La sinergia tra comuni diversi, associazioni, sindacato, mediatrici e leader di comunità, nata con il progetto BRIGHT, sta generando una rete di servizi dal basso per raggiungere l'obiettivo dell'inclusione sociale e lavorativa di tutte le donne braccianti

Il nostro 8 marzo è affidato alle riflessioni di Adriana, Maria, Viola e Violetta. Adriana Patrichi è romena e vive da 16 anni a Castrovillari. Dal 2015 collabora in vari progetti di promozione e integrazione culturale e sociale della comunità romena e non solo. Maria Iftimoaiea è nata in Romania, risiede a Ginosa da 16 anni, è bracciante agricola e delegata sindacale FLAI. Temenushka Georgieva Todorova “Violetta” è di origine bulgara. In Italia da più di 20 anni ed è impiegata in agricoltura. Viola Huzynets è nata in Ucraina. In Italia da 22 anni. Bracciante agricola fino al 2021. Oggi è operatrice socioassistenziale e per la Cittadella della condivisione di Corigliano Rossano coordina insieme a Violetta gli aiuti per i rifugiati dall’Ucraina.
Sono le donne leader attive in Calabria e Puglia formate attraverso il progetto BRIGHT – Building RIGHTs-based and Innovative Governance for EU mobile women che vede ActionAid Italia come capofila e Labsus tra i partner. Utilizzando i Patti di collaborazione, il progetto attiva con le lavoratrici agricole e le comunità locali un processo di co-programmazione delle politiche pubbliche per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne impiegate in agricoltura.
L’esperienza del progetto BRIGHT abbiamo provato a raccontarla anche nella conferenza finale che si è tenuta a Roma lo scorso 23 febbraio. A prendere la parola nella Sala Cavour del Ministero delle politiche agricole sono state loro, le donne leader. Donne e braccianti che vogliono supportare le loro compagne nel far valere i propri diritti e indicare con le loro parole una nuova strada alle istituzioni e alle comunità.
Quello che è emerso dalle testimonianze dirette delle lavoratrici nel corso del progetto è una storia di diritti negati, servizi assenti, violenze subite. Le parole che leggerete, però, raccontano anche come le storie possono assumere una direzione diversa, a volte inaspettata.

Alcune leader di comunità nel corso dell’evento Contadinner, tenutosi a Corigliano Rossano (CS), a novembre 2021

Nell’Arco ionico del sud Italia, così come nei Paesi europei di invio delle donne che nutrono le fila del lavoro agricolo, le forme collettive di partecipazione delle lavoratrici nei contesti sociali e lavorativi sono pressoché assenti, e segnano una prima differenza significativa con i lavoratori stranieri provenienti prevalentemente da Paesi terzi, che – attraverso esperienze di leadership e associazionismo – esprimono via via prime forme di rappresentanza sindacale, partecipazione sociale e dialogo con le Istituzioni, soprattutto a livello locale. Come già delineato in “Donne, madri, braccianti” l’auto-rappresentazione delle donne si definisce principalmente attorno a piccole squadre di lavoro e quasi mai per categoria professionale, i servizi pubblici non sono ancora adeguati ai reali bisogni delle donne e inibiscono la loro partecipazione, gravata da un considerevole carico di cura e lavoro, ponendo così le basi per una sostanziale frammentazione che si traduce in invisibilità sociale e lavorativa. Cambia Terra è il programma di ActionAid che interviene rifondando le relazioni tra lavoratrici e costruendo con loro lo spazio politico perché questa relazione venga riconosciuta dalle comunità e dalle istituzioni come un contributo fondamentale ai processi democratici delle comunità agricole e rurali. Questo processo è stato articolato a livello europeo con il progetto BRIGHT, che tra il 2019 e il 2022 ha promosso un programma di leadership ed empowerment delle lavoratrici agricole per costruire le pre-condizioni di quella partecipazione sociale di cui i sistemi agricoli oggi necessitano per diventare sostenibili, e che – a livello più alto – informano il dibattito sui diritti di cittadinanza europea, la loro sostanziale sospensione per alcune classi, come le lavoratrici agricole straniere, e la necessità che siano le donne stesse a praticare la democrazia europea a partire dai loro valori, dai loro progetti di vita, fino ad arrivare al compimento di una soggettività collettiva capace di dar corpo all’Europa dei diritti. Oggi le reti di BRIGHT possono contare su 81 mediatrici locali del lavoro formate in Bulgaria e Romania perché il progetto migratorio femminile abbia una mappa concreta di prevenzione dello sfruttamento, e una rete di otto leader di comunità ovvero lavoratrici agricole che rappresentano le centoventi donne coinvolte nei programmi di empowerment in sud Italia. Le loro priorità di cambiamento, raccolte nel Manifesto delle donne in agricoltura, nascono da un profondo lavoro di analisi collettiva degli squilibri di potere alla base delle disuguaglianze a cui le lavoratrici agricole sono quotidianamente ed esponenzialmente esposte. Un percorso in cui le leader del progetto BRIGHT segnano il passo, coinvolgendo le comunità locali in un percorso di corresponsabilità che si nutre della loro analisi e della loro proposta di cambiamento, e che ci da tempo e misura di quale democrazia europea stiamo agendo nelle nostre comunità.

