È stato recentemente pubblicato dalla Regione Toscana un documento a cura di Francesca De Santis intitolato “La partecipazione nel governo del territorio in Toscana“, volto a descrivere il lungo processo che ha portato questa regione a rendere la partecipazione parte in gioco all’interno dei processi decisionali e dunque protagonista nel governo del suo territorio. Non si tratta semplicemente di un documento in cui viene stilata una lista dei risultati raggiunti, ma di un qualcosa volto davvero a considerare la partecipazione una sfida che vale la pena intraprendere e continuare a portare avanti ogni giorno. Certo, nello specifico viene preso in considerazione il quinquennio di governo che va dal 2014 al 2020, partendo dall’approvazione della legge regionale 65/2014, per arrivare ai risultati raggiunti. In verità, però, parlare di una legge di settore che si riferisce al territorio ma che fa della partecipazione la sua concreta innovazione, porta inevitabilmente a riflettere su tutta l’impalcatura che ormai da anni rende la Toscana una delle regioni in cui questo tema viene maggiormente affrontato e sviluppato. Non a caso sono costanti e ampiamente argomentati i passaggi che a livello europeo e statale dagli Novanta ad oggi hanno rappresentato una spinta. Allo stesso modo appare esaustivo il richiamo a tutto il quadro su cui si fonda la democrazia partecipativa, a partire dalla Costituzione del 1948.
La democrazia partecipativa nel governo del territorio e non solo: dall’informazione alla partecipazione
I risultati ottenuti in Toscana sono l’esito di un’evoluzione che dipende da più fattori. È innanzitutto grazie all’evoluzione legislativa riguardante il governo del territorio, e soprattutto con l’emanazione della legge regionale 65/2014, che la Toscana ha fatto quello slancio in avanti in tema di partecipazione. La volontà di evolversi sotto questo punto di vista, soprattutto nel settore territoriale ed urbanistico ma non solo, proviene sicuramente almeno da due altri motivi: da una parte il nuovo slancio alla partecipazione degli ultimi anni, accompagnato anche dal contesto statale ed europeo e soprattutto dall’approvazione della 241/90 con la quale si inaugura una stagione di riforme nell’amministrazione ispirate ai principi di trasparenza, pubblicità e partecipazione; dall’altra il fatto che la regione Toscana rappresenta un modello, ormai da più di vent’anni, per l’introduzione, l’affermazione e lo sviluppo di pratiche partecipative. Aver colto fin dai primi anni Duemila e non solo da un punto di vista legislativo ma anche culturalmente parlando, le riforme a livello europeo e statale, fa della Toscana una regione “abituata” al metodo di governo partecipato.
La Toscana, una regione avvezza alla partecipazione
La Toscana è tradizionalmente considerata una regione avvezza all’utilizzo di pratiche partecipative. Tra le regioni italiane, infatti, è stata la prima ad emanare una legge organica sulla partecipazione. La pioneristica legge 69/2007, promulgata in seguito ad un ampio dibattito pubblico, è stata un modello innovativo preso come esempio non solo in Italia, ma anche in Europa. Tale legge, in seguito alla sua automatica abrogazione, è stata seguita dalla “figlia”, ossia dalla legge n. 46/2013, emanata soltanto dopo un’attenta valutazione della legge precedente da parte della Giunta e del Consiglio. La nuova legge, che ha introdotto alcune modifiche rispetto alla precedente, ha confermato l’intento di includere e far partecipare tutti i soggetti interessati ai processi decisionali in un’ottica di rinnovamento della democrazia attraverso la valorizzazione dei saperi civici. La partecipazione, dunque, è promossa come forma ordinaria di governo e in tutte le fasi dei processi decisionali.
Leggi organiche e leggi di settore: la ricetta sperimentata in Toscana è all’origine del suo successo?
