Il termine “dono” non è mai espressamente citato in Costituzione, eppure è fortissima nell’Assemblea Costituente la consapevolezza del valore del dono, tanto da disporre addirittura nei primi articoli, quelli sui principi fondamentali, che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2).
In questo articolo è racchiusa tutta la Costituzione: inviolabilità dei diritti e solidarietà rappresentano i due poli di un rapporto che esprime il carattere di fondo della nostra Carta, in cui si incontrano l’idea del singolo individuo portatore di diritti e della società interdipendente, in cui si esercita la solidarietà.
I nostri Padri e Madri Costituenti erano persone che venivano da esperienze dure ed erano persone rigorose, severe con sè stesse e con gli altri. E quindi impostarono il rapporto fra la Repubblica ed i cittadini secondo la dicotomia diritti/doveri, per cui se la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, al tempo stesso però richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà. Per i nostri Costituenti non possono esserci diritti senza i corrispettivi doveri. Una concezione della vita esigente, oggi forse poco popolare.
Ovviamente la solidarietà può manifestarsi solo dove c’è una comunità, cioè delle formazioni sociali. Quindi solidarietà e comunità sono fra loro strettamente intrecciate, le comunità non reggono se fra i suoi membri non c’è solidarietà. Vale per tutte le formazioni sociali, dalla famiglia fino alla comunità nazionale. Grazie al capitale sociale ereditato dai nostri antenati in Italia abbiamo ancora grandi “giacimenti” di solidarietà, anzi, nelle tante emergenze nazionali diamo prova di grande solidarietà. Semmai (ma questo è un altro discorso) siamo carenti nell’ordinaria manutenzione, che invece se fatta bene ci eviterebbe tante emergenze, tanti lutti, danni e i relativi problemi.
Cosa vuol dire essere solidali
Concretamente, essere solidali con gli altri membri della comunità comporta donare qualcosa. Non solo e non sempre in termini materiali. Un esempio famoso è la parabola del Buon Samaritano: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno” (Luca, 10, 25-37).
Quello che il Samaritano dona al poveretto derubato e malmenato sono essenzialmente il suo tempo e la sua attenzione, che si manifesta non soltanto nel prendersi cura di lui, fasciargli le ferite, etc. ma anche nel creare fra il ferito e l’albergatore una relazione di interesse grazie alla quale il Samaritano si assicura che anche dopo la sua partenza l’albergatore continuerà a prendersi cura del ferito. Non per solidarietà, ma per interesse, perché il Samaritano gli dà dei soldi e gli promette che, al suo ritorno, se il ferito sarà stato curato adeguatamente, gli rimborserà quanto avrà speso in più. Dona al ferito tempo e attenzione, ma l’albergatore lo paga. Il Samaritano sa come va il mondo e sa usare il denaro.
Un aspetto essenziale di questo esempio di solidarietà, che troviamo anche oggi nelle esperienze di quelle straordinarie persone che sono i nostri volontari, è il disinteresse nel donare. Il Samaritano dona, ma non chiede nulla in cambio, se non forse la gratitudine della persona di cui si è preso cura.
Art. 4 Costituzione, un articolo dimenticato
L’art. 2 rappresenta un primo, fondamentale riconoscimento costituzionale del valore del dono. Un altrettanto importante riconoscimento è quello dell’art. 4, 2° comma, che dispone che: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Sebbene anch’esso abbia a che fare con attività solidali l’art. 4, 2° comma non è affatto ridondante rispetto alla previsione dell’art. 2, riguardante i doveri di solidarietà, anzi è con essa strettamente intrecciata.
Anche in questa disposizione riemerge lo schema diritti/doveri, sotto un duplice profilo. Da un lato, in quanto nel primo comma l’art. 4 afferma che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. I lavori dell’Assemblea Costituente mostrano chiaramente la volontà dell’Assemblea di creare un nesso fra il riconoscimento del diritto al lavoro, l’impegno della Repubblica in tal senso e l’affermazione del dovere di contribuire al progresso materiale o spirituale della società.
Ma lo schema diritto/dovere emerge anche nel rapporto con la disposizione immediatamente precedente quella in esame, laddove si afferma che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, 2° comma).
