Le Case di comunità come occasione per lo sviluppo dei Patti di Collaborazione in ambito sanitario

Premessa

Come ormai noto a tutti i lettori della rivista Labsus, il Patto di collaborazione è l’accordo attraverso il quale uno o più cittadini attivi e un soggetto pubblico definiscono i termini della collaborazione per la cura di beni comuni materiali e immateriali […]. Una delle principali peculiarità del Patto di collaborazione sta nella sua capacità di coinvolgere soggetti, anche singoli […] gruppi informali, comitati, abitanti di un quartiere uniti solo dall’interesse nel promuovere la cura di un bene comune specifico […].
Da quanto detto, la caratteristica dei patti di collaborazione è proprio la capacità di “coinvolgere”, far “partecipare” soggetti singoli o associati, far collaborare cittadini con le istituzioni, creare relazioni intorno ad obiettivi comuni, in altre parole: creare legami di comunità.
Se i patti di collaborazione sono strumenti per costruire comunità, è possibile affermare, usando le parole degli addetti ai lavori, che essi rappresentano pienamente strumenti di “Community building”.
Oggi i riflettori sono tutti puntati sul tema della “Comunità”, soprattutto grazie al progetto di riforma della sanità territoriale previsto dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza, nonché dai decreti ministeriali attuativi e dalle norme regionali di recepimento, dove si parla più volte di “Ospedali di comunità”, “Case di Comunità” e “Welfare di comunità”.
Il collegamento tra Salute e Comunità è ormai accertato da anni. Tant’è che esiste ampia letteratura, anche di livello internazionale, che conferma come il coinvolgimento della Comunità sia una strategia fondamentale per la promozione della salute. ”Più i membri di una comunità sono coinvolti nella progettazione, sviluppo e implementazione di attività volte a migliorare le loro vite (cioè co-produzione, potere delegato o controllo della comunità) e più è probabile che la loro salute migliori […], il coinvolgimento comunitario migliora gli outcome di salute” (Cfr. A. Zazzera, Definizione e finalità del community building, in F. Longo – S. Bersani, Community building: logiche e strumenti di management, Comunità, reti sociali e salute, Egea, 2021, p. 31, disponibile qui in open access)
La “salute”, intesa secondo la definizione che viene data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), non come assenza di malattia ma come stato di benessere fisico, mentale, sociale è uno dei beni comuni più importanti.
La cura del bene comune “salute”, attraverso i patti di collaborazione, che sono strumenti di community building, attiva sinergie interessanti con le Case di Comunità.
Sappiamo bene quanto la “Partecipazione” non sia scontata, e come questa parola, “Comunità”,  rischi di rimanere vuota. Anche perché ci troviamo in una fase storica in cui il capitale sociale disponibile è in progressiva riduzione, ed in cui la frammentazione e rarefazione delle relazioni sociali è in crescita. Tant’è che, come diretta conseguenza di quanto detto, osserviamo un aumento di  problematiche sociali e una  riduzione di coesione collettiva.
Le norme parlano di “Comunità”, ma rischiano di rimanere sulla carta se non accompagnate da strumenti che aiutino a costruire effettivamente tali Comunità.
Sotto questo profilo, la discussione in atto su questo tema, che sta coinvolgendo importanti reti sociali di livello nazionale, non può che essere considerata una grande opportunità. Ed infatti, quelle stesse strutture pubbliche che, nella maggior parte dei casi, sono orientate esclusivamente alla logica della “prestazione” o del “servizio”, in questo caso, sono sollecitate a riflettere sulla propria missione di community building. Per questo motivo, per i cittadini singoli o associati è il momento di fare squadra e chiedere con forza che le policy abbiano un approccio comunitario.

