Chi governa in modo sussidiario da tempo può permettersi di lanciare un’alleanza orizzontale credibile per transizioni giuste, a livello sia locale che nazionale

Settembre 2023, Festival della Partecipazione, Matteo Lepore, sindaco di Bologna, dichiara: “l’amministrazione condivisa apre tutti i chakra dell’amministrazione”. Confesso che questo slogan avrei voluto inventarlo io. Due mesi dopo, sempre lui, lancia l’alleanza “Transizioni giuste”: è una domenica mattina, il 12 novembre, e il suo discorso di apertura – fatto peraltro a braccio, impeccabile, finalmente un bellissimo ragionamento politico – ha secondo me un solo difetto, di non contenere proposte concrete, magari anche impopolari, di riduzione dei consumi. Detto, fatto: passa qualche settimana ed ecco Bologna Città 30. Non solo tutta la città, ma tutta Italia ne parla. I giornalisti aprono immediatamente il siparietto partitico e subito ha inizio il “Lepore versus Salvini show”.
In tanti hanno fatto notare che Bologna non è la prima città a voler rallentare né in Italia né al mondo, perché dunque questo Can-can? Io penso che nel capoluogo dell’Emilia-Romagna cooperativa, rallentare non sia solo un verbo da codice della strada, ma anche di un codice etico su transizioni giuste e stile di governo partecipativo.
A proposito di quest’ultimo, si sa, il nostro Laboratorio per la Sussidiarietà ha trovato proprio a Bologna, 10 anni fa, un terreno amministrativo e civico di incredibile coraggio, dinamismo e fertilità. Ma qui vorrei tornare sul tema delle transizioni giuste. Sono consapevole che non sia il tema del giorno, ma di articoli su Bologna città 30 i nostri lettori hanno già l’imbarazzo della scelta.

Transizioni giuste

Spero che chi governa Bologna tenga dritto il timone sulla sfida vera, quella appunto delle transizioni, continuando a investire sulla partecipazione e senza paura di un livello locale che rallenta, non solo automobilisticamente parlando.
Della due giorni bolognese mi ha colpito molto l’ultimo dei Seminari per le Transizioni giuste, sabato 11 novembre: “Impatti sul lavoro”. Magistralmente moderato da Federico Magrin, coordinatore Area nuove economie e sostenibilità della Fondazione Feltrinelli, vedeva la partecipazione di: Michele De Palma, segretario generale della FIOMN; Antonio Ceglia, coordinatore Servizio ambiente energia e amianto UIL; Claudio Arlati, Centro Studi CISL; Annarosa Pesole, economista del lavoro e dell’innovazione; Caterina Sarfatti, amministratore delegato per l’Inclusione e la Leadership Globale per C40 (per chi non lo sapesse, come me, si tratta di una rete globale di quasi 100 sindaci delle principali città del mondo uniti nell’azione per affrontare la crisi climatica).
Da sociologa torinese, non avrei mai organizzato una sessione così composta: primo, perché mi sembravano lontani i tempi di dibattiti del genere (prima di questa esperienza bolognese), secondo, per paura della sala vuota. A Bologna, al contrario, è stata la sessione più affollata. Sarfatti ha posto in modo molto chiaro sul tavolo della discussione la questione chiave: “La transizione sarà un bagno di sangue o porterà nuovi posti di lavoro? Il punto non è dove arriveremo, ma che viaggio sarà. Tutte le ricerche dicono che investire nei piani climatici aumenta l’occupazione del 30 per cento e che le politiche di efficientamento energetico sestuplicano i posti di lavoro. Ma al lavoratore che monta la caldaia del gas importa poco di ciò che dice l’accademia. Ecco la politica”.
De Palma ha aperto il suo intervento affermando di non condividere il titolo Impatti sul lavoro: “Il lavoro non è la risultante ma il soggetto, e il lavoro è anche il lavoro di cura”. Di estremo interesse, nella prospettiva della sussidiarietà orizzontale, è il racconto che fa di un recente viaggio negli Stati Uniti, per portare la solidarietà dei metalmeccanici italiani agli Auto Workers di Detroit unendosi a scioperi e picchetti: al di là delle vittorie in termini simbolici (la partecipazione dello stesso presidente degli Stati Uniti), lavorativi e salariali (indennità per far fronte all’inflazione, passaggio al tempo indeterminato, diritto di sciopero, aumenti retributivi aumentati del 19 per cento e una tantum di 3.500 dollari), De Palma ha raccontato anche di un nuovo capitolo delle negoziazioni riguardante la diminuzione del tempo lavorativo a vantaggio di un tempo che il lavoratore decida di dedicare alla cura della città, della comunità, del quartiere in cui vive.
Al termine di questa sessione mi si è riacceso un ricordo, come per un corto-circuito tra memoria e immaginazione: al termine di una conferenza sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, un partecipante alzò la mano e mi chiese se non fosse il tempo, visto il successo dei patti di collaborazione nel nostro Paese, di pensare a formare un sindacato delle persone attive nella cura dei luoghi e dei servizi. Lì per lì feci fatica a mettere a fuoco la proposta, e sarebbe qui fuori tema argomentare i pro e i contro, ma certamente l’argomento delle transizioni (giuste, in comune, eccetera) non potrà prescindere da una riflessione su una nuova stagione di diritti delle persone che si attiveranno in futuro, a partire dai successi e dai fallimenti di coloro che già si sono attivati, tanto nel volontariato più tradizionale quanto in forme più recenti come le migliaia di patti di collaborazione in corso in tutta Italia.

