Ci sono voluti diversi mesi di lavoro, ma finalmente giovedì 24 novembre la Giunta capitolina ha approvato il testo del primo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni di Roma Capitale (allegato in fondo all’articolo), che ora inizia il suo iter procedurale presso i Municipi e le Commissioni consiliari, per approdare infine in Assemblea Capitolina per l’approvazione.
Il testo è il risultato di un grande lavoro dell’Assessorato alla partecipazione con la collaborazione di Labsus, che ha contribuito all’adattamento alla realtà di una metropoli come Roma del prototipo di Regolamento che da anni noi proponiamo ai comuni che intendono dotarsi di questo strumento. Ciò spiega perché il nuovo Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni di Roma Capitale riprenda in gran parte, sia nella struttura, sia nei contenuti, il testo del prototipo ma, come si vedrà fra poco, con alcune novità significative.
È dal 2015 che Labsus si sta impegnando per promuovere l’approvazione del Regolamento a Roma. Quindi, nonostante alcuni limiti del nuovo Regolamento, forse inevitabili considerata la complessità dell’amministrazione capitolina, per noi aver raggiunto questo traguardo ha un significato speciale, quasi come se fosse una sorta di risarcimento per tutte le fatiche, le delusioni, le arrabbiature che abbiamo dovuto affrontare in questi sette anni. Quelle vicende sono state raccontate in un articolo intitolato La storia del Regolamento per i beni comuni a Roma. Seconda puntata e quindi non le ripercorriamo qui, così come non raccontiamo di nuovo la storia dei rapporti con l’attuale maggioranza, già riportata nel Rapporto Labsus 2021.
Guardiamo avanti
L’approvazione in Giunta è al tempo stesso un punto di arrivo e uno di partenza e quindi, mentre ci rallegriamo per questo successo e lo condividiamo con tutte le associazioni con cui in questi anni abbiamo collaborato per promuovere il Regolamento, adesso guardiamo avanti, sapendo che ora inizia la parte forse più difficile, quella dell’attuazione di questo nuovo Regolamento.
Per implementarlo nel modo migliore sia i cittadini, sia i funzionari capitolini dovranno conoscere bene le nuove norme per svilupparne al massimo le potenzialità. Come sempre Labsus si impegnerà in questa opera di diffusione delle conoscenze, cominciando fin da subito con un commento che serva a mettere in evidenza gli aspetti più innovativi di questo nuovo Regolamento, quelli che più lo caratterizzano rispetto ai regolamenti approvati da altre città.
Si tratta ovviamente di una prima ricognizione, cui seguiranno commenti più approfonditi quando, auspicabilmente nei primi mesi del 2023, l’Assemblea Capitolina approverà definitivamente il Regolamento. Fino ad allora il testo è pur sempre suscettibile di modifiche e quindi per il momento conviene limitarsi ad una ricognizione di carattere generale riguardante i punti salienti.
È compito della Repubblica…
Un primo punto interessante riguarda l’elenco delle disposizioni costituzionali e legislative riportato all’art. 1. Per la prima volta in un Regolamento sull’amministrazione condivisa si cita come riferimento l’art. 3, 2° comma della Costituzione, che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’art. 118, ultimo comma dispone invece che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni (cioè la Repubblica) favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Queste due disposizioni sono fondate su due paradigmi molto diversi fra loro. Il primo, detto paradigma bipolare, è quello su cui si fonda il modello tradizionale di amministrazione risalente alle origini delle pubbliche amministrazioni in Europa, nel periodo successivo alla Rivoluzione Francese del 1789. Il secondo, detto “paradigma sussidiario”, è quello su cui si fonda il modello della “amministrazione condivisa”.
La visione tradizionale del rapporto fra istituzioni e cittadini è perfettamente incarnata nell’art. 3, 2° comma, con cui la Costituzione affida alla Repubblica la “missione” di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione alla vita del Paese. È un progetto di società di grande civiltà e umanità di cui dobbiamo esser grati ai nostri Padri e Madri Costituenti, fondato da un lato sull’idea che nessuno deve essere lasciato solo, quindi sulla solidarietà, dall’altro sull’idea che una comunità in cui a tutte e tutti è data la possibilità di realizzare i propri progetti di vita, sogni e talenti è una comunità in cui tutti vivono meglio.
