È attraverso la coprogettazione che la rivendicazione sociale può diventare motore di un cambiamento reale, nelle istituzioni e nella comunità

Oggi chiunque decida di impegnarsi in politica lo fa nel nome del cambiamento. Cambiare le regole del gioco perché ormai logore e superate, cambiare norme e leggi per rispondere ai bisogni di tutti, cambiare per rimuovere le disuguaglianze e via dicendo… Se proprio c’è qualcosa che accomuna ogni forza politica, locale o nazionale, di ispirazione civica o di più tradizionale forma partitica, è la parola cambiamento. Peccato però che, in questo modo, se ne perda il senso e la discontinuità diventa solo uno sterile ritornello utile a sminuire le responsabilità di ognuno. Ma cercare in questo modo facili consensi è miope oltre che pericoloso perché la disillusione del cambiamento oggi genera rabbia che, sempre più spesso, si manifesta attraverso la violenza.

Creatività e immaginazione 

Eppure, esperienze capaci di produrre un reale cambiamento sociale nel nostro Paese non mancano. Sono rappresentate da quelle persone che hanno deciso di spendere parte del loro tempo per la cura dei beni comuni, che cercano di tradurre quella tutela dell’interesse generale che ispira la nostra Costituzione in quotidiano impegno nei propri quartieri, nelle periferie così come nel centro, per restituire alle comunità un bene confiscato o per rendere fruibile parte di quel patrimonio culturale di cui il nostro Paese è ricco. Gianni Rodari diceva che per cambiare la società «occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione». Ecco, il tratto distintivo delle storie che caratterizzano oggi i Patti di collaborazione è la creatività! Intesa come esito dell’agire collettivo, come amplificatore dell’idea di una singola persona. Cosa ha a che fare il Patto di collaborazione, un atto pur sempre di natura amministrativa, con l’immaginazione? Un Patto è il tentativo riuscito di piegare la retorica del cambiamento al quotidiano lavoro di cura in grado di cambiare la realtà per davvero attraverso un sistema di regole e principi, il Regolamento per l’Amministrazione condivisa, capace di liberare le energie presenti nelle nostre comunità senza derogare ai principi generali di trasparenza, imparzialità, efficienza, efficacia che governano l’azione della pubblica amministrazione.

L’importanza della coprogettazione

La coprogettazione è lo strumento attraverso cui le regole e la creatività si incontrano, il momento in cui istituzioni e cittadini si confrontano. È attraverso la coprogettazione che la rivendicazione sociale può diventare motore di un cambiamento reale che investe tanto le istituzioni quanto la comunità. Solo così i Patti di collaborazione si rivelano come spazio di elaborazione per un nuovo modo di amministrare, ma anche come espressione di una nuova soggettività politica.
È sempre più evidente nella pratica quotidiana quanto un’efficace coprogettazione determini il successo o meno di un Patto di collaborazione. Dare forma in questo modo alle relazioni si traduce in un reciproco riconoscimento e legittimazione a condividere soluzioni che promuovano nei territori un miglioramento della qualità della vita.

Lo sport e l’inclusione

A Genova il primo Patto di collaborazione complesso è stato quello per la gestione condivisa del Paladiamante. L’idea è quella di utilizzare lo sport per promuovere occasioni di inclusione e socializzazione attraverso il coinvolgimento di altre istituzioni pubbliche, soggetti privati, del Terzo Settore ma anche singoli cittadini e rendere il Paladiamante un punto di riferimento per la città. In questo caso la coprogettazione ha permesso di allargare sin da subito la rete dei promotori a nuove collaborazioni e, attraverso il lavoro con la pubblica amministrazione, è stato possibile partecipare ad alcuni bandi regionali e reperire le risorse necessarie a sostenere il progetto nell’ambito dell’avviso pubblicato dalla Regione Liguria-POR FSE 2014-2020 asse per l’inclusione sociale e lotta alla povertà. Il Patto di collaborazione, peraltro, si inserisce in un contesto più ampio, che è quello del programma di rigenerazione urbana dell’intero quartiere.

