Il bilanciamento degli interessi al vaglio della Corte costituzionale

Con l’ampliamento del Parco regionale dell’Appia Antica si è riacceso il dibattito, mai del tutto sopito, intorno allo jus aedificandi e la sua tenuta nei confronti della tutela dell’interesse ambientale.

Premessa

Con la sentenza del 21 dicembre 2020, n. 276, la Corte costituzionale ha sancito la legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge regionale del Lazio del 22 ottobre 2018, n. 7, con il quale si prevedeva un ampliamento dei confini del Parco regionale dell’Appia Antica. In particolare, ai sensi del secondo comma, si stabiliva che, nelle more dell’adeguamento del Piano del Parco, sulle nuove aree da includere in esso, venissero ad essere applicate le misure di salvaguardia, così come previste dall’art. 8 della legge regionale del Lazio del 6 ottobre 1997, n. 29. In altri termini, su queste nuove aree, non potevano essere svolte una serie di attività, tra le quali rientravano quelle di natura edificatoria. Per il TAR Lazio, l’art. 7 della l.r. n. 7 del 2018, nel suo complesso, violava alcune disposizioni costituzionali e, nello specifico, quelle contenute agli artt. 3, 41, 42 e 117, commi 1, 2 e 3 della Costituzione.

Motivi della controversia

Tra le aree da ricomprendere all’interno del perimetro del Parco regionale dell’Appia Antica, vi era anche un’ampia area già oggetto di un Programma integrato di intervento (di seguito PRINT), che, proposto nel 2013 da una società privata, era stato adottato dall’ente comunale competente, in variante al piano regolatore generale, nonché approvato dalla Giunta regionale del Lazio, sempre nel corso dello stesso anno. All’approvazione del PRINT, inoltre, aveva fatto seguito la sottoscrizione della convenzione urbanistica, ma, al 2018, ancora nessuna attività edificatoria aveva avuto luogo. Pertanto, con l’entrata in vigore della l.r. Lazio n. 7 del 2018, anche su tale area venivano ad essere vietate attività edificatorie, in virtù di quanto stabilito dall’art. 8 della l.r. Lazio n. 29 del 1997. Secondo il tribunale di prime cure, tale disciplina si poneva in contrapposizione con quanto sancito all’art. 3 Cost., in quanto essa ledeva il «“ragionevole affidamento” ingenerato nelle società ricorrenti dall’avvenuta approvazione del PRINT e dalla sottoscrizione della successiva convenzione urbanistica». Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR Lazio, la Corte costituzionale non ha rilevato alcuna violazione dell’art. 3 Cost., né delle altre disposizioni costituzionali dinanzi citate.

La natura dei vincoli

Per il giudice delle leggi, infatti, le misure di salvaguardia – poste sull’area al centro della controversia – rispondono ad esigenze di carattere ambientale, ovverosia mirano a salvaguardare il pregio ambientale riconosciuto alla stessa zona dal legislatore regionale. In caso contrario, qualora si dovesse ammettere una qualsiasi attività edificatoria, prima che sia intervenuto l’adeguamento di Piano, si correrebbe il rischio di compromettere lo stesso valore ambientale, che ha dato luogo all’inserimento della stessa area all’interno del perimetro del Parco regionale dell’Appia Antica.

Pianificazione urbanistica e tutela ambientale

Con tale pronuncia, la Corte costituzionale conferma il proprio orientamento – e non solo il suo (si veda fra tutte Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 10 maggio 2012, n. 2710) -, ossia quello secondo il quale alla pianificazione urbanistica non può essere riconosciuta la possibilità di precludere «il pieno dispiegarsi della tutela ambientale», che, nel caso di specie, si vuole realizzare proprio con l’apposizione delle misure di salvaguardia. Anzi, la Corte ribadisce che, nel bilanciamento degli interessi, l’«aspettativa edificatoria dei privati non può […] essere considerata un elemento idoneo a impedire il pieno esplicarsi della tutela del bene riconosciuto di valore ambientale». In questo senso, pertanto, le limitazioni poste non violano neppure il diritto di iniziativa economica privata, dal momento che, come sancisce l’art. 41, comma 2, Cost., essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, che, invece, attraverso tali misure, si intende garantire.

Un nuovo tassello

Infatti, la sentenza qui commentata va ad aggiungersi a quelle che, già in precedenza, hanno contribuito a definire la categoria dei beni comuni ambientali, ossia beni che, indipendentemente dalla loro titolarità, risultino essere per le loro intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinati a realizzare gli interessi di tutti i cittadini. In particolare, la Corte, al fine di valutare o meno la violazione dell’art. 42 Cost. da parte della normativa regionale impugnata, ha osservato che, malgrado i proprietari delle aree interessate dall’ampliamento del Parco dell’Appia Antica vengano privati della possibilità di esercitare il proprio jus aedificandi, senza ottenere neppure un ristoro economico, tale sacrificio è giustificato proprio al fine di assicurare la funzione sociale che le zone qui in esame svolgono.

Foto di copertina: Dolcevia su Pixabay