In questo numero nella Sezione Ricerche ospitiamo la ricerca della dottoressa Chiara Martella dal titolo “Le aree cani: insospettabili incubatori di capitale sociale”. Lo scopo ultimo dell’Autrice è quella di dimostrare come le aree dedicate ai cani nei parchi urbani possano diventare, inaspettatamente, un vero e proprio incubatore di capitale sociale. Ma lasciamo allo stessa Autrice il compito di presentare più dettagliatamente la sua ricerca.
Introduzione
La progettazione delle aree urbane e del verde pubblico negli ultimi quarant’anni in Italia si è orientata sempre più verso la sperimentazione di forme innovative di gestione, incentivando collaborazioni fra cittadini, imprese e amministrazioni, per lo svolgimento di attività per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani (MATTM, 2017). In Europa sono sorti diversi esempi di parchi urbani in cui la sostenibilità è stata declinata non solo sotto il profilo ambientale, ma anche sociale, con la creazione di spazi a fruibilità diversificata che uniscono giochi per bambini, ambienti relax, aree sportive, piste ciclabili e aree dedicate agli animali d’affezione (Oppla, 2021). Nei confronti delle aree dedicate ai cani, nonostante la sensibilità sociale e la richiesta del servizio siano notevolmente cresciute, la cittadinanza, in generale, ha ancora una percezione negativa, dovuta ad «un complesso di variabili, tra cui l’assenza di verde, la presenza di aree degradate, il basso livello di senso civico e la cattiva gestione delle specie animali d’affezione» (Crivello, 2017). Sicuramente una attenta progettazione (anche in termini di dimensioni, accessi, attrezzature, fonti d’acqua e recinzioni, distanze, vegetazione e ombreggiatura) aiuta ad integrare l’area nel contesto urbano e a garantire che tutte le diverse esigenze della cittadinanza, comprese quelle dei proprietari dei cani, vengano soddisfatte.
L’obiettivo di questa breve relazione è, però, quello di ribaltare la percezione negativa legata alle aree destinate ai cani, sottolineandone gli aspetti estremamente positivi sotto il profilo sociologico, legato cioè allo sviluppo della comunità.
Il ruolo del cane come facilitatore di legami sociali
Nuovi studi sulla gestione dei cani si sono concentrati non solo sul benessere animale, ma anche sulla capacità di aree di incontro dei proprietari dei cani di “facilitare la creazione di capitale sociale” (Glover et al., 2005) (Wood, 2009). Il concetto di capitale sociale (sviluppato alla fine del Novecento da sociologi quali Coleman, Bordieu, Putnam) ha una natura complessa, pluridimensionale e dinamica che può essere sintetizzata all’estremo in una combinazione tra:
Relazioni sociali → Visione condivisa → Creazione di Fiducia e risorse a livello individuale e collettivo → Sviluppo sociale (Lopolito et al., 2007).
Le ricerche effettuate soprattutto in Australia e Canada, dove i parchi per i cani hanno avuto un grosso sviluppo, mostrano come i soggetti che lasciano i cani socializzare e fare esercizio fisico nei parchi hanno un maggiore contatto sociale rispetto a chi porta a spasso il cane in ambiente urbano, essendoci più tempo di connettersi con l’ambiente e interagire con altre persone (Graham e Glover, 2014) (Wood, 2009). I benefici di queste interazioni hanno implicazioni dirette sulla più ampia comunità (Wood et al., 2007) e si sviluppano su livelli diversi (Wood e Christian, 2012). Nella scala individuata dalla ricercatrice australiana Wood, l’interazione sociale va dal semplice saluto agli estranei, allo scambio di esperienze legate ai cani, fino alla creazione di reti sociali. Stabilire delle relazioni porta alla creazione di legami di reciprocità, amicizia e fiducia (Wood et al., 2012), conseguente supporto a livello individuale (Expressive action) e mitigazione degli effetti dell’isolamento sociale (Graham e Glover, 2014). Ovviamente, le interazioni sono mediate dagli animali (dog as avatar) e collegate agli atteggiamenti più o meno positivi dei padroni e dei cani stessi. Le relazioni che vengono a crearsi favoriscono lo scambio di informazioni legate alla gestione dei cani, ad esempio riguardo figure di riferimento come veterinari, toelettatori o educatori cinofili, negozi specializzati, fino ad arrivare ad argomenti diversi come opportunità di lavoro o di affitto (Instrumental action). Anche questo tipo di scambio migliora l’inserimento e la partecipazione ad una comunità (Graham e Glover, 2014). Ciò che si viene a creare è una relazione tra la comunità di interesse ed un luogo considerato bene urbano a fruizione collettiva, a tutti gli effetti un bene comune (Biondini, 2017).