L’Assemblea costituente (né poteva essere diversamente) ragionava ovviamente sull’amministrazione all’interno del “paradigma bipolare” tradizionale e dunque riteneva fosse compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli”, dando vita fra l’altro a quello che è stato chiamato lo Stato sociale.
L’art. 118, ultimo comma, che si fonda sul nuovo “paradigma sussidiario”, paritario e pluralista, ragiona invece in termini di attivazione delle “capacitazioni” di cui sono portatori i cittadini, prescrivendo che la Repubblica deve “favorire le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale”, quelle che noi chiamiamo attività di cura dei beni comuni.
Ora, tali attività di cura hanno una doppia valenza di interesse generale. In primo luogo perché esse migliorano la qualità dei beni comuni di cui tutti possono godere e dunque sono utili all’intera collettività. In secondo luogo perché le persone che vi partecipano, mettendo a frutto e valorizzando in tali attività le proprie capacità e competenze, realizzano sé stesse raggiungendo quel pieno sviluppo che la Costituzione affida alla Repubblica come sua missione. E, come s’è detto, è nell’interesse di tutti che ciascun membro della collettività nazionale possa realizzare pienamente sé stesso.
In un certo senso è come se la Repubblica avesse trovato degli alleati nel perseguimento della sua missione costituzionale, volta alla realizzazione del pieno sviluppo di ciascuno (art. 3, 2° comma). Ma rispetto allo schema tradizionale c’è una profonda differenza dovuta al fatto che le persone che partecipano agli interventi di cura dei beni comuni sviluppano le proprie “capacitazioni” e dunque realizzano sé stesse mentre partecipano, grazie al fatto stesso che partecipano, mettendo a frutto sulla base di una libera scelta nella cura dei beni comuni, cioè dei beni di tutti, le proprie capacità e quindi crescendo come esseri umani. Non c’è un prima e un dopo, come nella previsione costituzionale per cui grazie alla rimozione degli ostacoli (per esempio con gli interventi del welfare tradizionale di tipo “risarcitorio”) le persone possono poi realizzare sé stesse, c’è semmai un durante.
La citazione nel primo articolo del nuovo Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma dell’art. 3, 2° comma vuole dunque mettere in evidenza l’esistenza nel nostro sistema costituzionale e amministrativo di due modelli di amministrazione, fra loro complementari, che pur essendo fondati su due paradigmi molto diversi fra loro sono entrambi finalizzati al pieno sviluppo della persona ed alla tutela e promozione della dignità di ciascun essere umano.
Inoltre, il richiamo all’art. 3, 2° comma vuole ricordare anche un altro aspetto fondamentale, che certe interpretazioni del principio di sussidiarietà tendono a mettere in secondo piano, cioè l’assoluta centralità del ruolo dei pubblici poteri (la Repubblica) nella creazione delle condizioni per il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla vita del Paese. La Costituzione afferma con molta nettezza che “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli….”, affidando alla Repubblica, intesa nel senso più ampio possibile, una “missione costituzionale” cui essa non può sottrarsi adducendo a giustificazione che si sono attivati i cittadini. La Repubblica deve comunque rispondere del proprio operato nella rimozione degli ostacoli, sia che abbia agito utilizzando il modello tradizionale di amministrazione fondato sul paradigma bipolare, sia che abbia agito utilizzando il modello dell’amministrazione condivisa fondata sul paradigma sussidiario.
Insomma, la citazione dell’art. 3, 2° comma nel primo articolo del nuovo Regolamento di Roma, voluta da Labsus, è un modo per ribadire l’interpretazione del principio di sussidiarietà che è stata alla base della fondazione di Labsus nel 2005, secondo la quale l’applicazione di tale principio non comporta in alcun modo un “ritrarsi” dei soggetti pubblici di fronte ad un attivarsi dei privati, bensì comporta la creazione di un’alleanza fra amministrazioni e cittadini attivi, nell’interesse generale.
