L’ultimo Rapporto sullo stato dell’Amministrazione condivisa curato da Labsus e pubblicato poche settimane fa rileva un dato estremamente importante: la costante crescita del numero dei cittadini attivi, dei Patti di collaborazione sottoscritti, delle città che investono su questo nuovo modo di amministrare in forma collaborativa.
La crescente qualità dei Patti
Quei dati, accanto a criticità e fatiche, indicano una crescita non solo quantitativa ma soprattutto della qualità delle relazioni e delle azioni di cura nei diversi territori. Sarebbe un errore imperdonabile considerare oggi quelle esperienze solo come espressione della migliore tradizione del volontariato del nostro Paese o, peggio ancora, come processi sostanzialmente amatoriali buoni per fare testimonianza. È necessario che le istituzioni pongano maggiore attenzione e fiducia alle forme di gestione condivisa dei beni comuni e che i cittadini superino i timori e le forme di testimonianza per immaginare nuovi modelli di sviluppo locale e benessere sociale a partire dal loro impegno quotidiano. In questa cornice emerge la necessità di costruire una connessione tra il diritto al lavoro, quale principio posto a fondamento della Repubblica nella nostra Costituzione, e la cura dei beni comuni come paradigma intorno al quale costruire il benessere delle nostre comunità.
Beni comuni, lavoro e democrazia
Prendersi cura dei beni comuni che, come ci ricordava Carlo Donolo, sono centrali per ogni processo sostenibile, per lo sviluppo locale, per la coesione sociale, significa prendersi cura dei diritti fondamentali. Prendersi cura dei beni comuni significa prendersi cura della nostra democrazia. Per dare conto, per la propria parte e nel nostro tempo, di quel cammino indicato da Lelio Basso alla Costituente proprio nel dibattito sul primo articolo della nostra Costituzione: «Certo, non è vero oggi che la democrazia italiana, che la Repubblica italiana sia in grado di garantire a tutti il lavoro, che sia in grado di garantire a tutti un salario adeguato alle proprie esigenze familiari; ma il senso profondo di questi articoli nell’armonia complessa della Costituzione, dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti, sta proprio in questo: che finché questi articoli non saranno veri, non sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia».
La disoccupazione in Italia
A ricordarci quanto siano attuali le parole di Lelio Basso, nell’epoca della pandemia e delle guerre, ci pensano i dati delle tabelle Eurostat relativi al 2021 con il tasso di occupazione in Italia al 58,2% a fronte di un tasso medio per l’Unione Europea del 68,4%. Campania, Sicilia, Calabria e Puglia risultano tra le cinque regioni europee con l’occupazione più bassa. Per l’occupazione delle donne la situazione è ancora peggiore, nelle regioni del Sud risultano occupate meno di una donna su tre, pari al 32,9%, a fronte di una media nell’Unione Europea del 63,4% e una media italiana del 49,4%.
A fronte di questi numeri nessuna riforma sarà possibile, nessuna iniziativa otterrà risultati, nessun modello potrà avere successo se la logica della competizione resterà il pilastro intorno al quale costruire la società. Le tradizionali dicotomie pubblico/privato e stato/mercato non funzionano più, semplicemente si rivelano inadeguate e poco aderenti alle trasformazioni in corso. Il peso sempre crescente del capitalismo finanziario, il cambiamento radicale del mondo del lavoro, l’invecchiamento della popolazione, il numero sempre crescente di persone che vivono condizioni di povertà ed esclusione, i nuovi bisogni della popolazione producono nuove e crescenti esigenze di tutela sociale. È necessario costruire un nuovo modello di sviluppo, un nuovo modo di intendere le relazioni di produzione e le relazioni di comunità. Più che nuovo meglio sarebbe definirlo innovativo rispetto al modello prevalente se già per Adriano Olivetti «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura».
Il territorio, i soggetti, le relazioni
La costruzione di un modello economico e sociale che possa bilanciare le difficoltà dello stato nel garantire ai cittadini l’esercizio dei propri diritti e allo stesso tempo rendere protagonista l’intera comunità senza lasciare nessuno indietro, passa innanzitutto attraverso l’individuazione di alcuni elementi essenziali sui quali costruire i tratti caratteristici delle politiche pubbliche per un welfare generativo. Elementi essenziali possono essere: il territorio, i soggetti, le relazioni.
Il territorio non è semplicemente uno spazio delimitato, è un eco-sistema in cui agiscono una pluralità di soggetti, da quelli collettivi – le istituzioni, le imprese, le associazioni, ecc. – ai singoli cittadini che entrano in relazione con i beni di cui un territorio è ricco. Tali beni possono essere pubblici e privati ma anche comuni cioè quei beni capaci di aggregare intorno ad essi una comunità di persone.
