Pubblichiamo la tesi di dottorato della Dott.ssa Elisa Caruso, dal titolo “Verso nuove forme di comunità. Un approccio sperimentale per la pianificazione di area vasta“. In tale lavoro di ricerca si parte dalla considerazione che le più importanti sperimentazioni innovative di pianificazione partecipata avvengono su scala locale. Il problema che si pone è quello di riuscire a perseguire la stessa sintonia collaborativa anche a livello regionale e subregionale, ossia nella pianificazione di area vasta. L’autrice prova a rispondere a questa domanda attraverso una ricerca multidisciplinare comparativa tra casi studio e ricerca-azione.
La pianificazione partecipata e le sue criticità
Il percorso di ricerca evolve in un contesto globale di crisi caratterizzato da un clima di forte sfiducia verso le istituzioni: le profonde trasformazioni sociali e culturali in atto dal XX secolo si sono ulteriormente accresciute a causa delle nuove disuguaglianze emerse con l’emergenza sanitaria da Covid-19 e con i più recenti conflitti. La pianificazione, in questa cornice, ha sempre più il compito di individuare le possibili traiettorie di cambiamento e la disciplina urbanistica può essere dunque interpretata come strumento di innovazione, atto a costruire politiche pubbliche coerenti per la società contemporanea.
Le riflessioni sulla pianificazione partecipata, inoltre, vedono rilevanti pareri in contrapposizione in merito al deficit di efficacia della partecipazione e al ruolo delle istituzioni e della Pubblica Amministrazione (PA) all’interno del processo di pianificazione. Sebbene vi sia parere unanime sulla necessità dell’attuazione di una governance multilivello attraverso processi di pianificazione partecipativa, dalla disamina della letteratura emergono posizioni divergenti. Nel campo degli studi sulla pianificazione partecipata, alcuni autori sostengono che la stagione della partecipazione sia arrivata alla sua maturazione, non rappresentando più l’evoluzione della società e risultando poco efficace nelle pratiche urbanistiche; ovvero che costituisca sempre più un fatto meramente procedurale, non più capace di coinvolgere i cittadini nel lungo periodo. In aggiunta l’insoddisfazione dei partecipanti molte volte è data dalle scarse ricadute dei processi sulle politiche pubbliche. Nonostante le timide attività di monitoraggio a conclusione dei processi, spesso gli abitanti non riescono a vedere concretizzarsi le loro istanze in politiche o le loro progettualità in interventi operativi, confermando così un effetto di disempowerment.
Negli oltre dieci anni di esperienza di ricerca-azione nell’ambito della pianificazione partecipata, ho avuto modo di osservare alcuni elementi di criticità dei processi partecipativi e della perdita di fiducia nel rapporto tra cittadini ed istituzioni; osservazioni che mi hanno indotta a individuare alcune problematiche: un ingaggio generativo della cittadinanza non duraturo nel tempo e la rottura delle relazioni tra i gruppi sociali e le istituzioni. Gli elementi di criticità e le riflessioni argomentate nella tesi sono dunque il frutto di un lungo percorso di ricerca e di indagine sul campo.
L’attuale geografia della partecipazione ci mostra uno scenario articolato: se da un lato si assiste ad un’istituzionalizzazione dei processi, divenuti spesso puro esercizio teorico a completamento della pianificazione urbanistica, dall’altro si osserva un’importante parte della cittadinanza che sta sperimentando nuove forme di democrazia dal basso.
In questo contesto emerge la forte asimmetria tra le domande che arrivano dal basso e le risposte istituzionali spesso calate dall’alto. Soprattutto quando esse abbracciano il livello sovralocale e di area vasta.
È in tale cornice che questa ricerca tenta di perseguire un’alternativa fondata su un approccio collaborativo fra gli attori.
Il ripensamento dei ruoli della comunità nella pianificazione di area vasta
Se le esperienze di pianificazione partecipata sono riuscite, non sempre con i risultati auspicati, a far calare sul territorio le politiche pianificatorie a scala locale coinvolgendo le comunità, risultano invece evidenti le difficoltà di trasporre le idee collettive alla scala territoriale e di istaurare una sintonia collaborativa tra istituzioni e comunità a livello regionale e subregionale.
Dove le pratiche di coinvolgimento sono risultate efficaci nel processo di costruzione di un piano urbanistico, emerge distintamente il forte gap nel salto di scala e nel ripensamento dei ruoli delle comunità e delle istituzioni all’interno delle forme innovative di pianificazione collaborativa di area vasta.
In questo contesto emergono con forza due elementi: lo scollamento profondo tra gli attori – cittadinanza attiva e istituzioni – e l’incapacità della PA di rinnovarsi e di trasferire le istanze della cittadinanza in politiche ed azioni, dalla pianificazione locale a quella di area vasta.
