C’era molta attesa per l’approvazione definitiva del codice dei contratti pubblici, avvenuta in Consiglio dei ministri lo scorso 28 marzo e pubblicato il 31 marzo in Gazzetta ufficiale con efficacia a partire dal prossimo primo luglio. Labsus ha dato conto nel corso di questi anni del travagliato rapporto che si è determinato tra codice dei contratti pubblici e codice del terzo settore, in virtù di interpretazioni oscillanti che, in un primo momento, avevano affermato la prevalenza del primo sul secondo, producendo una netta compressione degli spazi di gestione condivisa tra amministrazioni e soggetti del terzo settore, e poi, grazie anche all’intervento della Corte costituzionale, si è affermato un differente approccio che ha permesso di separare con più nettezza le fattispecie proprie del codice dei contratti pubblici da quelle del codice del terzo settore, producendo un equilibrio più accettabile. Dunque, c’era curiosità di capire se l’equilibrio raggiunto trovasse conferma nel momento in cui uno dei due testi era sottoposto a una profonda modifica, ispirata dagli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del PNRR.
Non si può certo dire che i timori fossero privi di ogni fondamento. Il PNRR costituisce la principale fonte delle politiche pubbliche dei prossimi anni ed è caratterizzato da un impianto molto verticistico che lascia poco spazio alla mediazione e alle condivisioni di comunità nel territorio. In parte, le ragioni di questa impostazione sono comprensibili, ma giustificate sono altrettanto le preoccupazioni per una riduzione eccessiva degli spazi di autonomia sociale. Inoltre, la bozza iniziale del decreto legislativo aveva suscitato diverse perplessità, che anche Labsus non ha mancato di sottolineare all’inizio di quest’anno in una newsletter dedicata.
Un’autonomia garantita dal codice
Ebbene, alla luce di tutto questo si può sostenere che la versione definitiva appare più soddisfacente. Nel codice si trova ribadito come principio di carattere generale all’art. 6 la separazione tra disciplina dei contratti pubblici e gli istituti della co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e convenzione disciplinati dal codice del terzo settore. Era questo l’approdo raggiunto nel 2020, dopo l’approvazione del decreto semplificazione. Tale risultato è ribadito nella parte finale dell’art. 6 con inequivocabile chiarezza.
Ma ancor più significativa è tutta la prima parte dell’art. 6, perché lì è espresso un principio di carattere generale che sembra proiettare la disposizione in ambiti ancora più estesi. Si legge, infatti, che in attuazione dei principi di solidarietà sociale e sussidiarietà orizzontale la pubblica amministrazione può dar vita a modelli organizzativi di amministrazione condivisa (quelli, cioè, privi di rapporti sinallagmatici – come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 2020) con gli enti del Terzo settore per il perseguimento di finalità sociali. A ben intendere, dunque, l’art. 6 definisce innanzitutto un principio di carattere generale secondo cui esiste sempre la facoltà delle pubbliche amministrazioni di costruire modelli organizzativi di amministrazione condivisa per finalità sociale insieme agli enti del Terzo settore. Si tratta di un’autonomia garantita dal codice che fa il paio con quella presente nell’art. 7, dove si trova affermato il principio di auto-organizzazione delle pubbliche amministrazioni. È come se il codice dicesse che le pubbliche amministrazioni sono libere di definire il loro modello organizzativo e di riflesso, sulla base di questa scelta, è delineato anche il perimetro entro il quale il codice dei contratti si applica.
Non esiste un solo modo di fare trasparenza
Dunque sicuramente sono estranei al codice dei contratti pubblici gli istituti sopra richiamati del codice del terzo settore, ma anche più in generale tutte le forme di amministrazione condivisa realizzate con gli enti del Terzo settore. Questa lettura espansiva dello spazio dell’amministrazione condivisa non è certo contraddetta dal rispetto delle condizioni di pari trattamento e trasparenza che l’art. 6 richiama. Labsus ha avuto tante volte occasione di dimostrare che l’amministrazione condivisa si svolge dentro procedure aperte, trasparenti e tracciate, proprio perché è convinta che la legittimazione del modello dipenda grandemente da questo più che dal principio di legalità tradizionalmente inteso. Semmai, quello che si è spesso ribadito, è che non esiste un solo modo di fare trasparenza e, per essere del tutto chiari, non è solo il bando di gara a garantirla.