In sostanza, è come se i Costituenti dicessero ai cittadini: noi impegnamo la Repubblica a garantire a tutte e a tutti la possibilità di sviluppare i propri talenti e le proprie capacità grazie all’intervento pubblico (welfare, istruzione, tutela dell’ambiente, sicurezza, etc.), ma anche voi cittadini dovete impegnarvi nell’interesse generale, non potete limitarvi ad essere passivi beneficiari degli interventi pubblici di sostegno. E non lo dicono come un auspicio od un’esortazione, bensì lo pongono dentro lo stesso schema dell’art. 2 (diritto/dovere), disponendo all’art. 4, 2° comma che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Restituire alla comunità
Alla base dell’art. 4, 2° comma, una delle disposizioni più trascurate della Costituzione, anch’essa come l’art. 2 manifestazione di quella rigorosa concezione della vita di cui erano portatori i nostri Costituenti, c’è un atteggiamento culturale molto diffuso nella cultura anglosassone, ma quasi sconosciuto da noi, secondo la quale ciascuno di noi è quello che è, nel bene e nel male, grazie a ciò che ha ricevuto nel corso della propria vita dalla famiglia, dalla scuola, dalle istituzioni e, in generale, dalla comunità di cui fa parte, sia a livello locale, sia ai livelli più alti. E quindi ciascuno di noi ha il dovere (art. 4, 2° comma!) di restituire almeno in parte ciò che ha ricevuto, così concorrendo “secondo le proprie possibilità e la propria scelta … al progresso materiale o spirituale della società”.
Leggendo in sequenza l’art. 2 e l’art. 4, 2° comma sembra quasi che i Costituenti, dopo aver richiesto a tutti, in termini generali, di adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà, abbiano voluto poi indicare concretamente uno dei modi con cui si possono adempiere tali doveri, contribuendo al “progresso materiale o spirituale della società”.
Anche in questa disposizione costituzionale c’è una legittimazione costituzionale molto forte del valore del dono e della solidarietà, perché ovviamente anche nel restituire, contribuendo al “progresso materiale o spirituale della società”, si dona qualcosa di sé. Chi è solidale, in uno dei tanti modi in cui si può esserlo, di fatto sta restituendo alla comunità. Ma di solito in Italia non ne siamo consapevoli, anche perché nella nostra cultura non è molto presente questa idea della restituzione alla comunità. E invece sarebbe importante ricordare sempre che nel donare c’è sia una componente di solidarietà, sia una di restituzione, sottolineando il fatto che ognuno di noi è parte di qualcosa di più grande delle nostre singole persone, rafforzando così i legami di comunità e il senso di appartenenza.
Le libertà costituzionali
Nel titolo si parla del donare come di una forma di libertà solidale. Ciò sembra in contraddizione da un lato con gli artt. 2 e 4, 2° comma, che come s’è visto concepiscono la solidarietà come un dovere, non come una libera scelta; dall’altro con il concetto oggi corrente di libertà in una società che da circa vent’anni ha messo al centro l’individuo e i suoi piaceri, per cui parlare di libertà solidale sembra quasi un ossimoro, un accostamento fra due termini opposti e incompatibili.
E invece è la Costituzione stessa che ci autorizza a concepire oggi la “solidarietà dei moderni” non come un dovere bensì come una forma nuova di libertà. Per capirlo bisogna però tener conto che esistono diverse forme di libertà.
Innanzitutto, vi sono le libertà tipiche della tradizione liberale, legate all’esercizio della cittadinanza e quindi la libertà di opinione, riunione, associazione, domicilio, etc. (artt. 13 – 21 Costituzione). Affinché queste libertà possano realizzarsi lo Stato deve astenersi dall’interferire con il loro esercizio.
Poi ci sono le libertà tipiche dello Stato sociale, i diritti sociali come il diritto alla salute, all’istruzione, all’assistenza sociale, etc. (artt. 20 – 38 Cost.). Affinché questi diritti possano realizzarsi lo Stato invece deve intervenire, erogare servizi e benefici di varia natura, dando vita a ciò che chiamiamo welfare State, nella cui realizzazione fra l’altro svolgono un ruolo cruciale gli enti del Terzo Settore ed il mondo del volontariato.
