L’accesa discussione, sollevata dalle decisioni delle principali piattaforme digitali di bloccare il profilo dell’ex presidente Trump, presenta risvolti importanti per chi pensa che l’infrastruttura di conversazione e dialogo sia decisiva per costruire percorsi di partecipazione e condivisione.
Cos’è l’infosfera?
Quando parliamo di informazione e comunicazione, oggi, non si può fare a meno di pensare ad un sistema complesso e articolato che vede protagonisti interagenti soggetti (players, singoli o aggregati), strumenti (tutti, dal web ai manifesti murali passando per Tv e radio) e concetti (parole e icone, linguaggi e immagini). Al pari della biosfera in cui umani, animali, minerali e piante convivono e interagiscono, anche nella infosfera (termine coniato dal filosofo Luciano Floridi), i diversi protagonisti in modo dinamico creano processi e modelli che poi si ripercuotono sulle esistenze quotidiane di ciascuno. Nel bene e nel male, producendo effetti positivi e negativi, miglioramenti qualitativi e arretramenti, conquiste e perdite. È normale che sia così, è lo splendido flusso della vita. Sbagliato sarebbe vedere e interpretare i singoli segmenti separati dal resto dell’intreccio e dalla cornice in cui sui collocano.
Social media e violenza verbale
Per questo pensiamo che sia importante, per noi che ci occupiamo di Beni comuni materiali o immateriali che siano, il dibattito che si è acceso a proposito della decisione dei social media, in particolare di Twitter, di sospendere a tempo indeterminato l’account di Donald Trump dopo le vicende che lo hanno visto coinvolto nell’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill, con atti di violenza e, purtroppo, anche cinque morti e alcuni feriti. Le parole pronunciate dall’ormai uscente presidente Usa, sia attraverso il suo profilo Twitter, sia in diretta televisiva, hanno – secondo i dirigenti del social preferito dal tycooun statunitense – aizzato parte della folla fino ai limiti della sovversione. E ciò, dopo anni di violenza verbale in via digitale, in verità poco o per nulla contrastata, e che è salita di livello fino a generare una decisione clamorosa. Fine: Donald Trump non potrà usare il social per comunicare. Questa è, almeno per il momento, la posizione dei dirigenti di Twitter.
Oltre la censura
Non pochi esperti del settore hanno però gridato alla censura. Anche politici (italiani e non) e opinionisti, non certo vicini alle idee né allo stile dell’ex presidente Usa, si sono detti preoccupati per una decisione che – affermano – è contraria ai principi stessi della democrazia: impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni.
Appare evidente, però, che qui non si tratta di libera espressione del pensiero quanto, piuttosto, impedire che attraverso un uso scriteriato degli strumenti (nuovi o vecchi che siano) si demolisca l’impianto stesso della democrazia: ossia la libera, trasparente e corretta contendibilità del potere istituzionale e quindi di un’informazione che assecondi, in modo civile e condiviso, questo modello di funzionamento. Per quattro anni, e soprattutto negli ultimi mesi, tutto ciò non solo non è avvenuto, ma anzi si è aggravato fino ad arrivare ad un’esplicita mancata accettazione, peggio un vero e proprio rifiuto, del legittimo gioco elettorale che ha visto vincere, in modo assolutamente regolare, la parte opposta al potere costituito. Dopo il continuo ed esasperato refrain sul furto delle elezioni, scrive Bill Emmott ex direttore dell’Economist: «resterà la convinzione che le elezioni siano state rubate». Al momento lo pensa quasi il 40% dell’elettorato americano. E questo è un vulnus, oltre ai morti, perfino più grave delle immagini tristissime che riportano l’umiliazione ai simboli delle istituzioni democratiche statunitensi.
La libertà di espressione e la ponderazione con altri diritti
È, quindi, una questione politica, non tecnica. Sostenere la libertà assoluta di usare questi strumenti (come di tutti gli altri strumenti di comunicazione), significa, nei fatti, condannarli all’autodistruzione progressiva. Ogni pratica concreta di esercizio dei diritti va calibrata sulla tutela dei diritti altrui, e sulla combinazione tra diritti che (a differenza di ciò che pensano alcuni) hanno sì una scala di priorità e non sono tutti uguali. La libertà di espressione si deve conciliare con la dignità delle persone che non possono essere impunemente offese o diffamate. No, come in piazza e su altri media, anche su Internet non si può dire quel che si vuole, impunemente. E poi c’è la vita delle comunità e delle istituzioni che le rappresentano e custodiscono: è talmente importante (perché tutti ne beneficiano) da non ammettere che un uso scriteriato dello strumento, anzi, un uso violento e aggressivo, ne metta in discussione sopravvivenza, credibilità e funzionamento.
