A distanza di alcuni mesi dall'approvazione del regolamento, Labsus intervista Valeria Montanari, l'assessore all'Agenda digitale, alla Cura dei quartieri e alla Partecipazione

Lo sforzo degli assessori è stato quello di costruire un metodo di cittadinanza attiva capace di aderire efficacemente alle particolarità  del tessuto cittadino reggiano. Viene, così, strutturata la disciplina dei laboratori di cittadinanza, ossia dei processi di cooperazione fra i cittadini e l’amministrazione comunale.  A partire dalle segnalazioni e dalle esigenze del territorio, si procede ad una fase di co-programmazione fra privati cittadini, formazioni sociali ed esponenti amministrativi comunali, per un controllo di fattibilità  delle proposte di soluzione. Si arriva, poi, all’elaborazione dell’Accordo di cittadinanza, che deve superare il vaglio della Giunta comunale e l’esame dei consiglieri comunali. Con la firma dell’accordo, amministratori locali e cittadini sottoscrivono i reciproci impegni. Questi vengono continuamente controllati nella fase d’attuazione. Interessante è come il regolamento sia stato pensato sulla base della divisione della città  in quartieri, aree di riferimento dove si semplifica il dialogo fra abitanti e istituzioni e il monitoraggio dei lavori.

L’intervista a Valeria Montanari

A distanza di alcuni mesi dall’approvazione del regolamento, Labsus intervista Valeria Montanari, l’assessore all’Agenda digitale, alla Cura dei quartieri e alla Partecipazione.

Perché è stato adottato il regolamento?
Il regolamento dei laboratori di cittadinanza è stato adottato poiché il comune di Reggio Emilia vede l’abrogazione delle circoscrizioni come istituzione decentrata, in quanto città  al di sotto dei 250mila abitanti. Con l’insediamento della nuova giunta nel giugno 2014 abbiamo deciso, come da programma elettorale, di ripensare alla gestione del decentramento con una visione molto orientata alla partecipazione dei cittadini e delle cittadine, per non limitarlo ad un mero obbligo istituzionale. Ci siamo inventati un nuovo processo, denominato QUArtiere Bene Comune – siamoQUA, che ha messo al centro un intervento di lettura fenomenologica nei quartieri e nelle frazioni (interveniamo là  dove già  succedono cose e ci sono progetti, oppure dove ci arrivano forti richieste da parte dei cittadini): co-progettiamo, con i portatori di intesse tradizionali e con le persone che hanno voglia di impegnarsi per il proprio quartiere, idee e soluzioni e le andiamo a realizzare assieme a loro dopo la sottoscrizione di un accordo di cittadinanza. Sono loro che le propongono e, insieme, proviamo a realizzare quanto possibile. Abbiamo suddiviso la città  in 19 ambiti territoriali, più del doppio delle tradizionali circoscrizioni e abbiamo istituito una nuova figura professionale all’interno del comune, l’architetto di quartiere. Il suo compito è rafforzare le relazioni con il territorio e densificare i quartieri di piccoli progetti su due assi di intervento: cura della città  (manutenzioni e piccoli interventi infrastrutturali) e cura della comunità  (tutti quei progetti che servono a rafforzare relazioni di comunità ). Il regolamento dei laboratori di cittadinanza serve a normare questo processo secondo regole condivise, votate in sede istituzionale.

Qual è stata la reazione dei cittadini?
A partire da ottobre/novembre 2015, ad oggi abbiamo realizzato 7 accordi di cittadinanza, che diverranno 10 entro la fine del 2016. Nel frattempo, apriremo altri 3 percorsi per arrivare agli accordi in altrettanti ambiti della città . I cittadini partecipano a questi percorsi fatti di incontri, tavoli di lavoro, raccolta di proposte, loro realizzazione, assieme al personale del Comune e gli amministratori. Ad oggi la soddisfazione tra i cittadini è diffusa: hanno partecipato ai percorsi circa 600 persone sui 10 ambiti ‘aperti’ fino ad ora (di cui 7 con accordo già  sottoscritto). E’ un modo di lavorare sperimentale, che ha permesso l’avvicinarsi alle attività  di quartiere di persone che non avevano mai lavorato con l’amministrazione.

Quali sono le difficoltà  nell’attuazione del regolamento?
Il regolamento è sperimentale: si ispira al Regolamento dei beni comuni di Bologna, ma è stato rielaborato e ha preso una declinazione fortemente reggiana, connaturata al nostro sistema di volontariato formale e informale distribuito sul territorio. Come anche specificato nell’articolato, è nostra intenzione rivederlo ad un anno dall’approvazione, per fare un bilancio dell’utilità  di attuazione e, magari, sistemare qualche passaggio. Siamo ancora in una fase che definirei ‘di rodaggio’.

Quali sono i risultati già  ottenuti in seguito all’adozione del testo?
I 7 laboratori sfociati nell’accordo, le modalità  di attuazione informali ma tutte dettagliate nel regolamento, una forte volontà  di collaborazione dettata da un messaggio molto chiaro sulla coprogrammazione con cittadini e associazioni degli interventi e dei progetti pattuiti insieme.

Quale aspetto del regolamento è degno di nota o la colpisce maggiormente?
Credo l’inclusività : ci sono accordi di quartiere stretti tra istituzioni pubbliche territoriali locali, statali, privati cittadini, imprenditori, esercizi commerciali, parrocchie, centri sociali, associazioni di volontariato, il bar della frazione. Costruire le condizioni perché questo avvenga in un unico accordo che tutti i soggetti citati sottoscrivono, credo sia un unicum nazionale. C’è un grosso sforzo di mediazione e volontà  partecipativa allargata che si concretizza in progetti realizzati, in breve tempo e con un discreto successo. La chiave di lavoro è la fiducia riconquistata dei cittadini che partecipano.

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