Ciò che più colpisce è la convinzione del console di agire per il bene della comunità , senza rendersi conto che, per dirla con le parole di Zagrebelsky, la piccola élite oligarchica cui appartiene si è fatta ” corpo separato ed espropria i grandi numeri a proprio vantaggio. Trasforma la res publica, in res privatae ” (Zagrebelsky, La Repubblica, 5 marzo 2011, La democrazia contro le oligarchie).
Eppure qualcosa di più si nasconde sotto la superficie, e saranno Johan e Lona, rispettivamente fratello e sorellastra della signora Bernick, a sollevare il velo dal mare di bugie su cui l’impero del console è stato costruito. La crescita individuale è quindi il vero fil rouge che accompagna il console Bernick nel corso di questo viaggio che lo porterà a mettere in dubbio i propri dogmi e a ribaltare i propri capisaldi.
Nei suoi cinquanta anni di fervida attività , Henrik Ibsen ha avuto il merito di essere sempre stato coerente con se stesso. Ciononostante, l’opera ” I pilastri della società ” ha rappresentato un virtuale spartiacque del teatro ibseniano, segnando il passaggio definitivo da una lirica romantica di sapore antico ad un più accentuato naturalismo a sfondo borghese. Il fine ultimo è quello di sondare nell’intimo i personaggi, i cui segreti, pregiudizi e ipocrisie sono i veri protagonisti sulla scena. Nelle parole di Henrik Ibsen, la condizione umana è paragonabile a quella di una nave, ai cui passeggeri apparentemente non manca nulla, ma in cui serpeggia il dubbio, la voce di un male segreto, che prende la forma suggestiva di un cadavere nella stiva. I protagonisti ibseniani hanno quindi uno scheletro nell’armadio, un segreto che dal passato li rincorre e da cui spesso invano cercano di liberarsi.
Gli scheletri nell‘armadio del console Bernick
La stimata e rispettabile vita del console Bernick poggia su una verità inconfessabile. Questa è la forza propulsiva che da avvio alla vicenda drammatica messa in scena da Ibsen. Da giovane, infatti, il console aveva messo fine alla storia d’amore con Lona Hessel, per fidanzarsi e poi sposarsi con la sorellastra di lei, Betty. L’amore non era stato certo il protagonista di questa unione; a spingerlo fu piuttosto la prospettiva di una vita agiata, grazie alla cospicua dote della moglie.
Tuttavia, la bugia che minaccia di distruggere la sua posizione sociale è ben più grave di un amore tradito per opportunismo. Dopo aver cominciato una storia clandestina con un’attrice locale e sul punto di essere scoperto dal marito di lei, il console Bernick capisce che se la verità venisse a galla, lui verrebbe relegato ai margini della piccola società in cui vive. Il cognato Johan come un deus ex machina risolve la questione addossandosi la colpa ed emigrando in America, insieme a Lona.
Una verità scomoda, che il console Bernick abilmente nasconde tessendo una ragnatela di bugie. Tutta la sua fortuna negli affari e nella società poggia su questo mare di menzogne che rischia di travolgerlo nel momento in cui a sorpresa sia Lona che Johan rientrano nella sua vita. A rischiare di andare a fondo, però, non è solo il console Bernick, ma anche coloro che lo circondano, diventando inconsapevoli vittime dei suoi inganni.
Henrik Ibsen costruisce il dramma offrendo agli ignari spettatori un indizio alla volta e lasciando che essi sentano montare dentro di sé una crescente avversione nei confronti del protagonista. Tutto sembra volto al peggio e la tragedia è alle porte. I rigidi dettami della società hanno avvolto nelle proprie spire tutti, o quasi, i personaggi che vediamo avvicendarsi sulla scena e la fine sembra inevitabile.
Le donne e la politica: il progressismo di Ibsen
Nel caso de ” I pilastri della società ” , sarà una donna a farsi portatrice di verità , di una ventata di aria fresca nell’ambiente chiuso e malsano del salotto borghese di casa Bernick. E’ un respiro che viene dall’esterno, in questo caso dalla lontana America, ed è incarnato nel personaggio di Lona, sorellastra della signora Bernick, e in misura minore dalla non convenzionale e giovane Dina, alla perpetua ricerca di persone ” non troppo serie e perbene ” . Fin dai primi tratti, Ibsen ci presenta Lona come una donna emancipata, libera dai dettami opprimenti di una società che imprigiona in una ” consona ” routine la vita dei suoi componenti. Ciò che però va sottolineato con forza è che Ibsen pose l’accento sulla libertà dell’individuo in quanto tale, più che farsi portavoce di avanguardia del nascente femminismo dell’epoca. Le figure femminili delle sue piéces sono figure forti o che divengono tali in corso d’opera, fatto che ha ovviamente scandalizzato la società benpensante dell’Ottocento e che ha indotto a più riprese la critica a vedere nelle sue opere il primo esempio di emancipazione femminile. Eppure, Ibsen è più di questo. E’ una domanda insistente, un’osservazione pungente che mette in dubbio gli assiomi di una società rigidamente costruita: è un coro di voci che si eleva per chiedere se è davvero questa la vita che vogliamo vivere. Le donne possono essere veicolo di cambiamento, ed è sulla scia di questa considerazione che Ibsen, per tramite del console Bernick, le innalza a pilastro della società . Sarà proprio Lona, però, a dare più ampio respiro alla riflessione e a dire ” Allora devi ancora imparare molte cose, caro cognato! No, vedi, il vero pilastro della società è lo spirito di verità e di libertà . ”
Lo spirito di libertà e verità
Il vero protagonista dell’opera I pilastri della società è quindi lo spirito di verità e di libertà , che sulle prime fa solo capolino tra una battuta e l’altra per bocca dei personaggi più intraprendenti, ma che nella conclusione irrompe violentemente sulla scena, lasciando sbigottiti pubblico e personaggi. E’ un lieto fine, se cosìsi può dire, inaspettato, soprattutto se pensiamo alle opere successive di Henrik Ibsen, ben più pessimiste riguardo alla reale possibilità dell’uomo di riuscire a liberarsi dalle regole silenziose che guidano la routine di ogni giorno. Forse, possiamo ravvedere in questa conclusione, a prima vista incoerente con lo sviluppo della trama, un’ultima traccia di romanticismo e di idealismo. Perché quello che conta davvero, più della fedele rappresentazione dell’intimo umano, è l’invito al cambiamento che Ibsen ha lasciato ai posteri ad imperitura memoria.
E’ qui che deve innestarsi una profonda riflessione sul ruolo dello spirito di libertà e verità nel mondo di oggi. Un ruolo fondamentale che non deve però attivarsi dall’alto, ma promanare dal senso civico diffuso dei cittadini, o meglio, dall’applicazione concreta della sussidiarietà orizzontale, quale strumento per garantire la libertà e l’autonomia della società civile nella gestione della res publica.
La sussidiarietà quindi diventa il mezzo prescelto di una società davvero democratica per abbattere il male che si annida in essa, ovvero il rischio della degenerazione in oligarchia. Perché sussidiarietà in sé significa ” impegno solidale e responsabile di molti a vantaggio di tutti. E’ la capacità di far coincidere gli interessi privati con l’interesse generale. E’ l’uso di risorse private per procurare vantaggi a tutti, prendendosi cura dei beni comuni ” (Arena, Labsus, 8 marzo 2011, La sussidiarietà come contrappeso al potere oligarchico).
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