Il T.A.R. Toscana, sez. I, con la sentenza del 27 dicembre 2022, n. 1530, ha confermato la possibilità per il Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico di introdurre vincoli che possano assumere persino la forma di divieti assoluti di intervento e trasformazione.
La vicenda amministrativa e giudiziaria
L’oggetto della controversia sulla quale si è pronunciato il T.A.R. Toscana concerne una serie di provvedimenti attraverso cui la Regione Toscana aveva integrato il Piano di Indirizzo Territoriale (P.I.T.) con valenza di Piano paesaggistico, quale atto di pianificazione preposto al riconoscimento degli aspetti e caratteri peculiari del paesaggio regionale, alla delimitazione dei relativi ambiti, all’individuazione degli obiettivi di qualità e alla definizione della normativa di utilizzo (Art. 59, co. 1, l. r. 10 novembre 2014, n. 65). Tali provvedimenti sono stati successivamente impugnati dalla parte ricorrente sul presupposto che, tramite gli stessi, fosse stata introdotta una disciplina eccessivamente rigida e vincolistica. Le eccezioni sono state presentate attraverso la proposizione di quattro ricorsi, che sono stati riuniti dal collegio, sussistendone le dovute ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, e respinti, risultando infondati nel merito.
La funzione conservativa del Piano paesaggistico
Tra i diversi motivi di ricorso veniva censurata la possibilità per il P.I.T. di prevedere divieti di trasformazione del territorio nella misura in cui, ad avviso delle ricorrenti, tramite siffatto strumento di pianificazione sarebbe stato possibile esclusivamente individuare i criteri e i principi per consentire il corretto intervento degli strumenti urbanistici ed edilizi sul territorio. Nel ritenere il motivo infondato, il collegio, ricalcando le linee di ragionamento sviluppate nell’ambito di un’altra controversia (T.A.R. Toscana, sez. I, 21 luglio 2017, n. 945, qui commentata), ha ricordato che, in conformità alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il piano paesaggistico abbia la funzione precipua di individuare in negativo gli interventi in posizione di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati. Considerata tale funzione conservativa, pertanto, si tratta di uno strumento idoneo ad introdurre un regime di immodificabilità per zone o categorie di opere reputate comunque contrastanti con i valori protetti e, dunque, non realizzabili.
Il Piano paesaggistico e i vincoli assoluti
Il proposito del piano paesaggistico è dunque non solo di salvaguardare e valorizzare i beni paesaggistici, ma anche di consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto insediamento, all’interno del contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione espressione della libera iniziativa economica, nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’utilizzo consapevole del suolo. Pertanto, come ricordato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 172/2018), se il proposito del piano è l’introduzione di un organico sistema di regole in funzione dei valori tutelati, all’interno dello stesso i vincoli introdotti possono assumere persino la forma di divieti assoluti di intervento. In tal senso, dunque, la possibilità di introdurre vincoli assoluti ad interventi e trasformazioni del territorio è apparsa del tutto conforme non solo al ruolo che è attribuito al piano dagli art. 143, co. 9, e 145, co. 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma anche al contenuto della Convenzione Europea sul paesaggio del 20 ottobre 2000, nella quale, pur non essendo previsto esplicitamente, non viene escluso che le azioni volte a garantire il governo del paesaggio possano assumere la natura vincolistica assoluta.
La dimensione collettiva come cifra del bilanciamento
A ben osservare, dunque, la sentenza del T.A.R. Toscana si pone in piena continuità con la precedente giurisprudenza amministrativa in materia di incidenza dell’attività di governo del territorio sulla libertà di iniziativa economica (Consiglio di stato, Sez. I, pareri del 24 dicembre 2021, n. 1970 e 7 luglio 2022, n. 1189). Nell’ambito di tale continuità, come peraltro già sostenuto nella sua precedente sentenza, il collegio ha ricordato come la protezione dell’ambiente e la razionale gestione del territorio costituiscano motivi imperativi di interesse generale, a tal punto che un ipotetico sacrificio degli stessi risulterebbe tollerabile a condizione che dallo svolgimento di un’iniziativa economica privata in contrasto con essi derivino vantaggi collettivi perlomeno apprezzabili. In tal senso, allora, nel bilanciamento tra interessi contrapposti, è la dimensione collettiva a configurarsi come la cifra del bilanciamento ad esito del quale è tollerata un’incidenza negativa sulle risorse ambientali. Detto in altri termini, nella ponderazione degli interessi, è il vantaggio collettivo a rendere ammissibile il sacrificio di beni identificati come comuni.
Foto di copertina: Reuben Teo su Unsplash