Quali beni comuni
Un aspetto inedito del Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma consiste nella distinzione introdotta nell’art. 2, 1° comma, lett. a) fra beni comuni materiali e immateriali, che invece altri regolamenti non prevedono. Ovviamente l’elencazione dei beni che rientrano rispettivamente nell’una e nell’altra categoria è da considerarsi, come del resto dispone il Regolamento, a titolo assolutamente esemplificativo e non esaustivo. Ma la distinzione è interessante e utile perché rende evidente che i beni comuni oggetto di cura attraverso i patti non sono soltanto quelli materiali, come talvolta si tende a credere, bensì anche se non soprattutto quelli immateriali.
Inoltre tale distinzione aiuta a ricordare che i patti raramente, se non mai, hanno per oggetto un solo bene comune, bensì sono sempre volti alla cura di una pluralità di beni, materiali e immateriali. E spesso la cura di beni immateriali (come possono essere per esempio la coesione sociale o il senso di appartenenza ad una comunità), è la diretta conseguenza della cura di beni comuni materiali, come può essere un’area verde o uno spazio pubblico.
I bambini come cittadini
Un altro aspetto inedito del Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma è l’esplicito riconoscimento che i bambini e le bambine possono essere cittadini attivi e partecipare ai patti di collaborazione. Non perché sono i cittadini del futuro, ma perché sono già cittadini. Ciò emerge con chiarezza sempre all’art. 1, 1° comma, lett. c), laddove si afferma che sono cittadini attivi “tutte le persone, compresi i minori coordinati da un adulto che se ne assuma la responsabilità”. E ancor di più emerge all’art. 3, 1° comma, lett. f), laddove fra i principi generali del Regolamento si individua la “partecipazione delle bambine/i e delle ragazze/i“, affermando che “nei patti di collaborazione si deve tenere conto anche del punto di vista dei bambini, favorendone la partecipazione, sia in ambito scolastico sia extrascolastico, alla cura dei beni comuni, attraverso il coordinamento di adulti che ne assumano la responsabilità (insegnanti, docenti, genitori, etc.)”.
Il Responsabile Unico del Procedimento
L’art. 5 del Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma prevede una figura di raccordo fra cittadini attivi e amministrazione comunale, rappresentato dal Responsabile Unico del Procedimento. Si tratta di un funzionario “individuato dal Dirigente” che “costituisce il punto di contatto tra i cittadini attuatori del patto e gli altri uffici dell’amministrazione interessata. Rientrano tra le funzioni del R.U.P. oltre a quanto previsto ai successivi artt. 7 e 8, la convocazione di incontri con i cittadini attivi nella fase iniziale per co-progettare il patto e, successivamente, per la sua implementazione. In generale, il R.U.P. gestisce il rapporto di collaborazione fra i cittadini attivi coinvolti nell’attuazione delle azioni previste dal patto e l’amministrazione. Le sue funzioni si svolgono per l’intera durata del patto di riferimento” (corsivo aggiunto).
In pratica, in ciascun Municipio e in ciascun Dipartimento (per esempio il Dipartimento per il verde) vi sarà un funzionario che, su incarico del Direttore del Municipio o del Dipartimento, rappresenterà per i cittadini attivi l’interfaccia con gli altri uffici dell’amministrazione. Si tratta di una figura cruciale per il buon funzionamento del Regolamento e dei patti di collaborazione, pertanto andrà scelta con molta oculatezza, privilegiando nella scelta del funzionario in questione le doti umane più ancora di quelle tecniche. Più che un fine “legista”, interprete raffinato di articoli e commi di legge, è fondamentale che il RUP sia una persona capace di ascoltare i cittadini attivi, riconoscendo che essi non sono degli intrusi, bensì alleati preziosi da rispettare e sostenere, come prescrive la Costituzione, condividendo con essi la cura dei beni comuni della città.
Il facilitatore o promotore civico
Accanto al RUP potrà esserci un’altra figura che costituisce un’assoluta novità del Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma. L’art. 7, che disciplina i patti di collaborazione ordinari, prevede infatti al 2° comma che “… la struttura organizzativa competente può individuare un facilitatore opportunamente formato sulla materia di cui al presente Regolamento che, oltre agli adempimenti procedimentali, curi l’interlocuzione con i cittadini attivi facilitando sia la fase di co-progettazione e di formazione dei patti, sia la fase della loro attuazione”. Ai sensi dell’art. 6, 3° comma (Disposizioni generali) “… l’unità organizzativa competente in materia di amministrazione condivisa viene identificata con l’ufficio titolare o assegnatario del bene materiale” oggetto del patto.