I diritti negati

Quando acquistiamo della frutta, dei prodotti agricoli nei nostri mercati, nessuno si domanda cosa ci sia dietro quel bel prodotto esposto. Dietro ci troviamo nascoste le storie di vita delle donne che lavorano in agricoltura a cui sono negati anche i più elementari diritti umani.
Percorrendo questa strada possiamo incrociare il cammino di tantissime donne, cittadine comunitarie e quindi portatrici dei diritti di ogni cittadino europeo, che sono costrette a lavorare nei campi sotto la pioggia, con il freddo pungente dell’inverno oppure sotto il sole cocente dell’estate, in certe sere che ti strozzano il respiro. E tutto con orari lunghissimi che spesso vanno oltre le otto ore di lavoro. La dignità della bracciante agricola viene calpestata ogni volta quando è costretta ad usare il campo per i suoi bisogni fisiologici nell’assenza di servizi igienici, viene calpestata ogni volta che subisce violenze fisiche e psicologiche. Sotto le minacce dei caporali e degli stessi datori di lavoro, accettano di lavorare con dei contratti che poi non trovano riscontro nelle proprie tasche a fine mese, neppure le giornate effettuate vengono versate nella loro totalità. Tutto questo è una negazione dei diritti delle donne lavoratrici in particolare, ma è anche una negazione del diritto di cittadinanza europea. Europa che sfila indifferente davanti allo sguardo, alla storia di tutte noi senza che nessuno provi vergogna.

La mancanza di politiche di genere

Un altro diritto negato alle donne lavoratrici è la genitorialità. Nel settore agricolo, gli orari lavorativi cambiano in base alla stagione. Le giornate iniziano alle quattro, le cinque del mattino, si affrontano viaggi che possono durare anche ore per raggiungere il posto di lavoro, partendo anche in piena notte. Le madri lavoratrici sono costrette a lasciare i bambini piccoli a persone estranee, a sconosciuti, vista l’assenza di asili nido con orari di apertura in base alle loro esigenze lavorative.
Negli ultimi anni, inoltre, il fenomeno migratorio ha subito un cambio di rotta. Se inizialmente sono stati soprattutto gli uomini ad emigrare, secondo i dati ISTAT attualmente la presenza femminile in Italia rappresenta il 52,7% del totale delle presenze straniere sul territorio.
Questo significa che il numero dei bambini lasciati nei Paesi di origine è aumentato. Le madri fanno questa scelta per via delle condizioni lavorative precarie che negano loro il diritto a un contratto equo, per le abitazioni non idonee in cui si ritrovano a vivere e per evitare che i loro figli subiscano le loro stesse discriminazioni. Da qui nasce un nuovo fenomeno sociale chiamato “Orfani bianchi”.
La precarietà lavorativa, la loro triplice vulnerabilità in quanto donne, madri e migranti espongono maggiormente queste donne ad un peggioramento continuo della loro condizione sociale, culturale e identitaria. Il fatto di sentirsi al lavoro soltanto dei numeri che devono produrre numeri, non potendo esercitare in pieno il ruolo di madre, indebolisce il loro stato psicologico aumentando la condizione di solitudine, insicurezza e smarrimento personale. Queste donne non si sentono parte della comunità in cui svolgono il loro lavoro e conducono la loro vita ma purtroppo non sentono più di appartenere nemmeno alla comunità che hanno lasciato all’inizio del loro progetto migratorio. Il senso di smarrimento legato a questa doppia assenza li accompagna fino al punto di scaraventarle nei labirinti oscuri della depressione che ha significativamente preso il nome di “sindrome Italia”.

