Nel corso dei decenni a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale l’uso del termine ” partecipazione ” ha assunto un significato via via più complesso entro le retoriche politiche. Vediamo di esplorarne brevemente i cambiamenti. Attorno agli anni Settanta in Italia, ma anche in Francia o negli Stati Uniti, la parola partecipazione assumeva un senso collegabile alla militanza entro i movimenti sociali che spingevano per un diverso modello di società , necessariamente propugnato ” dal basso ” , proprio attraverso la partecipazione collettiva al cambiamento. Gli anni Ottanta, invece, si caratterizzarono per un oblio generale del tema e delle pratiche ad esso connesse ed una tendenza generale allʼimpegno in ambito prevalentemente individuale piuttosto che collettivo.
Lʼaccezione di partecipazione come specifica configurazione del rapporto tra cittadini ed istituzioni teso alla tutela della res pubblica comincia a diffondersi solo successivamente; è infatti a partire dagli anni Novanta che si fa largo lʼidea che la partecipazione possa entrare a far parte degli strumenti di policy attraverso nuovi modelli di governance.
Da quel momento, i processi partecipativi sono stati progressivamente integrati nelle arene decisionali, richiedendone in molti casi una trasformazione. Esemplificative di tale cambiamento di paradigma sono le teorie sulla democrazia deliberativa e partecipativa che, ispirandosi agli esperimenti di budget partecipativo realizzati in America Latina tra gli anni ’80 e ’90 si sono successivamente diffuse su larga scala, rappresentando dei modelli volti ad integrare, piuttosto che contrapporre, l’attivismo politico con i processi di policymaking.
Tale evoluzione è da ascriversi in parte alla complessificazione ed ai cambiamenti sociali occorsi negli ultimi decenni che hanno evidenziato l’obsolescenza dei modelli di amministrazione centralizzati e burocratico-centrici.
Uno sguardo al rapporto tra attivazione e partecipazione
Lo sviluppo e diffusione dei modelli di amministrazione partecipata può esser visto proprio come un tentativo di gestire tale complessificazione attraverso l’inclusione degli attori sociali nei processi di progettazione e formulazione delle scelte. A ben vedere, si tratta di un cambiamento legato proprio alla necessità di far fronte ad un contesto che non sembra più conformarsi in maniera lineare alle premesse dellʼazione pubblica da cui origina la necessità di includere tale complessità entro i processi decisionali.
Dai bilanci partecipativi, passando per le giurie cittadine, fino al modello dell’amministrazione condivisa, si fa largo una visione simmetrica del rapporto tra cittadini e istituzioni, dove l’efficacia della seconda è legata al coinvolgimento dei primi. Ne consegue che per stimolare la partecipazione una dimensione trasversale agli approcci inclusivi è l’attivazione della cittadinanza. Attivazione che si fonda su basi diverse rispetto alla partecipazione militante nei movimenti sociali.
In primo luogo si tratta di una partecipazione che non mira a sovvertire le istituzioni ed i valori di cui esse sono espressione. Al contrario, nei processi partecipativi si prevede che i cittadini si attivino proprio in un percorso inverso: nella gestione del territorio assieme alle istituzioni, ovvero una forma di collaborazione che rappresenta proprio il tratto distintivo di tale innovazione e che tende ad una costruzione condivisa dei valori.
Attivare i cittadini significa, in altri termini, stimolarne il coinvolgimento diretto nei processi di gestione della cosa pubblica, laddove la partecipazione è una condizione indispensabile per elaborare processi inclusivi e condivisi. Proprio a tal fine, lo sviluppo di specifici dispositivi e normative volti a favorire la collaborazione tra cittadini ed amministrazioni è in continua crescita e diffusione.
La spinta individuale e collettiva alla partecipazione
Tuttavia, seppur condizione fondamentale per la costruzione di processi partecipativi, la predisposizione delle condizioni normativo-strutturali non è di per sé garanzia di un effettivo coinvolgimento dei cittadini. In altri termini, si pone la necessità di attivare i cittadini affinché arrivino ad implicarsi direttamente nei percorsi partecipativi, a partire dall’assunto che l’introduzione o prescrizione normativa tout court di un dispositivo non sempre corrisponde ad un effettivo coinvolgimento pubblico nei processi decisionali.
Più in particolare, occorre intervenire entro i processi che determinano la spinta individuale e collettiva alla partecipazione. Tali processi sono di natura prettamente psicosociale, ovvero attengono alle relazioni sociali ed ai processi psicologici che le organizzano.
