In questo numero della rivista viene presentato il libro di Michele Bianchi dal titolo Il Community Development nel Terzo Settore italiano. Cittadini ed enti costruttori di comunità. Nel volume, l’autore cerca di capire come il concetto di community development possa essere applicato anche al contesto italiano, visti i numerosi studi apparsi recentemente nella pubblicistica internazionale e in Italia sul Terzo Settore. Ma vediamo più nel dettaglio la ricerca dell’autore.
Come nasce l’interesse per il community development
L’Italia può contare su un background storico-culturale da cui mutuare diverse esperienze di partecipazione civica, di impegno socio-comunitario e di cittadinanza attiva, in gran parte accomunate da modalità costitutive autonome, originali e innovative di aggregazione dal basso. L’obiettivo è quello di creare delle arene pubbliche per il confronto tra cittadini, al fine di avviare percorsi volti ad una crescita sostenibile e al miglioramento dei beni comuni. Nonostante vi siano parecchi studi in merito, emergono – specie in Italia – alcune questioni relative al community development, che portano a un’analisi puntuale del fenomeno, a partire dai modelli meno formali per arrivare a quelli più complessi. Queste ricerche tentano di dare una definizione del modello attraverso una panoramica degli strumenti utilizzati e dei modelli di azione, in modo da definirne i contorni, valorizzandone le potenzialità.
La connessione attuale delle comunità
Il desiderio di sentirsi parte di una comunità esprime, come già ricordava Zygmunt Bauman, un bisogno profondo dell’uomo, ragion per cui queste esperienze potrebbero rappresentare un mezzo per raggiungere una coesione sociale più forte e partecipativa, anche grazie a forme collaborative e al principio di sussidiarietà orizzontale. Esse, inoltre, potrebbero agevolare il costituirsi di nuove identità e appartenenze al fine di contrastare una sistema di riferimenti sociali sempre più fluido, rarefatto e poroso. E ciò in ragione del fatto che oggi l’idea di comunità ha cambiato coordinate e difficilmente tiene più conto dei limiti spaziali e temporali, sovvertiti anche dalla rete che consente modalità diverse e ibride di aggregazione identitaria.
Il community development come strumento che riesce a generare benessere
Attualmente è difficile capire ciò che rappresenti in concreto una comunità che, a partire dai suoi molteplici significati, può indicare la comunità internazionale o nazionale, quella etnica o regionale, quella religiosa o linguistica o, addirittura, quella che si fonda su interessi precisi e circoscritti che la rete tende a generare e dissolvere in tempi rapidissimi. Il community development attiene, dunque, non solo ai procedimenti volontari del lavoro, ma anche ai comportamenti volti a una più consistente articolazione del concetto di comunità e della prassi che ne definisce la natura. Esso si manifesta sia nel contesto sociale, con l’estensione dei legami relazionali tra le persone, sia nell’ambito della prestazione di servizi o di progetti diretti ad aumentarne il benessere individuale e collettivo, con il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche, del mondo del profit e del no-profit e della società civile.
L’importanza della sussidiarietà orizzontale
Le dinamiche e le modalità poste in essere dalla cittadinanza attiva, che puntano a far crescere le comunità locali, tengono conto di varie esperienze maturate nel contesto italiano. Essa stessa rappresenta una forma semplice e profittevole di aggregazione, assai meno complessa rispetto a forme articolate di co-progettazione o all’imprenditoria di comunità. Un esempio in tal senso è proprio quello di Labsus, nato come laboratorio di ricerca, di studio e di sperimentazione intorno al principio di sussidiarietà – così come enunciato nell’art. 118.4 della Costituzione – al fine di agevolare la creazione di uno strumento (Regolamento) che mirasse alla costituzione di una pratica collaborativa spontanea e non autoritativa (patto di collaborazione) tra cittadini e amministrazioni pubbliche per la gestione condivisa del patrimonio artistico, culturale, ambientale ecc. (cura dei beni comuni). Da questo punto di vista, infatti, la riforma del Titolo V, che nel 2001 ha accolto in Costituzione il principio di sussidiarietà orizzontale, ha permesso nel corso di alcuni anni di mobilitare le forze della cittadinanza attiva e di avviare e perfezionare forme di cooperazione finalizzate alla costruzione di comunità collaborative intorno alla cura dei beni comuni.
Le cooperative di comunità quali esempi di community development italiano
Ciò detto, anche in riferimento al community development è possibile ipotizzare un ruolo rilevante dei beni comuni e delle progettualità volte alla loro gestione e cura, in particolare a partire dalle evidenze empiriche che hanno postulato l’esistenza dell’Asset-based Community Development. Un tema che si intreccia con le esperienze di gestione dei beni comuni, senza dimenticare però uno dei capisaldi del community development italiano – rappresentato dalle cooperative di comunità – delle organizzazioni che si avvalgono dei vantaggi dell’assetto cooperativo sotto forma di partecipazione collettiva, di mutualità sulla base di una concezione di sviluppo comunitaria.
Il ruolo delle fondazioni di comunità
Non bisogna infine dimenticare la differenza principale tra le fondazioni, che mirano ad attuare un obiettivo di tipo filantropico – in quando nate dalla volontà di soggetti che vogliono destinare mezzi cospicui per finalità socio-culturali e socio-assistenziali -, e le associazioni, per le quali il fine ultimo è quello del vantaggio associativo al fine di conseguire determinati obiettivi comuni. A tal proposito, esistono anche le fondazioni di comunità, la cui gestione patrimoniale viene assegnata a una direzione che punta a garantire l’ottenimento degli obiettivi posti dai fondatori e, dunque, dell’intera comunità. Per questa ragione, le fondazioni di comunità tendono a coinvolgere oltre che la propria comunità di riferimento anche diversi attori locali. E’ inoltre possibile sostenere che il community development è presente anche nel Terzo Settore, con peculiarità e dinamiche affini a quelle individuate dagli studiosi nel contesto internazionale. Anche nel caso italiano, infatti, si tratta di un processo partecipativo avviato dal basso, su istanza dei cittadini o proposto dagli organismi appartenenti a una certa comunità, e che poi ne definiscono le caratteristiche principali, le necessità, i mezzi disponibili e gli obiettivi da conseguirsi attraverso determinate progettualità.