Appalti pubblici preclusi per le associazioni di volontariato?

àˆ opportuno rimettere all'adunanza plenaria del consiglio di stato la questione dell'ammissibilità  delle associazioni di volontariato alle gare pubbliche

Conferma dell’orientamento del TAR Piemonte

Il TAR Piemonte ribadisce con la decisione in esame la sua contrarietà  alla partecipazione di soggetti non-profit a procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione di contratti di servizi con pubbliche amministrazioni. La decisione segue quanto stabilito dai precedenti in materia dello stesso Tribunale in casi simili , tanto che il collegio si pronuncia adottando motivazioni semplificate, ai sensi dell’art. 9 della legge 25 del 2, ritenendo manifestamente fondato il ricorso e recependo le motivazioni delle sentenze richiamate. Nel caso considerato l’aggiudicazione da parte di un consorzio intercomunale a favore di un’associazione di volontari veniva impugnata da una società  cooperativa sociale che lamentava, tra gli altri motivi di ricorso, la violazione delle norme nazionali e regionali in materia di associazioni di volontariato, soprattutto per ciò che attiene alla compatibilità  tra il modello organizzativo e gestionale proposto dalla legge per dette associazioni e la prestazione di servizi in regime di attività  economica di impresa.
In via preliminare, è utile ricordare che nella legge 266 del 1991 non esiste un divieto espresso per le associazioni di volontariato alla partecipazione di gare d’appalto. Ciò nonostante, in base a molte recenti pronunce, il divieto sarebbe desumibile in via sistematica dalla natura stessa delle associazioni di volontariato, i cui proventi potrebbero provenire da ” attività  commerciali e produttive marginali ” (il riferimento è all’art. 5 della legge) ma non da proventi derivanti da attività  esercitate a scopo di lucro e soggette alla logica di mercato, che costituirebbero ambito riservato agli enti con finalità  di profitto. Prova ne è anche il fatto che tali attività  ” commerciali e produttive marginali ” devono essere svolte ” senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità  sul mercato ” come prescritto dal d.m. 21.5.1995 emanato in attuazione della delega contenuta nella stessa l. 266/1991; mentre, secondo il ragionamento cui fa espresso rinvio la decisione in esame, la professionalità  del servizio da rendere è incompatibile con il modello organizzativo dei soggetti non-profit . Ulteriore argomento interpretativo utilizzato dai giudici piemontesi nei precedenti è la considerazione che il regime di favori di cui godono le associazioni di volontari sotto il profilo fiscale e contributivo non potrebbe non alterare i normali parameri concorrenziali e sarebbe quindi incompatibile con una gara pubblica .

Le oscillazioni della giurisprudenza

Di contrario avviso si registra una serie di decisioni che sono favorevoli alla partecipazione di soggetti non-profit alle gare di appalto. Secondo questo filone interpretativo, che fa leva sul ruolo assegnato agli enti del terzo settore dalla legge 328 del 2, lo svolgimento di attività  economica in forma di impresa ben può ritenersi compatibile con il fine di solidarietà  sociale e con l’assenza di fini di lucro degli enti non-profit, fermo restando il divieto di distribuzione degli utili e l’obbligo di reinvestire il profitto per le attività  sociali. Anzi, il principio di massima partecipazione alle gare di appalto imporrebbe alle amministrazioni di non introdurre limitazioni soggettive senza espressa giustificazione.
Infatti, dal punto di vista del rispetto della normativa sugli appalti, ferma restando la discrezionalità  della stazione appaltante nell’individuazione dell’esigenza pubblica e nel determinare i requisiti soggettivi degli enti ammissibili ad una procedura ad evidenza pubblica (in termini di capacità  tecnica, finanziaria, dimensioni, esperienza), sarà  necessario trovare un equilibrio tra il principio di massima partecipazione possibile, a prescindere dalla forma giuridica dei partecipanti, e quello di par condicio degli offerenti. E’ ben possibile, nella pratica, che un ente non-profit soddisfi requisiti richiesti dal bando e sia in concreto in grado di fornire in modo ottimale la prestazione oggetto di appalto ed abbia pertanto interesse a partecipare e possibilità  di risultare aggiudicataria, senza alcuna controindicazione per l’interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio. Esistono motivazioni giuridiche che, in un caso del genere, siano impeditive della partecipazione di una determinata categoria di soggetti (cooperative sociali, Onlus) per divieto normativo, inidoneità  di forma giuridica o in quanto destinatarie di un regime giuridico di favore tale da alterare il corretto svolgersi di una gara concorrenziale?
Quest’ultimo problema va esaminato anche ricordando che la giurisprudenza della corte di giustizia sostiene che il principio di parità  di trattamento degli offerenti non è violato per il solo fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ammette a partecipare a una gara per appalto pubblico di servizi enti che ricevono, da essa stessa o da altre amministrazioni sovvenzioni, indipendentemente dalla loro natura, neanche se queste consentano a questi organismi di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti che non beneficiano di tali sovvenzioni (sentenza del 7 dicembre 2, causa C-94/99). Se neanche l’impatto diretto di un finanziamento sulla gara d’appalto considerata può costituire di per sé illecita distorsione della concorrenza, a maggior ragione sarà  ammissibile la partecipazione di soggetti che godono di un regime lecito di favor fiscale.
Per quanto riguarda il problema del modello organizzativo che sia legittimato alla partecipazione a gare d’appalto, l’indirizzo di favore seguito dal Tar Lazio (sez. III-quater, decisione n. 5993 del 18 luglio 26) a beneficio di una società  consortile sociale suggerisce di verificare se la diversità  dei soggetti appartenenti al mondo non-profit possa comportare anche una diversità  di soluzioni al quesito che si sta analizzando. Infatti, ad esempio, è indubbio che le cooperative sociali, pur potendo avere in comune con le associazioni di volontariato la qualifica a fini fiscali di Onlus, hanno una diversa struttura (presenza dei soci volontari limitata al 5% del totale – legge 381 del 1991. art. 2) e possono rivestire la qualifica di impresa sociale, ove esercitino un’attività  economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni o servizi di utilità  sociale(decreto legislativo 155 del 26). Il tutto pur in assenza di scopo di lucro e con obbligo di destinazione degli utili allo svolgimento dell’attività  sociale. E’ questa, come risulta evidente, una categoria giuridica che comporta il superamento della nozione tradizionale di impresa codicistica e che impone di considerare ammissibile lo svolgimento di attività  economica da parte di soggetti tradizionalmente considerati fuori dalle dinamiche del mercato e del profitto. Al tempo stesso, per esplicita previsione normativa, le cooperative sociali possono partecipare alle gare d’appalto (art. 34 del decreto legislativo 163 del 26) in quanto imprenditori prestatori di servizi sul mercato (art. 3, comma 19). Le stesse conclusioni, in base alle decisioni esaminate, non sembra possano essere applicate anche a favore delle associazioni di volontariato, che per loro natura e per previsione normativa non potrebbero ricevere compensi da attività  commerciale abituale d’impresa, come ribadito dal TAR Piemonte nella sentenza commentata.
In considerazione delle incertezze applicative e del contrasto riscontrabile in giurisprudenza in relazione a casi simili, appare opportuno un pronunciamento interpretativo delle sezioni unite del consiglio di stato.



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