Negli ultimi decenni si sono poi sviluppati i c.d. “nuovi diritti”: diritto alla privacy, all’identità personale, all’immagine, all’integrità del proprio corpo… ma anche il diritto all’ambiente (art. 9 Cost.). Il ruolo dello Stato in questo caso consiste da un lato nel vigilare a tutela dei soggetti più deboli, che siamo noi cittadini (tramite per esempio soggetti pubblici come l’Autorità garante per la privacy), dall’altro nell’adottare leggi e provvedimenti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Il principio di sussidiarietà
Rispetto a questo catalogo delle libertà c’è da qualche anno in Italia una grande novità rappresentata dall’introduzione nella nostra Costituzione, con la legge di revisione costituzionale n. 3/2001, del principio di sussidiarietà, con questa formulazione: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, u.c.).
A differenza di quanto accade nell’art. 3, 2° comma, dove è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, mentre i cittadini sono i destinatari degli interventi pubblici miranti a creare condizioni di uguaglianza sostanziale, qui i soggetti protagonisti sono i cittadini che si mobilitano per svolgere attività di interesse generale, non i poteri pubblici. Questi ultimi devono invece “favorire”, cioè sostenere i cittadini attivi, creando un’alleanza fra cittadini e amministrazioni nell’interesse generale.
La cura dei beni comuni
Noi di Labsus traduciamo “interesse generale” con “cura dei beni comuni” perché in questo modo il concetto astratto diventa immediatamente comprensibile e quindi traducibile in pratica da parte di chiunque, come di fatto è successo. Ad oggi, infatti, oltre 300 città hanno adottato il Regolamento comunale per l’amministrazione condivisa dei beni comuni redatto da Labsus insieme con il Comune di Bologna nel 2014, sono stati stipulati oltre 8000 patti di collaborazione fra cittadini attivi e amministrazioni locali e secondo le nostre stime circa un milione di cittadini attivi si stanno prendendo cura nei loro territori dei beni comuni: sia beni comuni materiali, come spazi pubblici, aree verdi, parchi, scuole, beni culturali, etc., sia beni comuni immateriali, come la cultura, la memoria collettiva, la legalità, i dialetti, le tradizioni popolari e altri simili a questi.
Questo nuovo modo di essere cittadini è fondato in parte, certamente, sul desiderio egoistico di vivere in città più belle e accoglienti, ma moltissimo sulla solidarietà, perché i cittadini attivi in realtà donano alla collettività risorse private preziose come tempo, competenze, conoscenza del territorio, relazioni, idee, etc. migliorando la qualità della vita di tutti e rafforzando i legami di comunità.
Donare come libertà responsabile e solidale
Tuttavia la cura dei beni comuni è solo uno dei modi con cui si può concretizzare il principio di sussidiarietà. Oggi, alla luce dell’esperienza pluriennale di Labsus e dei cambiamenti intervenuti nella società italiana, possiamo “tradurre” l’espressione “attività di interesse generale” usata dalla Costituzione in altri modi, oltre a “cura dei beni comuni”. E uno di questi modi è certamente il dono, in quanto anche il donare come i patti di collaborazione rafforza i legami di comunità, crea integrazione e senso di appartenenza, contribuisce ad alleviare gli effetti negativi delle disuguaglianze sociali e produce capitale sociale.
Ma se anche il donare, come la cura dei beni comuni, è un’attività di interesse generale che, come dispone la Costituzione, i cittadini intraprendono sulla base di una scelta autonoma, allora ne deriva che il donare è una nuova forma di libertà, responsabile e solidale, che la Repubblica deve favorire in applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà. Essere solidali diventa esercizio di libertà e di partecipazione alla vita pubblica riconosciuto e legittimato dalla Costituzione agli artt. 4, 2° comma e 118, ultimo comma, che la Repubblica deve accompagnare e sostenere perché ciò è nell’interesse generale.
Abbiamo definito questa nuova forma di libertà una libertà responsabile perché la richiesta che la Repubblica fa all’art. 2, di adempiere ai doveri di solidarietà va interpretata alla luce del principio di sussidiarietà, che non era presente nella Costituzione del 1948. Donare, alla luce di questo nuovo principio costituzionale, non è più l’adempimento di un dovere imposto dall’ordinamento, bensì il risultato della libera e spontanea percezione di una responsabilità legata all’appartenenza ad una comunità. Detto in altri termini, grazie al principio di sussidiarietà il dono diventa un’autonoma assunzione di responsabilità verso la comunità cui si appartiene, la restituzione, almeno in parte, di ciò che si è ricevuto.
