I tagli alla spesa pubblica imposti dai tempi di crisi hanno di fatto imposto notevoli limiti di azione a Comuni e Municipi, soprattutto al momento di redigere la propria politica di bilancio. Cosìil pubblico ha finito con il ritirarsi dalla gestione dei servizi sociali delegando il compito a soggetti terzi quali associazioni di volontariato e Terzo Settore. Questo passaggio di competenze ha finito con il travisare il principio di sussidiarietà cosìcome pensato e sancito nell’articolo 118 della Costituzione: laddove si prefigurava un momento di compartecipazione tra pubblico e settore privato si ha invece una vera e propria sostituzione da parte di un privato che si ritrova a gestire servizi “per conto” di enti pubblici sempre più assenti e residuali.
In questo senso i primi segnali si ebbero già negli anni duemila, poi confermati dalle previsioni del Patto di stabilità interno dei Comuni, il cui duplice obiettivo era proprio quello di ridurre il personale e ridimensionare i servizi pubblici locali. I dati supportano la tesi: i dipendenti oggi vengono reclutati tramite contratti a termine e ad alta flessibilità , a sottolineare il carattere di accessorietà del lavoro. I numeri più negativi si registrano nelle regioni del Nord-Est, come Liguria ed Emilia Romagna, mentre la Valle d’Aosta e l’Abruzzo si distinguono positivamente per un aumento del personale di certo controtendenza.
I dati annunciano inoltre che ormai solo il 42 per cento dei servizi sociali sono gestiti direttamente dai Comuni, mentre per la maggior parte sono trasferiti all’esterno tramite affidamenti diretti o selezioni pubbliche ristrette, che escludono principi di concorrenza ed equità in favore di procedure negoziate.
Questa esternalizzazione dei servizi permette di risparmiare sulla spesa sociale, dal momento che tali associazioni e organismi privati si basano su prestazioni volontarie non retribuite, ed è un’occasione imperdibile soprattutto in un periodo in cui sta emergendo una nuova domanda sociale, volta a sollecitare un “utilizzo più attivo del territorio”. La domanda è variegata e va da bisogni socio-sanitari e di spostamento sul territorio a bisogni di compagnia e socialità , in primis da parte di anziani in condizioni di parziale o totale non autosufficienza. In ogni caso la varietà dei bisogni trova una risposta comune nel silenzio delle istituzioni pubbliche a fronte invece dell’apporto di soggetti terzi privati.
Tuttavia, evidenzia il presidente nazionale dell’Auser Michele Mangano, tale impegno e contributo fondamentali non sono opportunamente riconosciuti: manca infatti una cornice di regole che assicuri e consenta di sviluppare ad associazioni e imprese sociali il proprio ruolo e il proprio spazio nell’ambito della programmazione sociale e del principio di sussidiarietà orizzontale. Le stesse convenzioni tra enti locali e privati non prevedono infatti procedure di co-progettazione che promuovano la partecipazione dei privati alla programmazione dei lavori sul territorio: in questo modo si limita l’apporto qualitativo del loro contributo, che può invece implementare ed innescare politiche sociali più sensibili alle nuove e dinamiche necessità socio-demografiche e territoriali.
Sulla stessa linea solo il 45 per cento dei Comuni nel 211, si legge nel rapporto, ha riconosciuto ruolo e funzione del volontariato fornendo delle linee guida ai propri operatori; e solo un comune su quattro ha poi reso operative le consulte e gli altri organismi rappresentativi del volontariato.
Il rapporto Auser ci pone di fronte ad un bivio, alla scelta tra due modi di intendere la sussidiarietà orizzontale. Da un lato resta l’opzione di un “welfare residuale” che limita l’intervento dello Stato al solo caso della necessità per mancanza o insufficienza di risorse delle reti primarie (quelle familiari e comunitarie); dall’altro c’è il “welfare a responsabilità diffusa” che punta invece sulla collaborazione tra Terzo Settore ed Ente pubblico, ognuno secondo le proprie funzioni e possibilità . Questa via è realizzabile a patto che si metta Terzo Settore e Volontariato nelle condizioni di essere indipendenti e di svolgere il proprio ruolo di “moltiplicatori di risorse”: la loro vera vocazione non è quella di essere meri erogatori di servizi ma di fare da trade d’union tra reti territoriali e risorse del pubblico, condividendo il valore e la missione sociale del Welfare State invece di farne le veci.