Mentre la maggior parte delle regioni italiane si caratterizza per l’adozione di leggi di settore, la Toscana si caratterizza per essere stata la prima regione (e ancora oggi una delle poche) ad aver approvato, come visto, una legge organica sulla partecipazione. Chiaramente, alla legge organica sono affiancate leggi di settore che contengono allo stesso modo il principio partecipativo. Una ricetta di questo tipo appare interessante perché, se da una parte, tramite la legge organica, la partecipazione è regolata in maniera generale, dall’altra, attraverso le leggi di settore, gli strumenti partecipativi sono costruiti ad hoc, in relazione alla specificità delle singole politiche pubbliche e con maggiore probabilità di efficace attuazione. Tutta l’impalcatura su cui si reggono le specifiche leggi di settore è quella della legge organica, grazie alla quale si riconosce la partecipazione come diritto di tutti gli individui. Ma le leggi di settore, a loro volta, hanno portato risultati positivi proprio per le loro specificità. È il caso, ad esempio, delle già citate leggi sul governo del territorio che sembrano essersi evolute in maniera avvincente, apportando così evidenti miglioramenti in termini concreti.
Saperi civici, inclusione e partecipazione
Se il complesso di leggi ha messo la partecipazione al centro del governo della Toscana, ciò è dovuto sicuramente alla convinzione che i cittadini possono e devono essere partecipi, attraverso i loro saperi, delle decisioni che direttamente li riguardano. E questa, prima che legge, deve essere opinione comune e convinzione culturalmente fissata. Per questo, per rendere la partecipazione effettiva, è necessario capire quanto sia inclusiva e quanto chi partecipa incida sulle decisioni. Non a caso, il tratto distintivo della democrazia partecipativa è proprio il principio di inclusività, secondo cui il diritto di partecipazione ai processi decisionali spetta a tutti gli individui che effettivamente vogliano prenderne parte. A differenza della democrazia rappresentativa e di quella diretta, l’inclusione ai processi di democrazia partecipativa non dipende in alcun modo dai requisiti di età e cittadinanza formale. Per questo, negli ultimi anni, per riferirsi ai processi partecipativi e a coloro che ne prendono parte, siamo soliti parlare non di “cittadini“, ma di “persone situate” o di “abitanti“. Sulla revisione dei concetti di inclusività e di partecipazione sono nati i modelli di welfare society, territorialismo e federalismo, basati proprio sulla riscoperta dei valori civici, dell’identità dei territori e degli abitanti come portatori di saperi e di capacità. Queste nuove esperienze hanno ridato vita ad una concezione di democrazia partecipativa in cui la partecipazione dei soggetti ai processi decisionali deve avvenire costantemente, così come espresso in Costituzione. Ripartire dai territori, dai saperi degli abitanti e dal loro legame identitario al territorio stesso e inserendo questi elementi nei processi decisionali significa rispondere in maniera chiara a quanto espresso dai padri costituenti. Insomma, promuovere una partecipazione continua e tenere in considerazione costante i saperi e le capacità dei destinatari significa soddisfare i principi di sovranità e di partecipazione effettiva espressi in maniera chiara nella struttura circolare dei primi tre articoli della Costituzione.
Democrazia partecipativa e amministrazione condivisa: un modello completo
Parlare di inclusione, abitanti, saperi civici e territori significa inevitabilmente parlare anche di Amministrazione condivisa in un’ottica che unisca la stessa alla democrazia partecipativa. Com’è noto, il modello dell’Amministrazione condivisa negli ultimi anni è riuscito maggiormente a svilupparsi e a produrre i suoi frutti. Sono molti, infatti, i comuni italiani che hanno adottato un Regolamento sui beni comuni e che hanno stretto Patti di collaborazione con la cittadinanza. Se la “partecipazione al fare” ha trovato maggiore attuazione e successo, allo stesso tempo sembra costituire un “alimento” per lo sviluppo più decisivo della “partecipazione al decidere”. Del resto, lo slancio partecipativo degli ultimi anni si è fatto concreto in seguito alla riforma del titolo V e soprattutto con la costituzionalizzazione degli artt. 117 e 118 Cost.. I principi espressi in questi articoli e in particolar modo quello di sussidiarietà, sono senza dubbio legati ad altri principi già espressi in Costituzione. Anzi, il principio di sussidiarietà si può considerare a tutti gli effetti un rafforzamento dei principi di solidarietà e partecipazione. Per questo, pur distinguendosi, democrazia partecipativa e amministrazione condivisa, possono e devono costituire un modello unico. Non a caso, la Regione Toscana ha recentemente approvato una legge dedicata al governo collaborativo dei Beni comuni. La legge 71 del 24 luglio del 2020, volta per l’appunto a regolare il governo collaborativo dei beni comuni e del territorio, rappresenta la conferma dell’attenzione di questa regione al governo partecipato e collaborativo.