Normativa di riferimento

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, p. 224 ss.), nell’ambito della componente 1, Missione 6 “Reti di prossimità, strutture e  telemedicina  per l’assistenza sanitaria territoriale”, prevede un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale individuando, tra gli elementi di novità,  gli Ospedali di Comunità (1 ogni 100.000 ab.) e le Case di Comunità ( hub 1×50.000 ab. spoke 1x 50.000 ab.).  Per la regione Toscana si prevedono  23 Ospedali di Comunità e 70 Case di Comunità.
Più in particolare, con riferimento alle Case di comunità (n.d.r. di seguito CdC), il decreto ministeriale attuativo del 23 maggio 2022 n. 77, recita che “la Casa di Comunità […] costituisce un progetto di innovazione in cui la comunità degli assistiti non è solo destinataria di servizi ma è parte attiva nella valorizzazione delle competenze presenti all’interno della comunità stessa: disegnando nuove soluzioni di servizio, contribuendo a costruire e organizzare le  opportunità di cui ha bisogno al fine di migliorare qualità della vita  e  del territorio, rimettendo al centro dei propri valori le relazioni e  la condivisione.
A livello regionale, la Delibera del 19 dicembre 2022, n. 1508, che recepisce, per la Regione Toscana, le indicazioni del decreto ministeriale citato, dice chiaramente che l’eredità più profonda che ci lascia la pandemia COVID-19 è che “a bisogni complessi la risposta non può essere solo individuale ma deve agire nella dimensione collettiva e comunitaria. Accanto alla creazione di servizi solidi, continuativi e prossimi nel territorio, occorre attivare risposte di cura, assistenza e tutela più vicine alle persone in termini relazionali e comunitari”.
La stessa delibera, tra l’altro, riprende letteralmente il D.M. 77/2022, là dove recita che la CdC rappresenta non solo un luogo di collegamento con i servizi sociali ed il raccordo intersettoriale dei servizi in termini di percorsi e soluzioni, ma anche un “elemento di innovazione in cui la Comunità degli assistiti non è solo destinataria di servizi ma anche parte attiva nella valorizzazione delle competenze presenti all’interno della comunità stessa.
Sulla base delle norme richiamate, pertanto, la “Comunità”, insieme ai professionisti, è soggetto del cambiamento. Più in particolare, secondo uno studio a cura dell’Associazione “Prima la Comunità”, le  CdC, senza dubbio, “superando il concetto esclusivo di servizio e prestazione sanitaria, possono essere i luoghi dove valorizzare le diverse risorse dei territori far emergere e dare voce a quella ricchezza socialmente rilevante che è fatta di valori, storie, esperienze risorse la cui scoperta ed il cui intreccio sistemico ci permettono di guardare la realtà con occhi nuovi e immaginare che un altro modo di concepire il welfare è possibile” (p. 3).

Politiche pubbliche di Community Building

Affinché le CdC possano rappresentare un’opportunità e un’infrastruttura sociale, occorre, tuttavia, che la Comunità sia attiva sui territori. E purtroppo, lo abbiamo già detto, non sempre è così.
“Le evidenze empiriche dimostrano da anni che al crescere del capitale sociale una società risulta più resiliente e con tassi di sviluppo economico maggiore, ma siamo in una fase di riduzione progressiva del capitale sociale disponibile, da cui la necessità di attivare politiche pubbliche capaci di invertire questa tendenza e quindi di costruire comunità” (Cfr. F. Longo – S. Bersani, 2021, cit., p. 22, disponibile qui).
E’ implicito che le istituzioni pubbliche debbano erogare prestazioni/servizi necessari, ma la logica della prestazione e del servizio non può esaurire  la funzione che devono svolgere.
“Costruire Comunità è la finalità ultima delle istituzioni pubbliche che attivano servizi, regole, meccanismi ridistributivi per rispondere ai bisogni individuali e collettivi, con l’intento di riuscire a costruire la società” (cfr. ibidem, p. 21).
I cittadini attivi nella cura dei beni comuni ricostruiscono legami di comunità, producono coesione sociale, senso di appartenenza e senso civico. Poter sottoscrivere patti di collaborazione per la cura del bene comune “Salute” è funzionale al perseguimento della finalità indicata per le Case di Comunità perché diventino luoghi di innovazioneinfrastruttura sociale, rete di reti presenti nei diversi contesti, strumento fondamentale per valorizzare le potenzialità di ognuno” (V. Colmegna – F. Riboldi, 2021, cit., p. 11, disponibile qui).
Un esempio è il progetto realizzato in Valdarno: un percorso partecipativo condiviso da istituzioni pubbliche, ASL, associazioni del territorio, che ha portato il comune di San Giovanni Valdarno a sottoscrivere un patto di collaborazione denominato “reti di comunità di cura” con l’obiettivo proprio di realizzare una rete di prossimità di cura governata dalla Casa della Comunità.

Logo del Progetto realizzato in Valdarno (immagine condivisa da Nadia Garuglieri)

Conclusioni

Il progetto di riforma della sanità territoriale, come descritto dalle norme, vede nella “Comunità” il paradigma innovativo. La vera sfida è dunque quella di costruire Comunità.
Come sempre ognuno deve fare la sua parte: le istituzioni pubbliche devono assolvere alla loro finalità ultima, che è quella di costruire comunità (Community building), i cittadini singoli o associati, invece, devono essere consapevoli e stimolare/collaborare con le istituzioni pubbliche per non perdere di vista l’obiettivo.
Il Manifesto: “Terzo Settore, salute di comunità: la Casa della Comunità” sottoscritto anche da Acli, Cittadinanzattiva, CNCA, CSVNET, Forum Diseguaglianze e diversità, MOVI, Prima la Comunità,  tra le varie proposte,  prevede anche di:
Avviare nei territori un confronto serrato con le istituzioni che sul territorio sono chiamate a realizzare le Case della Comunità, a partire in primis dagli Enti Locali (ANCI) e dalle Aziende Sanitarie; tale confronto deve comprendere le scelte inerenti alle modalità di coinvolgimento e il ruolo assegnato alle risorse sociali nei territori di riferimento”.
Questo è l’impegno importante che dobbiamo assumere.

Nadia Garuglieri – Assessore al welfare e alla partecipazione del Comune di San Giovanni Valdarno dal 2019 al 2024.

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Immagine di copertina: geralt su Pixabay