Da Transition en commun a Montreal l’invito a mettere gli abitanti prima di tutto

Ricordate il breve reportage a fumetti per Labsus dalla mia missione a Montreal, in Québec, lo scorso giugno? Incontrai moltissime persone attive in mondi diversi e talvolta in rete fra loro, ma senza dubbio Transition en commun è stata, per così dire, l’“iniziativa ombrello” che mi sarei più volentieri portata in patria. L’idea dirompente riguarda la governance dell’alleanza, in cui la municipalità si mette allo stesso livello degli altri membri. Apre il sito web questo paragrafetto: “Un’alleanza tra gruppi di cittadini, organizzazioni della società civile, la Città di Montreal e altre istituzioni per la transizione socio-ecologica nei quartieri di Montreal”.
Da labsusiana vorrei sottolineare che il primo soggetto di questa alleanza non è una municipalità e non sono le associazioni formali, ma i gruppi di cittadine e cittadini. Alla descrizione degli obiettivi della mission, si usano due verbi che dovremmo pensare di usare di più anche da questa parte dell’Oceano: il primo è populariser, che non è solo diffondere ma – per dirla con le parole usate da Raffaella Bolini di Arci nazionale a Transizioni giuste – “Contrastare il fatto che l’attivismo sia un lusso. I movimenti dovrebbero andare verso le persone marginalizzate” (e questo è un ottimo monito anche per i processi di pattuizione a noi cari). Il secondo verbo è célébrer, che si traduce proprio come celebrare, e deriva da una letteratura sui beni comuni, si vedano ad esempio autori come Silke Helfrich e David Bollier, che sostiene l’importanza di nuove ritualità che celebrino piccole e grandi vittorie di chi si prende cura dei beni comuni.
La firma di un patto, anche semplice, ad esempio, può essere a suo modo un momento straordinario non solo per i contraenti ma anche per una comunità più allargata. E non son forse da celebrare i 5000 metri quadrati gestiti a Palermo dall’associazione The Factory, aperti 16 ore al giorno, 7 giorni su 7, con casa dei rider, centri giovani, co-working, caffetteria, spazio 0/3 anni, concerti e spettacoli, dove – per citare Valerio Bordonaro ospite a Transizioni giuste – due sono gli obiettivi: “Far lavorare e far contribuire i volontari”?

Bologna città 30 fa così rumore perché sta ragionando sulle transizioni giuste

Transition en commun declina così il concetto di amministrazione condivisa, tanto dei beni comuni quanto dei servizi pubblici, quando afferma: “Federiamo un’alleanza tra cittadini, attori e organizzazioni della società civile, la Città di Montreal e altre istituzioni attorno a un approccio di co-costruzione, il cui obiettivo generale è darci collettivamente i mezzi per attuarlo, in particolare attraverso nuovi impegni da parte delle istituzioni interessate, in primo luogo a Montreal e a beneficio della mobilitazione dei quartieri per la transizione”. In queste righe è molto chiaro che l’amministrazione pubblica ci deve essere, deve favorire, deve dare un aiuto concreto.
Niente di più concreto, tornando a Bologna, delle centinaia di patti di collaborazione in vivace dinamica da dieci anni ad oggi, tra politiche giuste come “Bolognesi. Dal primo giorno. #iussolibologna” e contestazioni dello sviluppo attraverso grandi opere come il Passante di mezzo, opera ritenuta da alcuni in palese contrasto con gli obiettivi delle stesse transizioni. A Matteo Lepore e alla sua giunta viene chiesta, adesso come non mai, coerenza tra le azioni a livello locale e una visione di alleanza nazionale tra città collaborative.
A Montreal manca l’alleanza sovra-locale che sta mettendo in piedi Bologna, ma Bologna deve copiare Montreal quando su temi ecologici affronta sfide come la riduzione della “sovramotorizzazione” (parola che in italiano nemmeno esiste, in francese si dice surmotorisation) attraverso la co-costruzione di azioni per ridurre il numero di automobili appartenenti a un solo proprietario e usate da una sola famiglia con un approccio di giustizia, equità, diversità e inclusione. Se già Bologna città 30 ha fatto così tanto rumore, figuriamoci una Bologna che si “sottomotorizzasse” per davvero.
Ma, torno sulla mia ipotesi interpretativa e chiudo: solo chi governa in modo sussidiario da tempo può permettersi di lanciare un’alleanza orizzontale credibile per transizioni giuste, a livello sia locale che nazionale. Difficilissimo è saper lavorare al tempo stesso politicamente (in questo caso, anche partiticamente) e ambientalmente su questa alleanza: la sensazione è che su Bologna le aspettative siano, a questo proposito, altissime.

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Immagine di copertina: Strolicfurlan su Flickr