Se un progetto potrebbe essere utile alle persone con disabilità, perché non coinvolgerle da subito e in tutte le sue fasi, anche in quelle di ideazione e produzione?

La disabilità è spesso percepita come un peso sia per la persona che per la società. Tuttavia, questo paradigma discriminatorio si sta lentamente stravolgendo anche grazie alla consapevolezza che la disabilità semplicemente rispecchia alcune delle caratteristiche personali che identificano un individuo e i suoi bisogni. Se persone e necessità fossero viste come opportunità anziché come barriere, si potrebbe intravedere il valore inespresso delle persone con disabilità, le quali sono descritte dall’OMS e le NU come la più vasta minoranza al mondo. Uno studio ha quantificato tale potenzialità paragonandola a quella dell’intera Cina. Ne segue che la piena partecipazione nella società delle persone con disabilità sia da intendersi come un bene comune da valorizzare. Questa riflessione si augura di stimolare la condivisione di pensieri ed esempi sul tema, in modo da contribuire alla diffusione di un nuovo modello sociale legato ai temi della disabilità.

La partecipazione abilitante

Il motto niente su di noi, senza di noi è uno dei pilastri su cui si fonda il movimento internazionale per i diritti delle persone con disabilità. La rivendicazione di base è quella di partecipare in tutti i processi decisionali che riguardano la disabilità, in modo che questi considerino il punto di vista di coloro a cui le decisioni sono destinate. Questa idea, tanto semplice quanto rivoluzionaria, dovrebbe valere per ogni categoria sociale: donne che sviluppano politiche femminili, bambini che partecipano a processi educativi, fino a cittadini che si prendono cura di beni pubblici.
Quanto descritto richiama il principio della sussidiarietà orizzontale, che considera la partecipazione come un diritto per i cittadini e un valore aggiunto per ogni tipo di politica democratica e relazionale. Tuttavia, questi principi valgono per tutti? Quando espressero alle Nazioni Unite la necessità di una Convenzione a loro dedicata, le persone con disabilità chiarirono di non volere nuovi diritti ma la garanzia di poter godere dei diritti esistenti. Questo perché si sentivano escluse dalla società e di conseguenza da ogni opportunità partecipativa.
La partecipazione implica una selezione fatta da chi ha il potere di includere su chi abbia titolo a partecipare. Questo comporta che l’accordo a partecipare ha bisogno di un riconoscimento culturale e politico. Se le persone con disabilità vengono approcciate in modo paternalistico, ne segue che i decisori si sentono in dovere e autorità di prendere decisioni nel presunto loro “migliore interesse” e senza includerleSi confonde in questo modo disabilità con incapacità e si preclude il diritto alla partecipazione.
Il nuovo paradigma della disabilità vede l’aspetto disabilitante in una società che non sa accogliere piuttosto che in determinate caratteristiche individuali. In altre parole, una persona sulla sedia a rotelle non è disabile in sé, ma lo diventa a causa dell’incontro con barriere architettoniche. Le barriere possono essere anche attitudinali. Per esempio, l’esclusione dai processi decisionali disabilita la persona attiva più del presunto motivo per cui viene negata l’inclusione. Di conseguenza si può affermare che ogni politica partecipativa abilita e valorizza le persone nel riconoscerne l’appartenenza sociale. Si ribadisce così che «il principio di sussidiarietà orizzontale e il connesso favor per l’autonoma iniziativa dei cittadini possono esser letti […] in funzione della generale ‘missione’ […] del pieno sviluppo della persona sociale».

La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità

Quando le Nazioni Unite confermarono di voler scrivere la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, la sorprendente risposta che arrivò dalle varie associazioni di categoria fu che questo impegno non bastava: loro volevano partecipare alla scrittura del Trattato. Tale richiesta fu accolta e per la prima volta ci fu un’ampia partecipazione civica nella stesura di una convenzione internazionale. Oltre a riconoscere il diritto alla partecipazione, le NU si accorsero della qualità dei contenuti proposti dalle persone con disabilità, che erano così innovativi da superare la preparazione dei più blasonati esperti, i quali mancavano di esperienza diretta e si rifacevano a modelli stereotipati.
Il risultato fu che le persone con disabilità dimostrarono nei fatti non solo l’importanza della loro partecipazione ma la sua imprescindibilità per raggiungere risultati qualitativamente importanti nei discorsi che li riguardano. Anche grazie a questa esperienza, il principio della partecipazione è diventato un pilastro della Convenzione, tanto che il relativo Comitato ONU gli ha dedicato un General Comment che (eccezionalmente) ha una traduzione italiana e alla cui lettura si rimanda per comprendere quanto la partecipazione sia un diritto umano acquisito che non può essere negato. La Convenzione e il General Comment prestano particolare attenzione a sistemi di governance partecipativa dove le persone con disabilità possono legittimamente monitorare e influenzare i decision maker realizzando appieno la loro inclusione sociale.
Di seguito si presentano tre istituti di governance su cui gli enti locali stanno investendo per promuovere i diritti delle persone con disabilità. Contestualmente si propone, come stimolo costruttivo, un sintetico ragionamento su come questi istituti implementino il principio della partecipazione.

