Negli ultimi anni sono molte e variegate le esperienze di partecipazione dal basso che hanno provato a farsi strada in quello che ad oggi risulta essere un contesto ancora privo di linee guida chiare ed omogenee, sia da parte del legislatore che dalla giurisprudenza. Alcune di tali esperienze possono essere ricondotte al modello di Amministrazione condivisa che, seppure ancora in fase di sperimentazione, si è rivelato capace di dare risposta ad un ampio numero di istanze provenienti dal basso e volte alla valorizzazione del patrimonio pubblico secondo logiche inclusive, capaci di produrre nuove utilità rispondenti ad interessi generali. Interessi che, nelle esperienze prese in esame, cittadini e amministrazioni hanno scelto di perseguire congiuntamente, attraverso il dialogo e la collaborazione, dimostrando come il perseguimento dell’interesse pubblico possa, e debba, cessare di essere una prerogativa statale, per aprirsi ad una più proficua collaborazione con la comunità degli amministrati.
In tale contesto, la tesi di ricerca che qui presentiamo, dal titolo “L’Amministrazione condivisa: forme modelli di gestione partecipata dei beni pubblici”, effettua una ricostruzione degli elementi che caratterizzano il fenomeno della partecipazione attiva dei cittadini alla gestione dei beni pubblici, per poi analizzare da un punto di vista giuridico gli strumenti attualmente a disposizione per la messa in atto delle suddette pratiche partecipative. Infine, a conclusione della presente indagine, sono state analizzati differenti casi di gestione partecipata dei beni pubblici attraverso interviste e, ove possibile, la visita delle strutture interessate, così da poter mettere in risalto peculiarità e criticità di ciascuno dei modelli oggetto dell’analisi del secondo capitolo.
La sussidiarietà quale fondamento dell’Amministrazione condivisa
Nella sua accezione orizzontale il principio di sussidiarietà, contenuto al comma 4 dell’articolo 118 della Costituzione, prevede che i cittadini, sia come singoli che in forma associata, provvedano in via primaria alla cura dei bisogni collettivi così come delle attività di interesse generale e che le amministrazioni intervengano a sostegno dell’azione di questi, coadiuvandola e coordinandola. Tale enunciato riconosce in capo ai cittadini un interesse al coinvolgimento nella definizione delle politiche locali idonee ad incidere sulle realtà sociali a loro più vicine, e che di tale interesse le diverse istituzioni debbano tener conto, creando le condizioni affinché i cittadini possano contribuire con la loro azione al raggiungimento dell’interesse generale.
Con l’introduzione di tale principio, non solo cadde il monopolio delle amministrazioni sulla tutela dell’interesse pubblico, ma si gettarono le basi per la creazione di un modello basato sulla c.d. cittadinanza attiva, ossia sulla presenza di «soggetti attivi che, integrando le risorse di cui sono portatori con quelle di cui è dotata l’amministrazione, si assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi di interesse generale».
Se per cittadini attivi si intendono «tutti quei soggetti, singoli, associati o comunque riuniti in formazioni sociali, anche di natura imprenditoriale o a vocazione sociale, che si attivano per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani» (cfr. art 2 co.1 lett. c) del Regolamento di Bologna); sul versante pubblico, in ossequio alla accezione verticale del principio di sussidiarietà, il punto di partenza dell’attuazione del modello dell’amministrazione condivisa è dato dalla dimensione cittadina. Il Comune, quale ente più prossimo ai cittadini e luogo di aggregazione, funzionale allo sviluppo delle attività umane, diviene pertanto garante di un governo pubblico e partecipato dei servizi e dei beni comuni, intesi quali beni di appartenenza collettiva, espressivi di utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona.
Gli strumenti per la collaborazione tra cittadini e amministrazioni
La collaborazione tra cittadini e amministrazioni può in concreto assumere svariate forme, a partire dai processi partecipati del modello toscano, i quali riprendono le pratiche partecipative nate in Brasile dall’esperienza del bilancio partecipativo di Porto Alegre, sino all’affidamento in gestione di spazi dichiaratamente ‘comuni’ sulla base di quello napoletano, passando per interventi di cura e rigenerazione sullo schema dei Patti di collaborazione. Questi ultimi sono stati previsti per la prima volta nel Regolamento di Bologna, il quale nasce nel 2014 dall’esigenza di dotare l’amministrazione comunale degli strumenti necessari per rispondere alle iniziative dei cittadini. I Patti di collaborazione si pongono quale strumento capace di mettere a frutto il potenziale dei cittadini che diviene una risorsa di primaria importanza per l’efficace gestione del territorio. A riprova di ciò si pone l’analisi della casistica effettuata nel terzo capitolo, contenente un’esemplificazione dell’ampiezza e della varietà della moltitudine di patti di collaborazione che sono stati ad oggi stretti tra cittadini ed Amministrazioni comunali.