La strada dell’autoregolamentazione
Scrive Arianna Ciccone, direttrice del pregiato sito di informazione digitale Valigiablu.it: «@Fiorellino86 con i suoi 50 follower se incita all’odio, alla violenza e al terrorismo viene bloccata sui social per il mancato rispetto dei termini di servizio. E nessuno si straccerà le vesti per la libertà di espressione di @Fiorellino86. E allora perché se invece lo fa il presidente degli Stati Uniti, che invece di raggiungere un pugno di utenti ne raggiunge milioni, si alza un grido disperato a difesa del suo diritto di odiare, chiamare alla violenza e delegittimare sistematicamente ogni istituto democratico? Davvero risulta incomprensibile il grido di disperazione di chi in queste ore, in seguito a una decisione senza precedenti delle principali piattaforme social, si lamenta perché la stessa regola che si applica a noi comuni mortali è stata finalmente applicata all’uomo più potente sulla faccia della terra».
Ergo, appare condivisibile il ragionamento che fa il deputato Stefano Ceccanti: «Delle due l’una: o si fa una legge che li responsabilizza quando c’è un’istigazione con pericolo chiaro e presente di violenza, oppure benvenuta la loro autoregolamentazione di operare in tali condizioni. Non ci può essere impunità di istigazione». Siccome fare una legge, globalmente condivisa, perché le aziende e i suoi prodotti non hanno insediamenti circoscritti in perimetri statuali, è impresa assai difficile, al momento dovremmo accettare almeno la percorribilità della seconda strada, quella dell’autoregolamentazione disciplinata con i rischi che ne seguono (quello di presunte censure), molto meno gravi delle insurrezioni violente.
Le soluzioni adottate dall’Unione europea
Nel frattempo procede, nella direzione normativa, il cammino faticoso dell’Unione Europea per regolamentare queste piattaforme. Dopo il Regolamento UE 2016/679 o GDPR (General Data Protection Regulation), in vigore dal 25 maggio 2018 in tutti gli stati UE per normare la gestione dei dati personali (privacy), nelle scorse settimane sono stati presentati dalla Commissione due provvedimenti: il Digital Service Act e il Digital Market Act, nel tentativo di stabilire regole che consentano alle autorità di intervenire in modo rapido ed efficace nei confronti di ipotesi di violazione dei diritti dei cittadini. Si è ben consapevoli della difficoltà di costruire un sistema articolato e fluido, ma non ci si può arrendere. E seppure le perplessità sull’effettiva attuazione sono tante, è una strada da perseguire e sostenere. Come si fa in altri campi (bioetica, intelligenza artificiale, rapporto religioni e stati, lotta ai cambiamenti climatici, ad es.) dove non sempre le diverse posizioni trovano facili e incontestabili punti di incontro.
L’infosfera: un Bene comune che va garantito e curato
Intanto rimane vitale il ruolo della società civile e delle sue organizzazioni di base, per vigilare, in piena libertà, sull’uso corretto e pluralistico dell’informazione (primo tassello, importante anche se non esauriente della comunicazione tout court). Ancor più in Paesi governati da regimi autoritari.
Come sempre, come in altri campi: è una questione di giusto equilibrio, che va trovato costantemente e a volte valutando, di caso in caso, la compatibilità tra interessi personali (e la conseguente possibilità di farli valere secondo la legge) e interessi collettivi (e gli strumenti idonei per tutelarli nella loro effettività in un quadro di reciproco riconoscimento). L’odio, l’istigazione alla violenza e all’insurrezione non possono mai e poi mai essere tollerate. Al fine di proteggere la dignità delle persone, delle istituzioni e – in fondo – la qualità e la funzionalità degli strumenti stessi: siano essi digitali o cartacei o affidati all’etere. L’ambiente che crea l’infosfera va garantito nella sua integrità, come fosse, diciamo noi, un “Bene comune”: perché lo è, in quanto costituisce l’infrastruttura che può favorire il dialogo, il confronto, le scelte condivise, la circolazione delle idee e delle soluzioni per il miglioramento della qualità della vita comune. Che su una comunicazione costruttiva e corretta – non ci sarebbe neppure bisogno di ripeterlo – si fonda in maniera irrinunciabile.
Persino un liberale come il filosofo Karl Popper nel suo libro “La società aperta e i suoi nemici” (1943) afferma: «Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi». Duro, ma chiaro.
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