Se a livello locale, infatti, alcune istituzioni sono riuscite ad entrare in relazione con la cittadinanza attiva e ad innescare ‘buone pratiche’, anche grazie all’impegno di Sindaci ed Assessori, come è possibile concretizzare una dimensione collaborativa tra comunità ed istituzioni capaci di costruire visioni condivise nella pianificazione di area vasta? Queste pratiche possono influenzare le istituzioni generando un processo di innovazione?
Per rispondere a queste domande la tesi propone di far riferimento a strumenti di soft governance come i Contratti di Fiume (CdF) come campo di osservazione e di indagine per analizzare il rapporto tra comunità ed istituzioni, oltre che per verificare quali impatti concreti questi processi generino sulla governance.
La tesi evolve da una ricerca multidisciplinare comparativa tra casi studio e ricerca-azione. Una parte sostanziale dei dati proviene dalle attività di lavoro sul campo e di ricerca-azione e dall’osservazione degli attori durante i processi partecipativi.
Nella scelta dei casi studio ho tenuto conto di specifici criteri di selezione, pertinenti rispetto alle domande da cui muove la ricerca, quali: l’approccio innovativo del processo di costruzione del percorso; la partnership dell’Università; il ruolo della cittadinanza attiva e delle istituzioni; la capacità di organizzazione della comunità e l’impatto concreto che tali pratiche hanno su società ed istituzioni.
Sono stati individuati due casi italiani: il Contratto di Fiume Ombrone in Toscana ed il Patto di Fiume Simeto in Sicilia.
Obiettivo di questa ricerca è definire un approccio di prossimità relazionale tra comunità e istituzioni che apre alla sperimentazione di una nuova stagione per la pianificazione di area vasta, attraverso la destrutturazione del pensiero di partecipazione formalizzata ed innescando un nuovo concetto di coinvolgimento attivo, in cui l’attivazione di una comunità in partnership con l’università contribuisce ad alimentare un processo di innovazione istituzionale.
Il contesto teorico: evoluzione dei processi di pianificazione e pratiche innovative
Gli argomenti trattati nella parte teorica si possono dividere in tre assi tematici che si intrecciano costantemente anche nella parte empirica e nell’analisi dei casi studio.
Il primo asse tematico affronta i cambiamenti profondi che stanno investendo i sistemi democratici: la crisi della democrazia, che si impernia sulla convinzione che la concentrazione di potere attraverso la delega e la rappresentanza sia sufficiente per mantenere la relazione tra istituzioni e società, e la perdita di fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Nella ricostruzione del contesto teorico il tentativo è stato infatti quello di individuare dei punti di rottura utili a rinsaldare il legame di fiducia con le istituzioni.
Il secondo asse tematico propone una riflessione sull’evoluzione della partecipazione nei processi di pianificazione urbanistica attraverso un’indagine critica che si articola attorno ai seguenti punti: la standardizzazione delle pratiche partecipative, la mancata organizzazione delle comunità e la scarsa generatività dei processi ed il gap tra la scala locale e quella di area vasta. In questo senso superare la standardizzazione e la dimensione procedurale della partecipazione può significare anche prendere le distanze dalla cornice legislativa ed individuare degli strumenti alternativi, con l’obiettivo di garantire un ingaggio generativo della cittadinanza e duraturo nel tempo. In tale contesto sussistono alcune pratiche innovative attivate dal basso che stanno tentando di ricostruire legami, producendo uno spazio di tipo relazionale e sperimentando nuove forme di democrazia.
Il terzo asse tematico avanza una riflessione sul ruolo che la costruzione di nuove comunità consapevoli può avere nella pianificazione partecipata e nell’attivazione di pratiche di cittadinanza attiva.
Trasversalmente ad una lettura critica del concetto di comunità, e tentando di interpretare le teorie di Adriano Olivetti e di John Friedmann che propongono la struttura molecolare della comunità come l’elemento chiave per la costruzione di un nuovo modello di società e di pianificazione, la tesi mette in tensione la letteratura sul Community Organizing (CO) e sull’apprendimento collettivo allo scopo di indagare l’efficacia che quest’ultimo può avere nella costruzione di una comunità che si organizza.
Le indagini sul CO, in particolare, si sono concentrate sul metodo e sul processo di costruzione della comunità organizzata attraverso la letteratura di Saul Alinsky del 1971 e l’analisi di alcune esperienze italiane come quelle di educazione di comunità di Angela Zucconi. In particolare, l’indagine avanza su un’analisi comparativa tra i due modelli di azione sviluppati in Italia ed in America confrontando l’impostazione metodologica utilizzata dal CO di Alinsky – ed oggi applicato dalla rete internazionale di Industrial Areas Foundation (IAF) – e quella del lavoro di comunità di Zucconi.
Dopo le prime pratiche sperimentali di organizzazione di comunità promosse da Adriano Olivetti, Danilo Dolci e Angela Zucconi, il CO si sta oggi diffondendo sempre di più anche per la necessità di sviluppare una capacità di pressione sulle istituzioni e di riequilibrare le dinamiche di potere.
