Il lungo cammino dei Comuni italiani per favorire programmi di collaborazione con i cittadini parte anche dall'ampliamento delle competenze digitali nelle pubbliche amministrazioni

Dal 2011, l’iniziativa è cresciuta: gli 8 paesi di partenza sono diventati 64. In tutti questi paesi i governi e la società  civile stanno lavorando insieme per implementare ambiziosi programmi di governo.

Con il Decreto Trasparenza del Governo Monti anche l’Italia ha cominciato questo percorso. Bisogna dire che il decreto non nacque precisamente con l’intento di corrispondere a questa iniziativa internazionale, bensìsotto la pressione della società  civile italiana stanca di assistere passivamente al saccheggio della cosa pubblica da parte di esponenti dei partiti e delle istituzioni.
Il decreto è rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche del paese, compresi i Comuni che certamente rappresentano l’ente più vicino ai bisogni concreti dei cittadini. A questo livello di amministrazione il tema dell’accountability è cruciale. Tuttavia, a circa un anno dalla entrata in vigore del decreto, poco meno della metà  dei Comuni si dichiara in regola con gli obblighi di legge.

I Comuni sono in ritardo

Secondo l’agenzia giornalistica Ansa, a far più fatica sono soprattutto quelli con meno di 5.000 abitanti, che lamentano soprattutto la mancanza delle competenze necessarie per gestire la sezione trasparenza sul proprio sito.
E qui va detto che il tema delle competenze digitali nelle pubbliche amministrazioni è davvero diventato urgente.
Ne è consapevole anche l’Agenzia per l’Italia Digitale che tra le proprie funzioni proprio quella di promuovere e diffondere le iniziative di alfabetizzazione informatica rivolte ai cittadini e alle amministrazioni. Anche per questo, l’Agid ha varato delle linee guida per la diffusione di competenze digitali.
Anche i Comuni più popolosi, comunque, faticano a comprendere quali dati pubblicare e come organizzare la loro raccolta.
Il 76% dei Comuni ritiene che la diffusione dei dati aperti consentirà  una maggiore visibilità  sull’operato dell’Ente, ma sono in pochi a pensare che favorirà  anche la crescita del proprio territorio, ad esempio attraverso la nascita di nuove iniziative imprenditoriali.
C’è, poi, un dato preoccupante, molto probabilmente legato alla sfiducia di cui sopra: l’89% dei Comuni popola la sezione Trasparenza con file difficilmente modificabili. Insomma, sulla questione degli open data i comuni italiani sono ancora all’anno zero. Si tratta di un ritardo culturale importante, perché ormai l’esperienza internazionale dimostra che con la apertura delle istituzioni pubbliche e, ancor più, con la liberazione dei dati da esse gestiti si aprirebbero spazi enormi per lo sviluppo di attività  d’impresa e di innovazione sociale.

Processi partecipativi nelle città 

Quando, invece, si parla di coinvolgere i cittadini nella politica, il 72% dei Comuni con più di 10.000 abitanti afferma di aver attivato o voler attivare dei processi partecipativi.
In realtà , poi, meno di un Comune su due ha definito obiettivi, strumenti e regole per farlo, con percentuali notevolmente più basse per i Comuni di piccole dimensioni.  In questo ambito il regolamento per i beni comuni promosso da Labsus sarebbe uno strumento formidabile per realizzare i tre pilastri dell’Open Government (trasparenza, partecipazione e collaborazione) e per rendere sostanziale il traguardo della trasparenza per i comuni.

Comuni e social media

Bisogna infine aggiungere che i canali per comunicare con i cittadini sono ancora prevalentemente di tipo tradizionale: il 64% dei Comuni dichiara di non utilizzare nessun social network. Ancora una volta la dimensione dell’Ente sembra fare la differenza. Infatti, nel 2014, il 59% dei Comuni capoluogo ha attivato un profilo ufficiale su Facebook, il 28% in più rispetto al 2013, e il 63% ha un account su Twitter, con un incremento del 74% rispetto al 2013.
In molte esperienze internazionali (basterebbe pensare all’ormai noto esempio del comune di Chicago) il ruolo dei social media è decisivo per aprire le amministrazioni comunali al contributo dei cittadini per un più efficace governo dei beni comuni.
Insomma, siamo ancora all’inizio di un lungo cammino che i Comuni italiani devono completare per favorire programmi di collaborazione con i cittadini.

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