Il territorio diviene così il luogo dove si misurano e si confrontano le identità, le culture, gli interessi economici, sociali e culturali. La rigenerazione dei beni comuni materiali e immateriali di un territorio promuove, quasi naturalmente, un sistema di relazioni e processi innovativi che investono persone, soggetti collettivi, istituzioni combinando risorse e bisogni in una prospettiva di cambiamento sociale generativo.
I diversi soggetti interagiscono nel territorio attraverso un sistema di alleanze inedite e variabili capaci di valorizzare le risorse, le competenze, i saperi di ogni persona per determinare insieme l’interesse generale da perseguire e le risorse necessarie da reperire; per progettare e realizzare gli interventi; valutare e misurare l’impatto sociale delle azioni. Le politiche collaborative centrate sul principio di sussidiarietà orizzontale contribuiscono a costruire una democrazia aperta e inclusiva in grado di rispondere alla vulnerabilità dei territori e alle condizioni di fragilità dei suoi abitanti, abilitando un sistema di relazioni tra soggetti sociali, imprenditoriali e istituzionali capaci di produrre innovazione sociale, economica e culturale attraverso la gestione condivisa di beni comuni finalizzata a ridurre le disuguaglianze e accrescere i livelli di benessere e coesione sociale.
Mappe del tesoro e imprese di comunità
Il nostro Paese è ricco di grandi contenitori urbani dismessi, come ex aree industriali, così come di spazi più ridotti quali cinema, scuole, abitazioni e negozi. Stazioni dismesse, beni culturali inutilizzati e beni confiscati alle mafie da riutilizzare. La lista è lunghissima, una mappa dell’abbandono che può essere trasformata in una mappa del tesoro. I Patti di collaborazione, in questo scenario, si impongono ogni giorno di più come strumenti in grado di produrre nuove politiche pubbliche per il governo del territorio e per la trasformazione della città, superando la contrapposizione tra cittadini e amministrazioni in una logica di collaborazione. L’ambizione è quella di riuscire a far sì che le attività di cura condivisa dei beni comuni che stanno crescendo in tutta Italia producano non soltanto gli effetti positivi che conosciamo sul piano della qualità della vita, del senso di appartenenza e del capitale sociale, ma anche opportunità di lavoro. Sono già attivi Patti di collaborazione complessi che hanno al centro progetti di rigenerazione di teatri chiusi da anni, centri per il riuso la riparazione e la riduzione della produzione di rifiuti, la gestione di spazi attraverso la definizione di percorsi di inserimento lavorativo. Così come ci sono Patti di collaborazione capaci di generare piccole economie per la manutenzione del bene oggetto delle azioni di cura. Possono costituire, tutti, altrettanti progetti pilota volti a definire un quadro di interventi per il consolidamento di forme di impresa a base comunitaria aperte alla partecipazione dei cittadini attivi – anche nella forma dell’investimento – e alla definizione condivisa di nuovi percorsi di sviluppo locale. In questo senso anche le Comunità Energetiche Rinnovabili possono costituire un’opportunità non perseguendo l’esclusivo interesse dei membri ma il più generale interesse della comunità di riferimento. Possono generare un valore utilizzato non solo per creare e fornire servizi legati all’energia in senso stretto, ma che può essere utilizzato anche per definire progetti di comunità. Da quelli di carattere ambientale a progetti legati alla scuola, al welfare, al recupero di spazi abbandonati.
Patti di collaborazione e inserimento lavorativo
La perdita di lavoro o la difficoltà nel trovare un lavoro producono effetti devastanti sulle speranze, sulle prospettive di vita e soprattutto sulla dignità di una persona. Le misure pubbliche di contrasto alla povertà richiedono spesso al destinatario di impegnarsi in un percorso che prevede attività a servizio della comunità, con il rischio concreto di produrre effetti deleteri più che un percorso di emancipazione delle persone. Rilanciare l’alleanza con il Terzo settore e in particolare con i modelli di cooperazione finalizzati all’inserimento lavorativo ci può aiutare, in questo caso anche su Patti di collaborazione ordinari legati alla cura di parchi e spazi verdi, a ridisegnare servizi ibridi che guardino alle persone non come beneficiari ma come soggetti capaci di trasformare i propri percorsi di vita. Oggi il bagaglio di strumenti collaborativi a disposizione delle pubbliche amministrazioni, raccolte nel modello di Amministrazione condivisa, permette di disegnare strategie di intervento che promuovano forme di gestione dei beni comuni aperti ai cittadini attivi, finalizzati alla valorizzazione funzionale del bene, attraverso una governance del processo inclusiva e democratica.
Foto di copertina: geralt su Pixabay