Agli inizi di marzo è stata lanciata la Convenzione della società civile sul Futuro dell’Europa, un collegamento tra le organizzazioni della società civile e «il contesto istituzionale della Conferenza, al fine di garantire un’agenda ambiziosa, strutturata e proiettata verso il futuro della Conferenza e dell’Europa». In una dichiarazione congiunta, attualmente approvata da 72 organizzazioni attive a livello europeo, si avanzano le proposte e le preoccupazioni dei cittadini che saranno prese in considerazione nelle discussioni e «saranno seguite le più adeguate e concrete soluzioni politiche, legislative e, se del caso, di modifica dei trattati».
Oltre ai due copresidenti Alexandrina Najmowicz, Segretario generale del Forum Civico Europeo e Milosh Ristovski, Segretario generale di JEF Europe (i Giovani federalisti europei), nel direttivo è stata eletta Antonella Valmorbida della sezione Italia di ALDA (l’Associazione europea per la democrazia locale, rete della quale fa parte da pochi mesi anche Labsus), che, con altri membri del Comitato, avrà il compito di preparare le raccomandazioni della società civile alla Conferenza e che definirà i principi chiave della partecipazione basati sull’inclusione e l’uguaglianza.
In generale, si legge sul sito di ALDA, la Convenzione «si pone come ponte tra le Organizzazioni della Società Civile e le istituzioni, in modo da assicurarsi che le proposte e le preoccupazioni dei cittadini siano ascoltate, mentre si cercano soluzioni efficaci per superare le sfide di oggi e di domani».
Di questi temi abbiamo parlato con Antonella Valmorbida.
Segretaria, partiamo dal momento storico che stiamo vivendo: secondo lei la pandemia, e le conseguenti restrizioni, hanno modificato profondamente l’appeal di un ruolo di partecipazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica?
No, non credo che abbia sostanzialmente modificato questo punto, credo che siano cambiate la modalità con cui possiamo partecipare. Non credo che le condizioni di bisogno, le motivazioni, i soggetti, non ci siano più. Sono cambiate le modalità con cui si può fare. E c’è tutto il discorso della partecipazione digitale che è stata forte fin dalla prima parte dell’anno, creando una sorta di modalità ibrida, in presenza e digitale, che adesso probabilmente diventerà un po’ la norma. Direi una modifica delle modalità, più che un abbandono della dinamica partecipativa. Al contrario, io penso che ce n’è più bisogno adesso, ora che le persone cercano di intervenire per risolvere i loro problemi che siano di tipo economico, sociale o altro.
Spesso si sente: per partecipare bisogna conoscere gli argomenti. Non c’è il rischio che a farlo siano solo le persone dotate di cultura, tempo e risorse disponibili, emarginando di fatto, chi non dispone di tutto ciò?
La partecipazione, come la portiamo avanti noi di ALDA, ha uno spettro molto vasto. Il primo passaggio è di formazione che è rivolta a chi non sa. Però io non credo che chi non conosce le questioni possa veramente contribuire in modo costruttivo. Se apriamo un dibattito molto vasto, di sentimento comune, dove l’obiettivo è avere un riscontro di opinione pubblica, allora può anche andar bene il “non sapere”. Però, secondo me, la partecipazione si costruisce sul sapere, se si vuole veramente contribuire. Se però non si fa lo sforzo di avere delle coordinate di base, almeno su quello che è il tema da affrontare, è difficile partecipare in modo costruttivo. Non bisogna per forza essere professori di diritto o economia, ma a tutti si possono dare delle nozioni di base, ad esempio, su cosa sia un bilancio dello Stato, quali sono i grandi temi della partecipazione, ecc. Si possono anche sviluppare degli strumenti all’inizio di un processo partecipativo: e non è che si diventa esclusivi o elitari se richiede la fatica della comprensione di un tema. La partecipazione si fa a partire da una persona che è informata. A meno che non si tratti di un’inchiesta dell’opinione pubblica, tipo sondaggio, allora lì va bene tutto…
Cosa c’è di particolare, se non proprio di unico, nell’approccio di ALDA alla partecipazione?
