclusione partecipata dei cittadini, in tutte le loro specificità, alle attività culturali. Quest’iniziativa ha messo in moto una dinamica per la quale il pubblico, una volta fruitore passivo, è divenuto oggi propositore e creatore, entrando nelle dinamiche istituzionali e allargando la partecipazione cittadina.
La cultura parte dal basso
Il concetto di inclusione diversificata all’interno delle dinamiche pubbliche e culturali ha portato in Italia all’approvazione, nel 2014, del primo Regolamento per l’Amministrazione condivisa dei beni comuni e alla diffusione dei Patti di collaborazione, attraverso i quali i cittadini possono diventare parte attiva della rigenerazione del proprio territorio attuando il principio della sussidiarietà (del resto caro anche all’Europa). Va da sé che la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’importanza dell’eredità culturale per la società si fonda sugli stessi principi: la cultura appartiene a tutti, fa parte della storia di ognuno e dunque tutti hanno il diritto, se non il dovere di gestirla, valorizzarla e promuoverla. In tal senso accorre l’art.2, b, della Convenzione che definisce una comunità di eredità come un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future. Questa definizione ha trovato senso in alcune esperienze territoriali che già prima della ratifica alla Convenzione avevano preso vita: cittadini accomunati da uno stesso background culturale si univano per la protezione e valorizzazione della loro eredità in comune. Sono esperienze nate in molti luoghi d’Italia e che ad oggi legandosi fra loro hanno creato una rete comunicativa che valorizzano il loro patrimonio, individuandolo e proteggendolo in linea con le volontà della Convenzione di Faro.
La sfida per le istituzioni
Il panorama culturale che si sta ad oggi configurando sembra aprirsi a nuovi interessanti scenari.
La ratifica di questa Convenzione e le realtà territoriali già sviluppatesi in relazione alla stessa, il Regolamento per l’Amministrazione condivisa e i vari Patti da esso nati, nonché la consapevolezza in seno a molte istituzioni culturali di una necessità di avvicinamento ai propri cittadini e al proprio territorio, stanno ponendo le basi per una nuova concezione della vita culturale che sia davvero partecipativa e coinvolgente non solo in senso di fruizione.
Di fronte a questo scenario la sfida dello Stato è quella di non porsi a giudice assoluto ma di lasciare che i fermenti culturali nati e organizzatisi dal basso continuino a crescere e a rafforzarsi, permettendo la creazione e l’amministrazione di una città, dei suoi territori e della sua cultura; e di fornire inoltre linee guida e i giusti mezzi, nonché supporto, per sviluppare progetti dei cittadini. Questi ultimi diventano consapevoli della loro cultura, dei loro Beni comuni e delle loro potenzialità creative e progettuali. In tal modo la dimensione nazionale e quella territoriale non costituirebbero un ossimoro amministrativo ma metterebbero in campo l’opportunità per una forte collaborazione.