I beni digitali

A Milano è stato firmato, nell’ambito di Luoghicomuni, un Patto di collaborazione per la cura condivisa del Portale dei Saperi, riconosciuto quale bene comune digitale immateriale che permette di valorizzare le relazioni e le storie del quartiere Corvetto e rafforzare il senso della comunità di prossimità. Uno strumento innovativo in grado di far emergere il capitale sociale della comunità valorizzando saperi, necessità e aspirazioni degli abitanti, trasformandoli in una leva di sviluppo che coinvolga persone, associazioni, realtà produttive, enti pubblici e privati. Il Patto prevede l’istituzione del Laboratorio per le idee: un tavolo di coprogettazione permanente aperto ai sottoscrittori del patto, alle istituzioni, alle organizzazioni attive nel quartiere, in forma permanente o in base a specifiche esigenze emerse attraverso le narrazioni pubblicate nel Portale.
Ambedue i Patti di collaborazione, costruiti in quartieri “periferici”, fanno leva sui principi di collaborazione rovesciando le dinamiche di potere attraverso il riconoscimento e la legittimazione di ogni persona ad esprimere aspirazioni e potenzialità all’interno di un percorso collettivo.

I beni confiscati

Se la qualità della coprogettazione appare sempre più una caratteristica essenziale nel processo di definizione di un Patto di collaborazione, anche alcune tipologie di beni comuni stanno emergendo come ambiti privilegiati di applicazione del modello di Amministrazione condivisa. Ne indico due.
Cresce il numero dei Patti che hanno come oggetto i beni confiscati. Espressione fino a poco prima del potere delle mafie diventano simbolo di riscatto per una intera comunità attraverso forme di affidamento collaborative e non competitive. È l’esperienza che si sta realizzando a Bagheria, dove l’ex villa Castello è oggi il Centro Aggregativo Polivalente Don Lorenzo Milani grazie ad un percorso di coprogettazione facilitato dal CeSVoP che ha visto il coinvolgimento dell’amministrazione comunale e di una rete molto ampia di associazioni. E allora, considerate le potenzialità del Patto come strumento capace di valorizzare le risorse e i saperi di una comunità, di ogni persona, l’elemento determinante per offrire maggiori garanzie di successo ai percorsi di riutilizzo dei beni confiscati non può essere quello di emanare un avviso pubblico secondo uno schema tradizionale e bipolare (amministratori/amministrati), ma deve essere quello di facilitare percorsi e mobilitare gli attori del territorio secondo il modello di Amministrazione condivisa per integrare tra loro sviluppo, legalità e coesione sociale.

I Patti educativi di comunità

Le scuole sono protagoniste di sempre più numerosi Patti di collaborazione. Grazie a dirigenti scolastici e cittadini coraggiosi, sta crescendo un modello alternativo che non sminuisce l’importanza dell’istruzione come bene pubblico, ma ne allarga i confini attraverso l’apertura della scuola alla collaborazione con i cittadini della comunità scolastica e territoriale, che ne condividono così i doveri e la responsabilità. La scuola, oltre che servizio pubblico diventa così un bene comune che tutta la comunità è chiamata a sostenere. Non a caso l’art.34 della Costituzione recita «La scuola è aperta a tutti», e questa affermazione già di per sé rappresenta un valore e fa la differenza.
Il tempo della pandemia ha stravolto la quotidianità di allievi e studenti, insegnanti e genitori. La risposta delle istituzioni è stata quella di promuovere i Patti educativi di comunità attraverso le linee guida per l’Anno Scolastico 2021, strumenti operativi nati per favorire alleanze tra Scuole, Enti Locali, Istituzioni pubbliche e private, enti del Terzo Settore ma anche singoli cittadini, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale. INDIRE e Labsus hanno siglato un protocollo di Intesa con l’obiettivo di costituire un Osservatorio nazionale sui Patti educativi di comunità per tracciare una prima geografia di attori ed esperienze che, a livello locale, costituiscono la comunità educante ma anche favorire quel sistema di relazioni e alleanze su cui impostare Patti educativi di comunità capaci di promuovere risorse e progettualità in contesti collaborativi che rendano la Scuola, oltre che un servizio pubblico, un bene comune.
E allora quel cambiamento reale, concreto che i Patti di Collaborazione alimentano sta innanzitutto in una consapevolezza che per tanti cittadini attivi è quasi un manifesto politico: «Nessuno può farcela da solo».