Quali conseguenze sulla democrazia e sul governo del territorio?
L’utilizzo di pratiche proprie della democrazia partecipativa e di strumenti dell’amministrazione condivisa apre una finestra nuova su democrazia e governo del territorio. Queste pratiche, sempre più diffuse e sviluppate, vanno ad influire sui processi decisionali aprendo nuovi scenari. La conseguenza più evidente è sicuramente quella di andare a mitigare il modus operandi della democrazia rappresentativa, mettendo in discussione tutta la struttura affermatasi dalla nascita degli stati nazionali in un’ottica non oppositiva, ma complementare. Non a caso, una delle crisi che ha dato un nuovo slancio alla democrazia partecipativa, è proprio la crisi dell’istituto della rappresentanza, unita alla crisi dei partiti e al sempre maggiore astensionismo elettorale. Lo stesso articolo 49 Cost., che disciplina la partecipazione politica e il ruolo dei partiti, afferma che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». In effetti i partiti di massa, almeno fino alla loro crisi, sono stati strumenti di partecipazione in quanto luoghi di dibattito, di incontro e di condivisione che garantivano l’esercizio permanente della sovranità. Con la loro crisi, si fa sempre più ampio lo spazio tra governati e governanti, viene meno la partecipazione, ridotta essenzialmente al momento elettorale. Ed è proprio in questo vuoto, in questa fessura che giocano il loro ruolo i “nuovi” strumenti partecipativi, volti in questo senso a ridurre quello spazio che si è creato e garantire la partecipazione dei cittadini tutti. In questo caso per “cittadini” si intendono tutti coloro che abitano in un determinato territorio, prescindendo dal concetto di cittadinanza formale. E questa è un’altra finestra che aprono democrazia partecipativa e Amministrazione condivisa sul metodo di governo. Per meglio dire, si allarga la platea degli individui chiamati a prendere parte ai processi decisionali, secondo il principio dell’interesse e del legame al territorio e non secondo il possesso della cittadinanza in senso giuridico. Una conseguenza non da poco, questa, se pensiamo all’evoluzione delle nostre società e alla presenza di molti individui che, pur abitando, lavorando e prendendo parte alla vita sociale, non hanno la possibilità di partecipare al momento elettorale.
Valorizziamole oggi!
Democrazia partecipativa e Amministrazione condivisa giocano dunque un ruolo cruciale e, anche in tempo di crisi sanitaria ed economica come quello che stiamo vivendo, potrebbero rappresentare delle modalità utili alla ricostruzione e alla ripartenza. Mettere al centro i saperi degli abitanti per sviluppare progetti di ripresa potrebbe rappresentare la chiave per una ricostruzione che parta davvero dai bisogni degli individui in un’ottica in cui, ancora una volta, i destinatari giocano il ruolo attivo di protagonisti. I loro bisogni e i loro saperi, uniti al sapere esperto, possono rappresentare strategie vincenti e collaborative per garantire sempre più cooperazione e minori conflitti anche in tempi delicati come quello attuale.
Foto di copertina: Migranti sottoscrittori del patto “PartecipAzione dei migranti alla cura del bene comune” a Cortona