L’approccio di ALDA direi che è rivolto alla soluzione dei problemi, nel senso che siamo poco ideologici, siamo molto pragmatici e affrontiamo i temi per trovare come risolvere le crisi e ampliare le opportunità. Non sono battaglie “politiche”, senza nulla togliere al valore delle battaglie politiche e ideologiche importanti; ma intendo che la modalità di pensiero è proprio quella di sviluppare una sorta di “cassetta degli attrezzi” che va a cercare nelle persone, nel loro lavoro, nelle loro conoscenze, idee, tempo, strumenti e suggerimenti, da mettere in rete in modo strutturato, per risolvere e migliorare le politiche pubbliche. La partecipazione per noi è “professionale”, cioè di qualità, strutturata con gli strumenti e i passaggi giusti perché sia la meno emotiva possibile e la più funzionale possibile, perché vada al di là del “mi piace” o “non mi piace”, ma porti a chiedersi se sia utile, quali siano le risorse, i problemi. Direi quindi una partecipazione verso il raggiungimento di un certo obiettivo, e strutturata ed efficiente verso questo obiettivo. E poi, infine, la caratteristica di pensarla e praticarla a livello locale.
L’esigenza di fare rete: dati i diversi contesti in cui ogni realtà si trova, fino a che punto le differenze possono essere una ricchezza e quanto invece un ostacolo per una progettualità comune?
Le differenze sono entrambe le cose a mio avviso, nel senso che non tutto può essere amalgamato, anche se un minimo comune denominatore deve esserci. Per esempio, noi lavoriamo con tanti Paesi che si occupano di decentramento e di enti locali, se però non c’è nessuna politica di decentramento alcune cose non possiamo farle nel modo in cui vogliamo farle. Un minino comune denominatore tra i vari componenti della rete lo dobbiamo trovare per riuscire a fare qualcosa insieme. Poi, detto ciò, è importante l’ascolto del diverso e il provare a capire perché si usano alcuni strumenti, alcuni modi di partecipate rispetto ad altri, perché in certi Paesi funziona e in altri no, rispetto ad un contesto politico, storico, economico. Il confronto con il diverso è frutto di arricchimento che consente di arricchirsi sempre molto di più, cioè ci si arricchisce molto di più con il diverso che con il simile.
Quali progetti avete in Italia e come su quali basi impostare la collaborazione con Labsus?
Labsus e ALDA sono soggetti per natura molto diversi, ALDA fa progetti sul territorio su temi molto diversi, dall’ambiente, all’integrazione, all’inclusione, alla cultura, al sociale, alla formazione tout court, al fundraising delle associazioni. Dietro alla nostra missione associativa che è la democrazia locale e la partecipazione dei cittadini, c’è tutto un mondo di azioni molto diverse. Labsus fa formazione e sensibilizzazione, crea anche sapere e conoscenza, e coscienza sul tema della partecipazione. Io credo che su questo noi dovremmo concentrarci, ossia creare un filone di approfondimento su quello che implica la mutazione del sistema democratico in termini di partecipazione, vedere come per esempio comuni o regioni sono orientate alla partecipazione come risorsa e non come sfida al potere pubblico, osservando come questo approccio sia vincente e di successo. Magari possiamo lavorare su un filone di ricerca e formazione, conoscendo Labsus da tanti anni, lo vedo più in questo senso: coscienza, formazione e ricerca.
Infine: voi lavorate molto sull’integrazione europea. Su quali tracce, come?
Il tema è un po’ trabocchetto, perché può voler dire approfondimento di quella che è l’Europa dei Paesi membri e, dunque, noi sosteniamo il progetto EU e la sua integrazione, cioè la politica di integrazione degli Stati membri all’interno del progetto Europeo, nonostante gli alti e bassi che noi tutti vediamo e sperimentiamo. Siamo in ALDA fortemente europeisti, non vediamo un’alternativa seria fuori dal progetto europeo, come crescita e sopravvivenza dell’Europa. Poi facciamo parte delle piattaforme europeiste, sosteniamo la mobilità, le politiche che condividono un’Europa di valori e azioni. Inoltre c’è il tema dell’accesso dei Paesi in via di adesione all’Unione Europea, e anche questo è un tema del nostro impegno. In Europa si parla anche di EU integration e accession, perciò da anni noi siamo promotori del concetto dell’allargamento ai Balcani e consideriamo questo come una strategia politica dell’ALDA. Cioè per noi è un “progetto” faro che deve realizzarsi e se ci sono dei problemi li dobbiamo affrontare, ma per noi i Balcani devono essere parte dell’Unione Europea.
Foto di copertina: La Società civile rappresentata dai dirigenti di Alda