La Cittadella della condivisione come casa dei diritti e della dignità

L’evoluzione delle condizioni sociali e lavorative delle braccianti, delle donne lavoratrici è strettamente legata alla necessità di vedere riconosciuti e pienamente agibili questi diritti fondamentali. Partendo da questa consapevolezza e guardando tutto attraverso la lente della sussidiarietà orizzontale, il progetto Bright ha definito una figura di riferimento per le donne braccianti, le leader. Esse hanno il compito di costruire una relazione sempre più solida tra diversi firmatari del Patto di collaborazione e le donne impegnate in agricoltura. Per raggiungere questo obiettivo è nata la Cittadella della condivisione, uno spazio fisico vissuto quale punto di riferimento per le lavoratrici, e chiamata da loro stesse “la casa dei diritti e della dignità”. La Cittadella racchiude dentro le sue mura diversi servizi che hanno l’obiettivo di facilitare la quotidianità delle donne e, allo stesso tempo, renderle protagoniste del confronto tra imprese, associazioni e istituzioni. Perché quei diritti che troppo spesso sono solo belle parole scritte nelle leggi, siano esperienza vissuta per ogni donna lavoratrice che arriva in Italia.

3° workshop di capacity building del progetto Bright, tenutosi a Corigliano Rossano (CS), a novembre 2021

La rete extraregionale della Cittadella

BRIGHT muove dai diritti riconosciuti nella Cittadella della Condivisione a Schiavonea in Calabria e approda in Puglia, nei comuni di Ginosa e Grottaglie.  Un’altra regione popolata da donne migranti, con la loro vita che ritrova molti punti in comune con le esperienze vissute in Calabria e in altre regioni. Indipendentemente dalla loro nazionalità, anche loro vivono condizioni difficili di disagio fisico e psicologico.
La sinergia tra comuni diversi, associazioni, sindacato e donne leader sta generando una rete di servizi, nati dal basso e messi a disposizione delle donne braccianti, perché possa essere raggiunto l’obiettivo dell’inclusione sociale e lavorativa attraverso l’attivazione della figura della mediatrice culturale che aiuti le donne ad uscire dalla condizione di sfruttamento.
Con la collaborazione tra i firmatari del Patto individuati nella cornice del progetto BRIGHT si sta creando una rete non più verticale ma orizzontale, in cui l’identità delle donne migranti possa ridefinirsi per sostenere quei processi che portino alla piena inclusione sociale e al riconoscimento sostanziale della cittadinanza europea.
Il progetto Bright ha prodotto innovazione sociale, individuando la figura della donna leader come mediatore interculturale, anello di congiunzione tra gli attori di una comunità e la necessità di superare la condizione di “oggetto/numero” per diventare soggetto partecipativo della vita democratica del Paese in cui vivono e lavorano. Valorizzando quei legami di comunità come un bene comune per cui nessuno può essere spogliato dei suoi diritti e doveri ma viene valorizzato per le sue competenze e peculiarità. Riconoscendo come risorsa l’identità diversa che ogni donna porta con sé, ogni persona potrà intraprendere quel percorso, personale e comunitario, verso la consapevolezza di cosa significhi oggi essere cittadino europeo.

Foto di copertina: una delle leader nel corso dell’evento Contadinner, tenutosi a Corigliano Rossano (CS), a novembre 2021

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