Il Garante per i Diritti delle Persone con Disabilità

Una delle figure che tanti Comuni stanno istituendo per tutelare i diritti delle persone con disabilità è quella del Garante. Parimenti si possono vedere Garanti per i diritti dell’infanzia, delle donne e così via. Lo scopo del Garante dovrebbe essere duplice: da un lato ha un ruolo da difensore civico in modo che le persone con disabilità abbiano un punto di riferimento istituzionale in caso ritengano i loro diritti violati, dall’altro lato monitora le amministrazioni per assicurare che atti e procedure rispettino gli standard di inclusione definiti dalla Convenzione ONU e dalle leggi Europee e Nazionali in tema di disabilità.
Il Garante per i Diritti delle Persone con Disabilità è una figura importante per la quale i Comuni scelgono persone competenti, spesso avvocati, che ricoprono il ruolo a titolo gratuito. Detto questo, l’analisi di diversi regolamenti istitutivi del Garante mostra il rischio che il principio del “niente su di noi, senza di noi” venga solo in parte soddisfatto. Infatti, mentre alcuni regolamenti non contengono la parola “partecipazione“, altri la richiamano solo per affermare che il Garante deve assicurare la partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale. Tuttavia, la partecipazione delle persone con disabilità e delle loro associazioni dovrebbe realizzarsi anche nel lavoro di tutela e monitoraggio svolto dal Garante stesso, collaborando al suo ufficio. Un approccio regolamentare non inclusivo rischia di definire una figura paternalistica anziché di supporto verso la piena emancipazione delle persone con disabilità.

Consulte e Osservatori sulla Disabilità

Mentre il Garante è un organo monocratico, le Consulte e gli Osservatori sono organi collegiali. Questo significa che Consulte e Osservatori dovrebbero mostrare una propensione innata verso la partecipazione. Potrebbe quindi venire naturale pensare che la giusta collaborazione tra Garante e Consulte/Osservatori possa essere una soluzione per colmare il gap partecipativo cui rischia di incorrere il primo. Per esempio, il Garante di Livorno ha nominato personalmente l’Osservatorio. Tuttavia, questa visione sistemica non pare essere consolidata, tanto che non è scontato che dove c’è Garante ci sia Consulta/Osservatorio e viceversa. Inoltre, Consulte e Osservatori non hanno impostazioni standard al punto che anche definire una distinzione pratica tra le due forme appare difficoltoso. Per esempio, i componenti possono essere: persone con disabilità, associazioni riguardanti la disabilità, esperti, rappresentanti politici e così via. Anche le modalità di scelta e legittimazione dei componenti sono varie, tra cui ci sono la nomina dal Consiglio Comunale o le libere elezioni tra chi ne ha diritto. Capita anche che le persone con disabilità vengano chiamate ad istituire delle Consulte tematiche, come per l’elaborazione del PEBA ad esempio.
In linea generale si può dire che Consulte e Osservatori dovrebbero essere il più possibile indipendenti dalla politica, come indicato dalla Convenzione ONU in tema di monitoraggio. Un organo legittimato e presieduto da figure politiche ricorda più una Commissione Consiliare che un’entità autonoma, partecipativa e civica. Allo stesso modo bisognerebbe evitare di limitare gli ambiti di azione di Consulte e Osservatori, favorendo la pluralità tematica. Ogni limitazione dell’indipendenza rappresenta un ostacolo alla libera partecipazione.

Patti di Collaborazione e Disabilità

Labsus ha già diffuso alcune buone pratiche relative a Patti di collaborazione e persone con disabilità. Per esempio, a Trento un’aiuola è manutenuta dagli ospiti del vicino centro ANFASS. Si capisce come i vantaggi di una simile iniziativa siano molteplici: dalla materiale cura di un’aiuola, alla salute fisica e mentale delle persone con disabilità che si impegnano in questa attività, fino al modello di cittadinanza attiva e di valore sociale dimostrato a coloro che apprendono dell’iniziativa. Altri esempi di Patti di collaborazione che fanno riferimento alla disabilità hanno un approccio più possibilista, nel senso che dichiarano la possibilità che l’iniziativa possa favorire determinati target di persone con disabilità. Questo però significa che le persone con disabilità non hanno direttamente partecipato alla stesura del Patto, eventualmente godendo delle sue attività e dei suoi risultati. In questo caso, il rischio è quello di offrire servizi anziché reali opportunità di inclusione e realizzazione sociale. Quindi, il principio del “niente su di noi, senza di noi” viene solo parzialmente soddisfatto perché le fasi di progettazione e produzione non sono condivise. Se un progetto potrebbe essere utile alle persone con disabilità, perché non coinvolgerle da subito e in tutte le sue fasi?

La partecipazione come bene comune

La volontà di questo editoriale è stata di stimolare una riflessione sul senso profondo della partecipazione riferita alle persone con disabilità, che non deve essere interpretata come una concessione bensì implementata come un diritto acquisito e valido sempre. La partecipazione offre l’opportunità di realizzarsi, non è viceversa che la realizzazione dà il diritto a partecipare.
La partecipazione delle persone con disabilità intesa come bene comune offre grandi prospettive di sviluppo, come espresso chiaramente in sede di Sustainable Development Goals. Tuttavia, per cogliere tale potenzialità occorre sempre istituire sistemi di governance partecipativa che aderiscano al modello inclusivo della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Foto di copertina: andreas160578 su Pixabay