Il lavoro di disamina della letteratura inerente tre ambiti disciplinari (pianificazione partecipata, scienze sociali e scienze politiche) ha permesso di ricostruire un quadro teorico sul concetto di comunità ancorato alla pianificazione partecipata e alla costruzione di nuove forme comunitarie con una leadership diffusa, indagata attraverso la letteratura sul CO.
I Contratti di fiume come strumento esemplificativo di partecipazione su diverse scale
Nella parte empirica della tesi la ricerca tenta di indagare quale strumento di natura collaborativa può essere efficace per analizzare il ruolo degli attori coinvolti a diversi livelli (orizzontale e verticale) e alle diverse scale, proponendo come strumento di osservazione il CdF.
L’indagine all’interno delle esperienze pattizie e l’individuazione dei CdF, come strumenti esemplificativi, ha permesso di analizzare come le comunità che si costruiscono dal basso, si organizzano, e come la leadership locale sia capace di influenzare la società e le istituzioni.
Un processo di piano, anche a scala territoriale, che si basi su tali elementi ha la capacità di creare uno spazio collaborativo e di influenzare le istituzioni, generando un processo di innovazione.
Nella dimensione di prossimità che la tesi prospetta, l’interesse generale non viene più stabilito dagli amministratori e dai potere politici, dopo aver concertato ed esaminato i risultati della partecipazione, ma viene deciso in modo paritario tra amministrazione e comunità organizzata grazie ad una leadership collaborativa. Si tratta di una dimensione politico culturale in cui operano relazioni di reciprocità utili per instaurare legami stabili e per riequilibrare le dinamiche di potere.
Nella prospettiva di un approccio collaborativo di prossimità, gli strumenti di pianificazione sono interpretati come luoghi in cui far crescere la consapevolezza dei cittadini e delle istituzioni e formare la capacità politica di tutti.
La tesi propone un modello che determina il Place of Proximity (PoP), sostanziato in un processo ciclico, e replicabile, di apprendimento collettivo che ruota attorno a tre attori: comunità, università ed istituzioni che si concretizza anche grazie all’introduzione di alcuni elementi del CO.
Il PoP è presentato secondo una suddivisione in cinque fasi: 1) l’innesco; 2) l’ingaggio; 3) l’organizzazione; 4) l’apprendimento collettivo; 5) il visioning.
In questo senso è possibile attivare una dimensione collaborativa generativa se si avvia un processo di apprendimento collettivo che opera su due fronti: la comunità e le istituzioni. Una volta acquisita una conoscenza condivisa sarà possibile generare un potere diffuso attivando una rete capillare di relazioni sociali alla scala locale e territoriale. Includendo nel processo alcuni degli elementi del CO sarà dunque possibile raggiungere il co-power.
Ripartire dal sogno di Olivetti significa attualizzare il concetto di comunità concreta che parte dal basso e influenza i processi verso l’alto; è in questo senso che la ricerca propone di ripensare la comunità olivettiana nell’accezione della comunità organizzata che condivide potere, risorse, conoscenza e fiducia.
In questi termini che la comunità organizzata, generata da tale processo e sostenuta dall’università, può assumere un ruolo cardine per riequilibrare le dinamiche di potere ed innovare le istituzioni.
Mettendo in luce alcune delle attuali criticità della pianificazione partecipativa, la ricerca propone quindi un modello progressista di urbanistica che sperimenta un approccio di prossimità relazionale e che può contribuire ad accrescere una riflessione sulla sperimentazione di nuove forme di democrazia.
Il modello Place of Proximity (PoP)
Questo lavoro apre ad uno nuovo punto di vista sul ruolo degli attori che prendono parte ad un processo di pianificazione collaborativa ed indirizza l’analisi e l’elaborazione di un modello sperimentale, che vede evolversi la comunità di base in comunità organizzata e che genera uno spazio intangibile di prossimità relazionale al fine di collaborare con le istituzioni per co-creare visioni condivise di un futuro possibile.
La tesi innesca dunque prospettive di ricerca interessanti legate alla sperimentazione del modello PoP e tenta di fornire nuovi elementi di discussione sull’evoluzione della pianificazione urbanistica collaborativa e sulla costruzione di nuove forme di democrazia territoriale. In particolare, si propone di tracciare i presupposti per la costruzione di nuovi comportamenti che producono politiche ed approcci innovativi alla disciplina, adeguati al tempo di rinascita post emergenziale.
Si tratta di un approccio che può contribuire in maniera significativa a riposizionare e a rivedere alcuni procedimenti e passaggi dei modi di fare l’urbanistica contemporanea.
In conclusione, il modello PoP risponde all’esigenza che l’urbanistica italiana lavori con strumenti atti ad innescare una prossimità relazionale per governare il territorio secondo forme di reciprocità e di mutuo apprendimento tra istituzioni e comunità.
Foto di copertina: Fallon Michael su Unsplash