Rispetto poi alla bozza iniziale del decreto legislativo, l’art. 6 definitivamente approvato non fa più riferimento alla co-amministrazione – concetto ambiguo e per la verità fin qui utilizzato in ambiti diversi da quelli qui trattati – ma, molto correttamente e opportunamente, all’amministrazione condivisa, che oramai può vantare solide basi culturali e normative di riferimento. La nuova versione è dunque molto più chiara della precedente. In questo senso il fatto che l’art. 6 stabilisca che i modelli organizzativi di amministrazione condivisa fatti salvi siano da apprestare per attività a “spiccata” valenza sociale sembra bilanciare la proiezione ultronea che la disposizione fa dell’amministrazione condivisa. In qualche modo è come se il legislatore avesse voluto controbilanciare lo spazio di autonomia di definire l’amministrazione condivisa, che va oltre il codice del terzo settore. Forse si sarebbe potuto evitare questo, perché lascia margini di discrezionalità agli interpreti, ma nell’ambito complessivo della norma la capacità condizionante del limite della “spiccata” valenza sociale appare ridotta.
Perché l’art. 6 potrebbe rafforzare l’Amministrazione condivisa
Infine, anche l’art. 6 richiama il principio del risultato, l’altra grande novità del nuovo codice dei contratti pubblici. A essere onesti servirà tempo per capire come si applicherà questo nuovo principio e non è facile ora fare previsioni in questo senso. In ogni caso nell’art. 6 si legge che i modelli organizzativi dell’amministrazione condivisa sono fatti salvi se contribuiscono al perseguimento di finalità sociali «in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato». Del pari trattamento e della trasparenza si è detto. Come pesi il principio del risultato nel giudizio dei modelli di amministrazione condivisa è meno certo. Stando all’art. 1 del codice dei contratti pubblici, che cita il principio del risultato, emergono due versioni. Il primo è contenuto nel comma 3, ma – come dice la stessa disposizione – è riferito proprio al settore dei contratti pubblici. Essendo l’amministrazione condivisa fuori dal codice dei contratti pubblici, sembrerebbe che occorra guardare allora al comma 4 dell’art. 1, che recita che il principio del risultato è il criterio attraverso cui si stabilisce l’esercizio del potere discrezionale e l’individuazione della regola da applicare al caso concreto al fine di valutare la responsabilità del personale e l’attribuzione degli incentivi secondo la contrattazione collettiva.
Se questa lettura trovasse conferma, il principio del risultato si attaglia benissimo all’esperienza dell’amministrazione condivisa che, come è noto, è innanzitutto esercizio creativo di autonomie che si incontrano, quella amministrativa e quella sociale, e che ricercano la regola da applicare non in astratto o in modo predefinito ma nel concreto. Tale garanzia del risultato ha un potenziale significativo in termini di responsabilità dei funzionari pubblici, che possono così motivare e spiegare il ricorso alla soluzione concreta di amministrazione condivisa, senza dover per forza ricercare l’appiglio specifico legislativo a cui ancorare la scelta. Il principio del risultato può esaltare l’amministrazione responsabile a scapito di quella difensiva, senza naturalmente violare la legalità. Siamo ancora agli inizi e ai primi commenti di queste norme e non esistono ancora casistiche, ma c’è tutto lo spazio per dire che l’art. 6 del codice dei contratti pubblici costituisce un potenziale enorme per il radicamento e il rafforzamento dell’amministrazione condivisa.
Foto di copertina: Tingey Injury Law Firm su Unsplash