Un confronto tra le recenti normative in materia di Amministrazione condivisa adottate in Umbria ed Emilia-Romagna

Dopo le Regioni Lazio e Toscana, anche l’Umbria e l’Emilia-Romagna si sono dotate di normative in materia di Amministrazione condivisa, rispettivamente con l’adozione della legge regionale 6 marzo 2023, n. 2, rubricata “Disposizioni in materia di amministrazione condivisa”, e della l.r. 13 aprile 2023, n. 3, intitolata “Norme per la promozione ed il sostegno del Terzo Settore, dell’Amministrazione condivisa e della cittadinanza attiva”. Sebbene si tratti di due testi adottati a breve distanza l’uno dall’altro, è possibile cogliere tra di essi, accanto ad alcuni punti di contatto, anche profonde differenze; tra queste ultime, ad un primo e rapido sguardo, rileva la diversa lunghezza dell’articolato, che nel caso della l.r. Umbria n. 2 del 2023 presenta venti disposizioni a fronte delle trentatré contenute nella l.r. Emilia-Romagna n. 3 del 2023.

Co-programmazione e co-progettazione: un quadro di regole comuni

Con l’adozione delle normative in esame, entrambi i legislatori regionali hanno fornito una disciplina, ancorché snella, delle forme di coinvolgimento degli Enti del Terzo settore (di seguito ETS) nell’esercizio delle funzioni regionali di programmazione ed organizzazione dei settori in cui operano, in relazione ai servizi di interesse generale di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 117 del 2017. Le due leggi, infatti, non si limitano soltanto ad indicare quali sono i principi che governano gli istituti dell’Amministrazione condivisa di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore, ma si preoccupano anche di definire i procedimenti di co-programmazione e co-progettazione, disciplinando le diverse fasi in cui essi si articolano ed individuando il riparto di competenze attribuite ai soggetti coinvolti.
Entrambe le normative, inoltre, riconoscono alla fase attuativa delle disposizioni ivi contenute un’attenzione particolare: ai sensi dell’art. 20 della l.r. Umbria n. 2 del 2023, la Giunta regionale è chiamata ad elaborare annualmente una relazione relativa le iniziative di amministrazione condivisa poste in essere sul territorio regionale, nonché i risultati raggiunti e gli accordi di collaborazione sottoscritti (ex art. 18); anche la l.r. Emilia-Romagna n. 3 del 2023, all’art. 29, riconosce in capo all’Assemblea legislativa il potere di valutare i risultati raggiunti in attuazione delle disposizioni qui in commento. Ai fini della valutazione rileva la relazione che, a cadenza triennale, è chiamata a disporre la Giunta regionale, la quale, nell’elaborazione della stessa, può avvalersi dell’attività svolta dall’Osservatorio regionale del Terzo settore. Quest’ultimo, insieme al Consiglio regionale del Terzo settore, rappresentano alcune delle novità introdotte dalla legge emiliano-romagnola che vanno nella direzione di rendere maggiormente rappresentato l’eterogeneo mondo del Terzo Settore nelle sedi di confronto con le istituzioni pubbliche.

L’amministrazione condivisa presa sul serio

In tema di novità, la l.r. Umbria n. 2 del 2023 rileva allorché riconosce l’amministrazione condivisa non solo come una delle modalità ordinarie di esercizio delle funzioni amministrative (art. 1, c. 4), bensì come la modalità alla quale le istituzioni pubbliche devono fare prioritariamente ricorso per definire ed organizzare le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS (art. 3, c. 2). Tuttavia, non sembrerebbe che il ricorso agli strumenti di amministrazione condivisa debba avvenire in maniera del tutto automatica, cioè senza che alla base della decisione di avvalersi di essi vi sia un’analisi circa gli effetti positivi che si potrebbero avere sulla comunità di riferimento. Sul punto, infatti, l’art. 5, comma 1, lett. d), introduce la valutazione di impatto sociale, uno strumento di cui le istituzioni pubbliche possono disporre per individuare qualitativamente e quantitativamente gli effetti delle attività svolte sulla comunità rispetto agli obiettivi individuati.
Al contrario, la l.r. Emilia-Romagna n. 3 del 2023 non indica alcuna preferenza circa le diverse modalità di esercizio delle funzioni amministrative, limitandosi a prevedere che, nell’ipotesi in cui le amministrazioni pubbliche procedano a co-programmare o co-progettare delle attività di interesse generale con gli ETS, queste «possono essere coordinate con la programmazione pluriennale dei contratti pubblici, nonché con l’approvazione degli strumenti di programmazione della valorizzazione ed affidamento dei beni pubblici, previsti dalla disciplina di settore» (art. 14, c. 1, lett. e)).

Misure di sostegno per l’implementazione dell’amministrazione condivisa

In generale, dalla lettura dei due testi normativi, ciò che si evince è come in entrambi i contesti, i legislatori regionali abbiano tentato di creare tutte le condizioni atte a far sì che gli strumenti di amministrazione condivisa possano diffondersi ed affermarsi sul territorio. Tra queste rientrano quelle misure di sostegno che nella l.r. Umbria n. 2 del 2023 si concretizzano in misure premiali di natura finanziaria corrisposte agli enti locali che attivano forme di collaborazione con gli ETS (art. 16, c. 2); mentre nel contesto emiliano-romagnolo, si sostanziano in contributi assegnati agli ETS, ovvero nell’istituzione di fondi di garanzia per l’accesso al credito o per l’abbattimento dei tassi di interesse (art. 24).

Il ruolo della cittadinanza attiva

È indubbio come, con l’adozione delle due leggi in commento, gli ordinamenti regionali di Umbria ed Emilia-Romagna si siano dotati di un quadro giuridico chiaro relativo le forme di collaborazione che possono nascere tra amministrazioni pubbliche ed attori del Terzo settore. Eppure, come l’esperienza di Labsus dimostra, forme di amministrazione condivisa si realizzano anche tra istituzioni pubbliche e soggetti che non possono essere ricondotti al mondo del Terzo settore. Invero, della presenza di queste ultime espressioni di amministrazione condivisa ne dà conto la l.r. Emilia-Romagna n. 3 del 2023, che, all’art. 6, riconosce ai comuni, nell’ambito delle proprie competenze, il potere di regolare i rapporti con i cittadini, singoli e associati anche in gruppi informali, al fine di garantire una loro partecipazione alle attività di cura dei beni comuni. Tuttavia, se da un lato c’è il riconoscimento di queste “altre” forme di esercizio delle funzioni amministrative da parte di soggetti non riconducibili al Terzo settore, dall’altro lato si registra un tentativo da parte del legislatore regionale di ricondurre le espressioni di cittadinanza attiva non strutturata verso le figure degli ETS, anche attraverso percorsi di evoluzione promossi dagli stessi comuni (art. 6, c. 2, lett. e)).

Commento

È ancora molto presto per poter dare un giudizio sull’impatto che queste due normative avranno; di certo saranno un utile punto di riferimento per quegli amministratori pubblici che vorranno intentare la strada dell’amministrazione condivisa e che, dovendo necessariamente applicare regole diverse rispetto a quelle che governano il mercato, potrebbero altrimenti ritrovarsi disorientate. Ed è forse nell’ottica di dare un quadro di regole comuni agli attori pubblici e privati che co-programmano e co-progettano che potrebbe leggersi il tentativo del legislatore emiliano-romagnolo di ricondurre verso le figure degli ETS anche quelle forme non strutturate di volontariato e di associazionismo che, altrimenti, potrebbero rimanerne escluse.

Foto di copertina: Maik Hankemann su Unsplash

LEGGI ANCHE: