I beni comuni pensati e praticati

Per la sezione Ricerche, pubblichiamo la recensione dell’opera “I beni comuni per tutti” di Gianfrancesco Fidone ed edita da ETS (2021). Il libro In Italia il dibattito sui beni comuni è stato molto acceso e animato in questi anni e si è sviluppato in sedi accademiche e non. Tuttavia, anche quando il luogo del confronto non è stato quello riservato ai soli esperti, il livello di discussione non ha mai smesso di essere particolarmente difficile per chi è a digiuno di nozioni scientifiche e di quelle giuridiche in particolare. Per questo il libro di Fidone, giurista e avvocato romano, è particolarmente apprezzabile: già nel titolo manifesta l’intenzione di rivolgersi a tutti, traducendo in modo semplice (la semplicità di Calvino da non confondere con la banalizzazione) concetti che presentano un elevato grado di complessità. La sensazione è che il risultato atteso sia stato raggiunto perché il libro non vuole essere un saggio semplice, ma è innanzitutto una riflessione fatta in prima persona con diversi e ricorrenti richiami a vicende autobiografiche che rendono la lettura agevole. Fidone, infatti, non fa lo sforzo di rendere accessibili valutazioni che aveva già svolto in una precedente monografia scientifica, semplicemente perché lui è stato parte attiva di più comunità che si sono interessate dei beni comuni a Roma. La speculazione teorica si confonde con l’esperienza diretta e le valutazioni svolte nel libro partono sempre da domande molto concrete che gli interlocutori, che lui ha incontrato in questi anni, hanno avanzato senza porsi tanti problemi sulle implicazioni teoriche. La base teorica solida delle conoscenze dell’autore ha però consentito di orientarsi in modo quanto più sicuro nell’affrontare i concreti problemi. Per questo a essere per tutti non sono solo i beni comuni, ma lo è il libro in sé. La definizione Si tratta di un merito importante che si misura già con la nozione dei beni comuni, che forse è il punto in cui gli orientamenti registrati in questi anni hanno maggiormente dimostrato i loro limiti, perché Fidone offre un’interpretazione tanto pragmatica quanto solida riconoscendo come tali quelli in cui si sviluppa una relazione di interessi omogenei tra una comunità di soggetti e alcuni beni, a prescindere di chi sia il proprietario. Queste relazioni di interesse assumono per alcune condizioni, che non sono né assolute né costanti, una rilevanza giuridica al punto che la cura e l’uso di quel bene non dipendono più solo dai proprietari ma anche dalla comunità di riferimento. Nel libro, appunto, si esemplifica dicendo che sono una comunità i residenti di un’area circoscritta rispetto all’uso di una piazza che è inclusa lì, i genitori rispetto alla scuola frequentata dai propri figli e al suo uso, l’organizzazione più o meno formale costituita intorno a un bene di valenza storico e culturale di cui si vuole promuovere la conoscenza ecc. La relazione tra una comunità e un bene rende quest’ultimo di interesse comune, diverso tanto dall’interesse pubblico, quanto dall’interesse privato. È da questa condizione che è possibile enucleare una serie di diritti che la comunità può vantare su questi beni, la cui legittimazione può essere fatta derivare da un titolo che – anch’esso concreto – può essere di volta in volta diverso: legislativo, amministrativo, per consuetudine o anche di ordine giurisprudenziale. Questa conclusione rende immediatamente chiaro e concreto il concetto di bene comune e fa capire come questi si riconoscono solo a partire da alcune condizioni specifiche e sono diversi dai commons e dai new commons. La relazione tra diritti e doveri La condizione giuridica di diritto delle comunità non è mai separata da quella dei doveri, che si realizza nella gestione: c’è un’inestricabile connessione tra diritti e doveri quando si parla dei beni comuni. Infatti, il riconoscimento dei diritti presuppone non solo l’esistenza di un bene e di una comunità di riferimento: è solo l’attivazione concreta della comunità per la loro tutela che permette di riconoscere anche dei diritti. Per sviluppare questa connessione, però, l’attivazione della tutela non deve dimostrarsi solo strumentale, ma finalizzata a un’effettiva cura del bene che si è manifestata concretamente. Correttamente l’autore iscrive questa nesso nel principio di sussidiarietà orizzontale e cita in particolare modo i Patti di collaborazione: il sostegno dell’ordinamento è dovuto laddove i cittadini si attivano per lo svolgimento degli interessi generali. È lo spontaneo e volontario attivismo in adempimento di doveri di solidarietà che consolida i diritti; questi ultimi non sono in sé, come lo sarebbero i diritti reali, i diritti personalissimi o, anche, i diritti sociali. Non è un caso che il primo capitolo del libro, dedicato all’individuazione dei beni comuni e alle utilità che essi producono per le comunità, si intitola “Difendiamo i beni comuni“: la rivendicazione di diritti parte innanzitutto dall’esercizio di doveri. In questo senso la rievocazione che Fidone fa della contrapposizione tra Rodotà e Violante meriterebbe forse un aggiornamento. Quello a cui abbiamo assistito proprio con l’emersione dei beni comuni non è la consueta contrapposizione dei diritti ai doveri o la necessità che ai diritti si accompagnino i doveri; risulta, invece, interessante notare come l’esercizio dei doveri genera diritti. È un aggiornamento fecondo di quella classica dialettica che proprio i beni comuni hanno saputo evidenziare. Tra le numerose implicazioni che l’autore sottolinea a proposito dei beni comuni, quattro meritano particolare attenzione. Le forme organizzative La prima concerne la veste formale che deve assumere la comunità quando intende gestire i beni comuni. Sebbene il libro ribadisca molte volte la necessità di non confondere i cittadini delle comunità con i volontari, l’autore sottolinea la necessità che questi assumano una struttura organizzativa riconoscibile sotto forma di ente non profit. L’espressione è utilizzata in senso a-tecnico, ma allude alle forme organizzative che oggi sono riconosciute come enti del Terzo settore. È indubbiamente vero che quando l’azione di difesa dei beni comuni si sostanzia in forme di gestione l’interlocutore deve essere riconoscibile e oggetto di imputazione giuridica soggettiva; ciò richiede una strutturazione organizzativa. Tuttavia, proprio i Regolamenti comunali dei beni comuni, che Fidone riconosce essere la forma più avanzata di cura dei beni comuni che si … Leggi tutto I beni comuni pensati e praticati