Infatti, più in linea generale, si può sostenere che il significato di cui si investe la realtà viene costruito, condiviso e organizzato in rappresentazioni collettive, proprio per mezzo delle relazioni sociali. La cultura di un gruppo può esser vista proprio come l’insieme di tali rappresentazioni, che a loro volta si compongono di categorie atte a dare senso alla realtà in cui il gruppo è inscritto. Tali categorie vengono costantemente negoziate in maniera dichiarativa ma soprattutto implicita nei rapporti sociali, presiedendo ricorsivamente il senso che gli individui attribuiscono agli eventi.
In questo senso, gli eventi, gli oggetti ed i fenomeni di cui la realtà si compone vengono significati in maniera del tutto specifica, proprio in ragione delle particolari configurazioni psicologiche delle relazioni che caratterizzano un gruppo. Ogni gruppo poi, in virtù di una specifica storia che lo contraddistingue, organizza categorie di senso del tutto particolari e per certi versi uniche, in quanto ascrivibili alla propria specifica storia ed esperienza della realtà .
Da questo punto di vista, la stessa partecipazione ai processi decisionali assume un senso specifico da contesto a contesto, proprio in virtù della particolare cultura (e sistema di convivenza) entro cui viene categorizzata. L’attivazione dei cittadini è dunque funzione del senso che essi precipuamente attribuiscono al partecipare.
Non intervenire su tali aspetti, significa correre il rischio di identificare tra loro obiettivi e strumenti della partecipazione, forzando l’attivazione dei cittadini entro proposte valoriali che, in quanto tali, non insistono sulle determinanti psicosociali soggiacenti. In altre parole, potrebbe verificarsi una condizione paradossale dove si vuole realizzare partecipazione (obiettivo) prescrivendo partecipazione (strumento) esulando dal trattare i processi che intervengono nella riproduzione della fenomenologia.
Una possibile conseguenza di tale identificazione obiettivi-strumenti è la forzatura del processo entro una cornice ideologica e valoriale, con diverse possibili conseguenze. Come ad esempio che i cittadini partecipino unicamente sulla base di una condivisione valoriale del processo o che, al contrario, si rifiutino di partecipare se non ne condividono tali presupposti ideologici. Seppur esposti in maniera semplificata, entrambi i casi evidenziano come la dimensione valoriale-ideologica si sostituisce alla finalità generale dei processi inclusivi, ovvero lo sviluppo in termini di efficacia delle politiche pubbliche.
Come il contesto sociale influenza il senso di partecipazione
A partire da tali premesse, partecipare, assume la connotazione di un evento che non rimanda ad un senso univoco e generalizzabile. Le sue stesse finalità non sono del tutto intrinseche ed auto-evidenti. Al contrario, la partecipazione assume significato e fini precipui proprio in rapporto al contesto di convivenza entro cui viene inscritta (già nel primo paragrafo si è fatto un esempio in questo senso in rapporto al diverso significato assunto nel corso dei decenni), in quanto significata attraverso rappresentazioni e categorie situate in uno specifico contesto culturale.
Per attivare i cittadini dunque, assume centrale importanza l’intervenire nelle relazioni, perché è attraverso di esse che viene elaborato, condiviso e replicato il senso del partecipare da contesto a contesto. Relazioni non solo interne alla cittadinanza ma anche tra cittadini ed amministrazioni, in quanto la partecipazione si connota proprio come un particolare assetto di tale rapporto.
Torniamo per un attimo al tema della complessità contestuale dell’attuale momento storico. Assieme ed in ragione dei cambiamenti storici in corso, essa attiene ad un rinnovato sentire sociale, non più omogeneo e prevedibile, ma frazionato e distribuito in molteplici universi di senso. E’ proprio attraverso l’intervento entro tali universi di senso che sarà possibile traguardare allo sviluppo del rapporto tra cittadini ed amministrazioni,verso la costruzione di processi partecipativi attenti alla complessità contestuale.
Quanto finora argomentato porta a mettere in luce l’importanza di affiancare all’intervento sulle condizioni strutturali quello entro i processi psicosociali soggiacenti. Intervento che peraltro implica, per chi se ne fa promotore, l’assunzione di responsabilità nei confronti dei cambiamenti che attualmente attraversano le nostre società . Cambiamenti che mettono in discussione alcuni degli assetti più profondi dei sistemi sociali contemporanei, rispetto ai quali la scienza e la ricerca, anch’esse in una fase di forte criticità , possono proporsi come importante fattore di sviluppo.
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