In una città come Roma, di grandi dimensioni e con tanti abitanti, ma fondamentalmente articolata in tanti “piccoli” territori rappresentati dai quartieri, il ruolo del facilitatore è cruciale per la conoscenza e poi per l’attuazione del Regolamento e dei patti. Abbiamo visto infatti come in altre città, che pure avevano approvato il Regolamento per l’amministrazione condivisa, la mancanza di comunicazione da parte del comune sulla sua utilizzazione ne abbia praticamente vanificato l’utilità perché i cittadini, non conoscendone l’esistenza, non proponevano patti di collaborazione.
A Roma il problema della conoscenza è ovviamente moltiplicato dalle dimensioni e dalla complessità urbana, quindi dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea Capitolina sarà indispensabile una campagna di comunicazione pubblica su scala cittadina, per far conoscere a tutti i cittadini e le associazioni l’esistenza del Regolamento e dei patti. Noi di Labsus continueremo comunque anche nei prossimi mesi, come abbiamo fatto fin dal 2020, ad organizzare le Scuole di cittadinanza, ma un’iniziativa pubblica di comunicazione sul nuovo Regolamento è indispensabile.
Ovviamente, però, la campagna di comunicazione non potrà continuare per sempre. Sarà dunque essenziale avere nei prossimi anni nei territori una figura come il facilitatore, che nella nostra visione è una sorta di “promotore civico” (nel senso di “promotore di civismo”!) che non sta dietro una scrivania, bensì gira nel quartiere (che conosce perché ci vive oppure perché lo frequenta) individuando le situazioni che possono essere oggetto di un intervento di cura mediante un patto di collaborazione. Deve essere una persona dotata di empatia, capacità di ascolto, di coordinamento e di mediazione dei conflitti. Non conta l’età, ma la competenza e soprattutto l’autorevolezza, sia nei confronti dei cittadini e delle loro associazioni, sia nei confronti dell’amministrazione comunale.
Come si è detto, il facilitatore è una figura nuova contenuta nel Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma che può certamente essere ripresa anche in altre città dotate del Regolamento. Anzi, l’auspicio è che ciò avvenga, in modo da consolidare il ruolo di una figura che, un giorno non lontano, potrebbe assumere i contorni di una nuova figura professionale, creando nella promozione dei patti di collaborazione nuove opportunità di lavoro per giovani e meno giovani.
Facilitare i rapporti con i cittadini
L’art. 13 impegna l’amministrazione “a facilitare il più possibile le attività di comunicazione/informazione/accesso ai cittadini attivi interessati ai patti di collaborazione sia attraverso l’individuazione del facilitatore di cui all’art.7 comma 2 all’interno di ciascuna struttura organizzativa titolare del bene comune, sia attraverso la sezione web dedicata” (1° comma).
Questo impegno generico viene specificato subito dopo, nel secondo comma, che contiene un primo esempio di cosa si può fare per facilitare il più possibile i rapporti fra i cittadini attivi e l’amministrazione. Esso infatti impegna l’amministrazione a “favorire lo scambio di informazioni con i cittadini attivi privilegiando strumenti rapidi ed informali quali contatti telefonici, piattaforme di messaggistica elettronica ed e-mail”.
In una amministrazione come quella italiana, ossessionata dalle formalità, la previsione che gli uffici nel rapportarsi con i cittadini debbano addirittura “privilegiare” strumenti quali i cellulari, Whatsapp e posta elettronica ha del rivoluzionario. Se lo faranno, il Regolamento per l’amministrazione condivisa di Roma avrà dato un contributo fondamentale allo svecchiamento ed alla maggiore efficienza della nostra pubblica amministrazione, in generale.
La formazione e le scuole come beni comuni
Ci sarebbero tanti altri aspetti interessanti e importanti del nuovo Regolamento da mettere in evidenza ma, come s’è detto, ci torneremo dopo l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea Capitolina.
Non possiamo però chiudere questo commento (alla fine non così breve come ci eravamo ripromessi…) senza almeno un cenno all’art. 15, riguardante le scuole e la formazione.