Le aree dog friendly: beni pubblici che valorizzano i quartieri
Negli ultimi anni si è registrato un cambio di prospettiva nei confronti di beni pubblici urbani, spesso soggetti a congestione e degrado e penalizzati dalla carenza di risorse pubbliche (Biondini, 2017). Le recenti norme costituzionali sulla sussidiarietà orizzontale (Cost., art 118) incentivano la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte generali di governo del territorio e cura dei beni urbani a fruizione collettiva (Biondini, 2017). Nel caso di un’area cani, è facilmente comprensibile l’interesse della comunità di proprietari a che il parco venga correttamente manutenuto e gestito ed è anche facilmente intuibile l’interesse analogo dell’intero quartiere che ne viene valorizzato. Diversi studi dimostrano, ad esempio, come la semplice presenza di gruppi di proprietari che portano a passeggio i loro cani, specialmente nella stagione invernale e nelle ore notturne, garantisca al quartiere una percezione di maggiore sicurezza (Wood et al, 2007). Spesso, inoltre, il quartiere beneficia della riqualificazione delle aree verdi e delle politiche attuate nei parchi aperti ai cani, come le campagne sui rifiuti (Wood e Giles-Corti, 2008). Jay Walljasper, esperto di urban planning e consulente comunitario, nel suo “The Great Neighborhood Book”, affermava che «i cani sono un indicatore di vivibilità urbana». Un quartiere amichevole con i cani lo è anche con le persone: il traffico è regolato per l’incolumità degli animali e sono presenti aree verdi di cui beneficiano tutti (Walljasper, 2007). Un parco sicuro, recintato e accessibile ai cani in cui poter passeggiare, diventa, così, un requisito essenziale nella scelta di un’area cittadina in cui acquistare un immobile (Realtytimes, 2007) (Moskerintz, 2015).
L’evoluzione della comunità: l’azione collettiva
L’interesse per il bene comune e i legami sociali che si vengono a creare in aree accessibili ai cani mobilizzano pertanto capitale sociale. Come già brevemente accennato, il capitale sociale rappresenta, secondo l’approccio collettivista, il prodotto di uno scambio di esperienze, conoscenze e informazioni, fiducia reciproca e norme condivise, che permette ai componenti di un gruppo di acquisire competenze e sviluppare capacità, per poter coordinare le azioni individuali ed allo stesso tempo agire collettivamente in maniera efficace (Sabatini, 2004). Il capitale sociale diventa pertanto un presupposto fondamentale per l’impegno civico di tutela del bene comune e di coinvolgimento attivo dei cittadini nei processi decisionali delle istituzioni (Santini, 2021).
La crescita della comunità educante
Nella partecipazione attiva i soggetti non prendono più solo parte alle attività, ma ne diventano parte, manifestando la propria opinione, assumendo dei compiti e condividendo gli intenti. Tutto ciò consente ai singoli di apprendere competenze, dotarsi di nuovi strumenti e sfruttare risorse endogene, acquisendo così una maggiore consapevolezza dei propri diritti e delle proprie responsabilità. Si crea così una comunità che educa i suoi componenti all’esercizio della cittadinanza, ma, contemporaneamente, diventa competente e si fa anche «educare, cambiare dagli stessi componenti» (Del Gottardo, 2016).
Responsabilizzazione individuale e collettiva degli utenti di un’area destinata ai cani
In un circolo virtuoso, gli effetti della creazione di una comunità con un solido capitale sociale si ripercuotono anche nella società a livello più ampio. Prendersi cura di un bene comune, come può essere un’area parco dedicata ai cani, porta non solo a mantenerne l’estetica, ma anche a contrastare fenomeni di inciviltà, quali spazzatura, abbandono di deiezioni, vandalismo, che porterebbero ad una degrado della risorsa stessa che svantaggerebbe tutti (Wood e Christian, 2012). Ovviamente, la responsabilizzazione nei confronti della collettività deve riguardare anche il singolo proprietario del cane. È necessario che l’utente abbia il pieno controllo del proprio cane, evitando congestioni dello spazio, eventuali aggressioni ad altri animali o persone, che gestisca correttamente le socializzazioni, eviti conflitti di possesso o causati dall’introduzione in un gruppo di femmine in stato fertile, si occupi di rimuovere le deiezioni e di garantire i necessari vaccini al proprio animale, per evitare problemi di carattere sanitario. La gestione responsabile del proprio cane richiede, inoltre, la conoscenza delle norme di accesso alle aree predisposte (Fox e Gee, 2019). È, inoltre, importante l’intervento delle istituzioni, attuato anche con corsi di formazione per l’acquisizione di adeguate cognizioni sulla corretta detenzione di un cane, che il Ministero della Salute prevede vengano messi a disposizione dal Comune, in collaborazione con i Servizi Veterinari delle Asl, degli Ordini professionali dei Medici Veterinari, delle Facoltà di Medicina Veterinaria e delle Associazioni di Protezione degli Animali (Ministero della Salute, 2021). Garantendo uno spazio comune e indicandone le norme di gestione, lo Stato facilita un comportamento cooperativo dei cittadini (Anthony e Campbell, 2011), ma non è il solo. Nuovamente, è la comunità ad autoregolarsi, facendo proprie le norme e creando un clima di fiducia reciproca, che garantisca il perseguimento del bene collettivo. Quest’ordine sociale deve essere mantenuto, se necessario, anche sanzionando ed escludendo il soggetto deviante. Il prezzo da pagare per la coesione del gruppo si incrementa e diminuisce di conseguenza la necessità di perseguire comportamenti scorretti, anche da parte delle istituzioni (Horne, 2001).
Conclusioni
Le aree destinate ai cani, pertanto, apportano enormi benefici sia in termini di benessere dell’animale stesso, che della comunità in generale. Per massimizzare gli effetti positivi, però, è necessaria una progettazione condivisa tra le istituzioni e la cittadinanza attiva, nonché Patti per la gestione degli spazi attrezzati, considerati a tutti gli effetti dei beni comuni. Le istituzioni hanno, pertanto, l’opportunità di generare aree funzionali all’intera comunità con pochi interventi di governance: il riconoscimento formale di un’area, la definizione di confini e regolamentazioni di accesso, la garanzia di una manutenzione corretta, ottenendo in cambio un supporto attivo nel monitoraggio del bene da parte della comunità di utenti (Matisoff e Noonan, 2012).
Foto di copertina: TheOtherKev su Pixabay