Il dono e la cura dei beni comuni sono dunque entrambe attività di interesse generale che comportano un’assunzione di responsabilità nei confronti della comunità da parte dei cittadini cui corrisponde, lo dice la Costituzione, una speculare assunzione di responsabilità verso i cittadini da parte della Repubblica, che deve favorire, sostenere e facilitare sia il dono, sia la cura dei beni comuni. In concreto, intendendo il concetto di Repubblica in senso sostanziale, non formale, sono Repubblica non soltanto i poteri pubblici elencati nell’art. 118 ultimo comma, ma anche le Università, le scuole, le fondazioni, i musei, gli enti del Terzo Settore e altri soggetti della società civile organizzata. Tutti questi soggetti devono “favorire”, come recita l’art. 118, u.c., le attività di interesse generale svolte dai cittadini.
Ricostruire i territori
Qui oggi si è parlato molto di cultura e di come sostenerla. Ebbene, fra i tanti motivi che devono spingerci a sostenere in tutti i modi la cultura e le attività culturali se ne può indicare uno ulteriore, rispetto ai tanti già conosciuti.
Le parole chiave per lo sviluppo delle nuove forme di libertà rappresentate dal dono e dalla cura dei beni comuni sono autonomia, responsabilità, solidarietà, fiducia e collaborazione. Queste stesse parole chiave ed i valori che rappresentano sono essenziali per affrontare con successo una sfida che credo ci riguardi tutti, quella di ricostruire i territori.
Quelli che noi chiamiamo “territori” sono essenzialmente sistemi di relazioni, ma dobbiamo renderci conto che questi sistemi vanno continuamente ricostruiti, che il capitale sociale ereditato dai nostri antenati se non alimentato si esaurisce, che la volontà di convivenza va coltivata e le relazioni continuamente ricucite, perché oggi molte persone sentono l’altro come una minaccia, non come un potenziale alleato per costruire una società migliore, in cui vivere bene insieme, confidando gli uni negli altri.
Riscoprire il valore del vivere insieme
E’ stato detto che la città è il luogo in cui convivono gli estranei, quindi un certo tasso di “estraneità urbana” va considerato fisiologico. Ma questo tasso di estraneità reciproca negli ultimi anni nelle nostre città è aumentato in maniera esponenziale, come testimoniano anche i frequenti episodi di violenza e intolleranza nella vita cittadina.
Negli anni del Dopoguerra e poi ancora fino alla fine del secolo scorso noi Italiani avevamo ben chiaro il senso e il valore del vivere insieme. Ma è successo qualcosa, negli ultimi venti anni circa, per cui oggi sempre più spesso si ha l’impressione che l’unica bussola per molte persone sia solo il proprio piacere e qualunque richiamo all’attenzione verso le esigenze altrui, verso il rispetto di una cosa chiamata “interesse generale” o “bene comune” venga vissuto come intollerabile restrizione della propria sfera individuale di libertà. Lo si è visto bene durante la pandemia, quando le misure di contrasto sono state osteggiate in nome di una difesa della libertà individuale che in realtà spesso era solo individualismo estremo.
Contrastare la polarizzazione individuale e politica
Alla polarizzazione sul piano dei rapporti individuali si accompagna una polarizzazione altrettanto forte sul piano politico. Le forze politiche estreme si sono ovunque rafforzate creando fratture talmente insanabili da mettere in discussione i presupposti stessi della convivenza di forze diverse nello stesso sistema politico e istituzionale. Una deriva che oggi si vede in vari Paesi e in modo particolarmente evidente nelle drammatiche e spesso violente tensioni che attraversano ormai da anni la società americana.
Per contrastare queste pericolose polarizzazioni bisogna che tutti noi ci impegnamo nel ricostruire quella trama di relazioni, interessi, progetti che chiamiamo “territorio”, rafforzando i legami di comunità e producendo nuovo capitale sociale. In questa opera di ricucitura delle relazioni e di ricostruzione dei territori è fondamentale e insostituibile il ruolo della cultura, perché è la cultura ciò che ci rende umani.
Il testo riproduce, con alcune modifiche, la relazione presentata in occasione del convegno di apertura della 4° edizione di Più fundraising Più cultura, intitolata “Sostenere la cultura, investire nel bene comune”, tenutasi il 6 novembre 2023 a Roma.
Foto di copertina: Kelly Sikkema su Unsplash