Il primo comma dispone che l’amministrazione “promuove e organizza percorsi formativi per i cittadini e per i propri dipendenti, anche attraverso eventi pubblici e percorsi partecipativi, finalizzati a diffondere una cultura della collaborazione tra cittadini e amministrazione ispirata ai valori e principi generali del presente regolamento”. Il tema della formazione è cruciale per l’attuazione del Regolamento. Come s’è detto, da alcuni anni Labsus promuove le Scuole di cittadinanza per formare cittadini attivi, responsabili e solidali. Ne abbiamo organizzate parecchie e altre ancora ne organizzeremo nei prossimi mesi ed anni. Ma accanto alla formazione dei cittadini devono svilupparsi iniziative di formazione organizzate dal Comune e rivolte ai propri dipendenti, perché altrimenti nell’interpretare il nuovo Regolamento prevarrà nei funzionari la vecchia cultura burocratica, vanificando le potenzialità della nuova normativa… e facendo arrabbiare i cittadini romani più attivi e attenti, che da anni aspettano di poter usare i patti di collaborazione per migliorare la qualità della vita urbana.
Il secondo ed il terzo comma dell’art. 15 riguardano invece le scuole, intese sia come beni comuni materiali e immateriali, sia come istituzioni dotate di autonomia funzionale. Il secondo comma prevede dunque che l’amministrazione promuova “nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla cittadinanza attiva, alla responsabilità, inclusività e apertura, pari opportunità e contrasto delle discriminazioni e della povertà educativa ed alla sostenibilità ambientale attraverso la sottoscrizione di patti di collaborazione fra le istituzioni scolastiche ed i genitori, gli studenti, gli insegnanti e chiunque altro voglia impegnarsi per la cura delle scuole come beni comuni materiali ed immateriali” (corsivo aggiunto).
Questa disposizione assume il valore di norma generale di riferimento per tutte le scuole comunali, le quali non appena il Regolamento entrerà in vigore potranno applicarne le disposizioni per stipulare patti di collaborazione con “i genitori, gli studenti, gli insegnanti e chiunque altro voglia impegnarsi per la cura delle scuole come beni comuni materiali ed immateriali”. In altri termini non è necessario, anzi è assolutamente da evitare, che ogni scuola si doti del proprio regolamento per l’amministrazione condivisa. Così come a tutti gli altri settori dell’amministrazione, dal verde ai lavori pubblici, anche alle scuole si applica il Regolamento generale per l’amministrazione condivisa di Roma Capitale, onde sviluppare il più possibile nella nostra città il modello delle Scuole aperte, partecipate e condivise.
Formalmente le scuole statali sono escluse dall’ambito di applicazione del nuovo Regolamento comunale sull’amministrazione condivisa. Ma nulla impedisce loro di applicare l’art. 118, ultimo comma della Costituzione utilizzando come disposizioni di livello amministrativo quelle contenute nel Regolamento di Roma, integrando e arricchendo con la loro partecipazione il sistema romano delle scuole aperte e partecipate.
Infine, un cenno ai soggetti con cui le scuole possono stipulare patti di collaborazione. L’art. 15, 2° comma cita “i genitori, gli studenti, gli insegnanti e chiunque altro voglia impegnarsi per la cura delle scuole come beni comuni materiali ed immateriali”. I genitori, gli studenti e gli insegnanti sono le tre componenti fondamentali di ogni comunità scolastica. Ci sono anche altre componenti, naturalmente, ma quelle essenziali sono queste ed è con queste che, presumibilmente, si stipulerà la maggior parte dei patti di collaborazione per la cura delle scuole.
L’art. 15 è però una norma “aperta” nella parte in cui afferma che le istituzioni scolastiche potranno stipulare patti di collaborazione con “chiunque altro voglia impegnarsi per la cura delle scuole come beni comuni materiali ed immateriali”. Chiunque vuol dire letteralmente “chiunque”. E quindi associazioni e comitati di quartiere, fondazioni, imprese for profit e no profit, enti del Terzo Settore, parrocchie, teatri, musei… chiunque voglia impegnarsi per la cura delle scuole, insieme con le scuole, è benvenuto perché porta competenze, risorse e idee per la promozione del nuovo modello delle scuole aperte, partecipate e condivise.
Foto di copertina: Gabriella Clare Marino su Unsplash
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