Con la sentenza n. 52 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 18, della legge della Regione Autonoma Sardegna n. 48 del 2018, ritenendo invece non fondate le questioni aventi a oggetto altre due norme (l’art. 4, comma 26, e l’art. 9) della medesima legge.
Le tre questioni vagliate dalla Consulta attengono tutte – in vario modo – alla ragionevolezza delle scelte compiute dal legislatore regionale nell’individuare natura e requisiti dei soggetti privati destinatari di determinati benefici garantiti dalla Regione in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale.
Il radicamento nel territorio regionale come condizione legittima di accesso ai benefici
L’esame della prima questione dichiarata infondata – avente a oggetto l’art. 4, comma 26, della l. reg. n. 48 del 2018 – costituisce occasione di riflessione anzitutto sul legame tra territorio ed Enti del Terzo Settore (da qui in poi “ETS”).
La norma, infatti, autorizzava l’Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa (AREA) «ad alienare a prezzo simbolico alle Onlus riconosciute dalla Regione, iscritte nel Registro generale di volontariato previsto dalla legge regionale 13 settembre 1993, n. 39, detentrici da almeno tre anni continuativi, gli immobili di proprietà in cui siano svolte attività di valenza sociale e assistenziale, di aggregazione giovanile e di assistenza all’infanzia e alla terza età».
Ad avviso della difesa erariale la norma avrebbe attribuito un trattamento di favore agli ETS riconosciuti dalla Regione Sardegna, così determinando un’ingiustificata discriminazione nei confronti delle Onlus a carattere nazionale, irragionevolmente escluse – in violazione dell’art. 3 Cost. – dalle agevolazioni.
La censura è reputata infondata dal Giudice delle leggi che, attraverso una puntuale ricostruzione della disciplina rilevante in materia, e quindi dell’ambito applicativo della disposizione regionale impugnata, ha ritenuto non irragionevole la delimitazione dei beneficiari ivi tracciata. Delimitazione giustificata, secondo la Corte, dalla ratio del complessivo intervento legislativo regionale, volto a promuovere, a livello locale, il ruolo di quelle associazioni che – anche quali articolazioni territoriali o circoli affiliati alle associazioni nazionali – svolgono determinate attività con un certo radicamento (e quindi con una certa continuità) nel territorio regionale.
Quanto all’importanza del collegamento degli ETS con il territorio, la Corte costituzionale richiama la nota sentenza n. 131 del 2020, ove si legge ch’essi «spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale».
Proprio tale immediatezza nel recepimento delle esigenze della società – che discende e al contempo trae linfa dal radicamento in un dato territorio – può dunque giustificare il particolare favor nei confronti degli enti che quel radicamento possiedono.
L’approccio sostanzialistico della Consulta
La seconda questione esaminata dalla Corte concerne l’art. 9 della legge reg. n. 48 del 2018, che prevedeva iniziative regionali volte alla prevenzione e al contrasto della violenza di genere e incoraggiava – anche attraverso la concessione di contributi finanziari – la creazione di centri specialistici, promossi da «enti, associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus)», dedicati alla presa in carico degli autori di violenza di genere.
La norma non contemplava espressamente, tuttavia, le associazioni di promozione sociale e su tale profilo si appuntavano le censure del ricorrente.
La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione, sul presupposto che la genericità della nozione di “ente” ivi contenuta consentisse comunque di «interpretare la categoria dei beneficiari in senso costituzionalmente conforme all’art. 3 Cost., nel senso di ritenervi ricompresi anche altri enti del Terzo settore».
La Corte, dunque, sembra adottare nella pronuncia in esame un approccio di tipo sostanzialistico. Da un lato, infatti, reputa ragionevole una differenziazione basata su profili concreti dell’attività svolta da determinati ETS (v. il paragrafo precedente a proposito del legame col territorio), dall’altro – attraverso una lettura conforme a Costituzione – interpreta estensivamente e senza alcuna rigidità i requisiti che rimontano alla veste giuridica degli ETS, secondo una logica il più inclusiva possibile.
Il requisito della “forma” dell’ente: lo scrutinio di ragionevolezza della Corte costituzionale
Quanto sin qui detto vale, ovviamente, finché la littera legis lo consente. Ove quest’ultima, invece, non offra appigli testuali per un’interpretazione estensiva e inclusiva e, anzi, individui specificamente il perimetro dei propri destinatari sulla base di requisiti di pura forma, il vaglio di costituzionalità – o, più esattamente, di ragionevolezza – diviene necessariamente più stretto.
Ed è per tal ragione che nella pronuncia in esame, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 18, della legge reg. Sardegna n. 48 del 2018, che autorizzava l’erogazione di contributi solo in favore delle «associazioni onlus operanti nelle attività di distribuzione di beni di prima necessità e favore degli indigenti, per sostenerne i costi di locazione di immobili adibiti in via esclusiva o principale ad esercizio di attività sociali».
Sul punto, la difesa erariale lamentava la violazione dell’art. 3 Cost. pel profilo dell’irragionevole esclusione dal perimetro della norma dei soggetti con forma giuridica diversa da quella associativa e ugualmente provvisti della qualifica di Onlus, nonché delle associazioni che – pur svolgendo tali attività – di tale qualifica fossero sprovviste.
A tal proposito la Corte costituzionale ha precisato che rientra, sì, nella sfera dell’autonomia legislativa regionale l’individuazione dei soggetti privati che siano meritevoli di un contributo economico per l’esercizio di attività solidaristiche, ma tale scelta dev’essere rispettosa del canone di ragionevolezza discendente dall’art. 3 Cost. Ciò significa – precisa la Corte – che deve sussistere una “causa normativa” della differenziazione, che sia «giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio». Correlazione che difettava nel caso di specie, atteso che il requisito della forma giuridica previsto dalla disposizione censurata come condizione per l’accesso al beneficio regionale risultava privo di collegamento con la funzione delle prestazioni erogate.
Non ostacolare vs promuovere
La Corte, infine, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 18, della legge reg. Sardegna n. 48 del 2018 anche in riferimento all’art. 118, ultimo comma, Cost.
Sul punto, la Corte ha ribadito che il principio di sussidiarietà impegna le Regioni a favorire e sostenere l’autonoma iniziativa e la partecipazione attiva dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale e che «tale impegno non può ritenersi rispettato dalla circostanza […] che l’intervento regionale si limiti a non ostacolare quelle stesse iniziative» in quanto «le Regioni sono tenute a valorizzare e promuovere il ruolo degli enti del Terzo settore, favorendone senza discriminazioni il più ampio coinvolgimento, in conformità al loro ruolo nella società civile».
Ancora una volta, dunque, la Corte costituzionale lascia intendere che la piena attuazione dell’art. 118, comma 4, Cost. richiede – e, anzi, impone – l’intervento attivo dei pubblici poteri, chiamati a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini e non semplicemente ad astenersi dallo svolgimento di determinate attività di interesse generale.
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