Il giornalismo e la manutenzione delle parole

Le parole possono essere muri o ponti; possono creare distanza o aiutare la comprensione dei problemi

Le autrici di questa inchiesta giornalistica e sociale sulla lingua italiana e sulla comunicazione pubblica hanno ritenuto necessario effettuare una manutenzione delle parole, in particolare di quei termini utilizzati, e spesso abusati nelle cronache quotidiane, per raccontare e descrivere tematiche particolarmente sensibili.

Disabilità , genere e orientamento sessuale, immigrazione, povertà  ed emarginazione, prostituzione e tratta, religioni, rom e sinti, salute mentale; questi gli otto capitoli in cui è diviso il volume.
Redattore Sociale ha realizzato la prima guida italiana per imparare a comunicare senza discriminare, rispettando la dignità  degli individui, dei gruppi e delle professioni di una società  sempre più articolata e multiforme.

Chiamare le “cose” con il proprio nome

Clandestino, immigrato, profugo, migrante, rifugiato, extracomunitario, o richiedente asilo?
Che termine utilizzare?

Dipende, perché queste parole non sono sinonimi, e non si tratta nemmeno di essere più o meno politically correct, ma di dare il giusto nome alle “cose”. Ad esempio la parola clandestino, diffusa nell’uso comune dopo essere apparsa in maniera ossessiva sui giornali e nelle dichiarazioni dei politici per indicare lo straniero che entra o soggiorna in un Paese in violazione delle leggi sull’immigrazione, non corrisponde ad alcuna condizione giuridica. Per la legge il “clandestino” non esiste, cosìcome il reato di “clandestinità “, la parola non è presente nel testo della legge Bossi-Fini; il termine esatto è migrante irregolare.

Le tre autrici del volume analizzano e ripercorrono la storia di 25 parole chiave a cui se ne legano quasi 350, tra espressioni potenzialmente offensive come “persona di colore” e neologismi bizzarri come “diversamente abile”.

Nel libro sono raccolti anche dei titoli di giornali, siti internet, riviste ecc. che rappresentano un uso scorretto, ma non sempre inconsapevole, delle parole.

Manutenzione civica delle parole

Per “parlare civile”, per evitare di usare espressioni che provochino dolore o sofferenza ai soggetti interessati, è indispensabile utilizzare le parole con precisione e consapevolezza. Questo lavoro di indagine, indispensabile per i professionisti della comunicazione troppo spesso autori di notizie distorte e offensive, ha come destinatari anche i comuni cittadini che attraverso la rete sono diventati a tutti gli effetti dei comunicatori pubblici.

La manutenzione delle parole dovrebbe essere un lavoro costante portato avanti anche dai singoli cittadini che decidono di utilizzare in modo responsabile il linguaggio, riuscendo al tempo stesso a riconoscere quando una comunicazione è sbagliata, o volutamente distorta.

Le parole possono essere muri o ponti; possono creare distanza o aiutare la comprensione dei problemi; le parole non sono suoni ma rappresentano una cultura.

A cura di Redattore Sociale, Parlare civile. Comunicare senza discriminare, Bruno Mondadori, 2013