La collaborazione tra cittadini e amministrazioni alla luce della normativa nazionale
Oltre alle summenzionate pratiche locali, si è dato conto della normativa nazionale contenuta nel Codice dei contratti pubblici e in quella del Terzo settore, andando così ad includere anche la partecipazione dei cittadini in forma associata. Quest’ultimo si apre all’articolo 1 con una dichiarazione che richiama il principio di sussidiarietà orizzontale e il concetto di cittadinanza attiva, per poi riconoscere il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore quale espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, favorendone lo sviluppo anche attraverso la promozione di forme di collaborazione con Stato, regioni ed enti locali. Di particolare interesse è l’articolo 55 il quale postula il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore nell’ambito delle attività di interesse generale, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento. Mentre l’articolo 56 si occupa delle ‘convenzioni’, prevedendo che le amministrazioni possano sottoscrivere convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale. A riguardo la stessa Corte Costituzionale ha definito la disposizione contenuta all’articolo 55 quale diretta attuazione dell’articolo 118, comma 4, della Costituzione e in quanto tale volta a porre in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, sulla base della creazione di un “canale di amministrazione condivisa alternativo a quello del profitto e del mercato”.
Venendo al Codice dei contratti pubblici, si richiamano in primis gli articoli 189 e 190 i quali autorizzano gli enti locali a offrire incentivi per l’affido in gestione ai cittadini di aree riservate al verde pubblico urbano, immobili rurali o per la realizzazione di opere di interesse locale; mentre nel secondo caso l’articolo 190 prevede la possibilità di definire con apposita delibera la stipula di contratti di partenariato sociale con i cittadini, secondo cui, a fronte di interventi di manutenzione, abbellimento o valorizzazione di vario genere di spazi e beni, con finalità di interesse generale, vengono concesse riduzioni o esenzioni di tributi.
Parimenti degna di menzione è l’innovativa disciplina introdotta dall’articolo 151, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, dedicato alle sponsorizzazioni e forme speciali di partenariato, che detta una disciplina semplificata per l’attivazione di forme di partenariato speciali tra privati e organismi pubblici volte «a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili» in termini non più esclusivamente economici.
Tale norma ha trovato applicazione per la prima volta nel caso del Teatro Tascabile di Bergamo, a cui, a fronte di una gestione ‘aperta’ al pubblico e attenta al recupero e alla valorizzazione secondo le logiche della partecipazione civica, è stato concessa in gestione una parte dell’Ex Monastero del Carmine, senza previsione di alcun canone.
In materia di valorizzazione del patrimonio storico-culturale, si può volgere lo sguardo anche a quanto stabilito dall’articolo 71, comma 3, del Codice Terzo settore il quale prevede la possibilità di dare in concessione a taluni enti del Terzo settore beni culturali immobili che necessitano di interventi di restauro, per un arco temporale tale da permetterne un’adeguata opera di riqualificazione e conversione con la possibilità di usufruire di un canone agevolato.
I cittadini attivi portatori di preziose risorse
Infine, alla luce dell’analisi della casistica, compiuta a chiusura dell’elaborato, è emerso come l’attivarsi dei cittadini secondo il modello dell’Amministrazione condivisa, invece che sottrarre risorse alla Pubblica amministrazione per il perseguimento dell’interesse generale, le integra, attraverso la messa a disposizione di know how, tempo e competenze individuali in modo tale che i cittadini si trasformano da soggetti passivi a portatori di preziose risorse; contribuendo alla rigenerazione di beni e spazi urbani altrimenti abbandonati al degrado attraverso la riattivazione della loro funzione originaria o l’attivazione di programmi di riuso e rigenerazione volti al reinserimento dei beni e degli spazi nel mutato contesto sociale e cittadino.
Foto di copertina: CDC su Unsplash